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Marco Ongaro

La spia che ti amava

Quella di Marco Ongaro è il classico esempio di canzone d’autore che fugge (e sfugge) a un genere riconoscibile. Se “rileggiamo” la sua discografia, notiamo che l’autore veneto ha saputo affrontare diversi generi nei suoi dischi, restando assolutamente fedele non solo alla sua poetica (e d’altronde non potrebbe essere altrimenti), ma mantenendo una qualità e una classe cristallina.

Conferma quanto detto questo nuovo e atteso album, La spia che ti amava. Guidato ancora una volta in sede di Produzione artistica da Gandalf Boschini e con gli arrangiamenti di Pepe Gasparini, Ongaro ci regala un disco dal forte impatto rock anni Cinquanta-Sessanta. Via, quindi, le tastiere (sostituite dalle voci coriste di Jessica Grossule e di Lucia Corona Piu), ecco una formazione power trio composta dallo stesso Peppe Gasparini al basso, Giovanni Franceschini alla batteria e Pietro Franzosi alla chitarra elettrica. Un disco che suona meravigliosamente orecchiabile (forse il più “fruibile” dell’intera sua discografia) e che conferma una capacità di scrittura testuale impressionante. Come si intuisce dal titolo, Ongaro ci torna a parlare d’amore. Amore a 360 gradi: quello eccessivamente ingombrante (di chi ci vuole leggere le mail) e quello un poco tremebondo di chi ha paura di perdere l’altro; quello presente anche quando è assente e quello assente seppur presente. 

Apre il disco la title-track, uno dei pezzi più orecchiabili e cantabili dell’intero disco. Una canzone che rischia di essere fraintesa (forse) in epoca di stalkeraggio selvaggio. Ma qui la spia che ci ama(va) non è tanto uno stalker in carne e ossa, quanto il telefonino pronto a immortalare qualsiasi scena del nostro quotidiano, a nascondere (e a far ingelosire quindi il partner di turno) chat ed email reperibili in ogni momento. Ma l’amore, appunto, rifugge “l’algoritmo dell’iphone” e se ne fotte bellamente di password cambiate un giorno sì e un giorno no. Come al solito con Ongaro, questa è una possibile lettura, perché nulla vieta di vedere nella spia proprio il cantautore veronese che da anni “indaga” (spia, appunto) sul tema dell’amore. Divertente la citazione a metà e fine brano del tema musicale di James Bond.

Il gelsomino è una ballata che più “alla Ongaro” non potrebbe essere. L'uso del tempo all’imperfetto rende l’idea di una storia (molto cinematografica) che può essere accaduta anni fa o oggi. O forse mai. Perché quella evocata qui pare una non storia. Il protagonista che dopo molti chilometri, posteggia davanti al cancello di lei; lei che lo guarda (o lo sorprende?) dalla finestra. Nulla sembra accadere nella casa. Sole vengono evocate le ferite di lei tramite il correlativo oggettivo della sua voce. Un piccolo gioiello di pura poesia. Ancora ritmo rock e potentissimo power chord in uno dei pezzi più forti dell’album, S.r.d. (che poi sarebbe l’acronimo di Società a responsabilità Disperata). La società in questione è ovviamente l’amore che presenta come unici soci due innamorati talmente impauriti dal potersi lasciare da non riuscire alla fine a godere del loro stesso amore. O forse sì, perché è proprio dell’innamoramento la paura di essere lasciati per primi.

Ma l’amore non è solo l’avere conferma dell’amore altrui. L’assenza della persona amata mette in discussione l’esistenza stessa del reale. E così ne Lo sfondo, la possibile assenza del partner trasforma il mondo esterno in una sorta di pixel da videogame: la realtà si distorce se non c’è la persona amata. E così pure Parigi (città fortemente amata da Ongaro) “fa una magra figura” se lei non scende dall’aereo; le statue sono solo marmo, la gran via (gli Champs Élysées?) un semplice viale immenso. Sempre che poi sia vero che questo incontro non avvenga, perché Ongaro - al solito - è abilissimo a mescolare le carte e a spiazzarci con un “se” nell’ultima strofa che rimettere tutto in gioco.

Quale forma artistica meglio della poesia ha saputo contare l’amore? Ma, appunto, oggi può esistere ancora la poesia in tempi in cui tutti si credono poeti (magari perché hanno scritto un bel post su Facebook) e sono pronti a partecipare a tutti i concorsi di poesia? E chi c’è dietro, poi, a questi concorsi di poesia? Chi sono i poeti evocati nel brano Concorsi di poesie senza poeti? E, soprattutto, chi è il giurato (o il poeta) che si rifiuta di bere e resta muto come avesse capito la pantomima che si sta celebrando? Ma questa è solo una possibile lettura (lo abbiamo detto che Ongaro mescola sempre le carte), perché poi i tredici invitati - e il suggerimento me lo dà lo stesso cantautore - potrebbero essere anche Gesù e i dodici apostoli durante l’ultima cena. E a questo punto spetta a noi capire chi non ha bevuto (Gesù stesso? Giuda? Chissà…).
Altro brano dal forte impatto rock è Una via di fuga dove emerge tutta la verve sarcastica di Ongaro. L’amore è vicinanza o lontananza? Se più ci si avvicina più ci si rischia di far male, conviene - appunto - tenere le distanze. E anche la comunicazione stessa tra gli esseri umani (a distanza o ravvicinata) sembra perdere di incisività: “Il canale scorre al fiume/ O dal fiume si allontana/ E riassume nel suo corso tutto il filo del discorso della comunicazione umana”. Uno dei testi più belli dell’intero album tra alto e basso (“Senza essere per forza un Budda/ Ma nessuno è senza macchia/ Senza un Fracchia nell’armadio”), rime interne (“Di palazzi rasi al suolo, imbarazzi e foto al volo”) e personificazioni (“Si lamentano i bastimenti da una sponda all’altra”, “Certe estati pure un ombrellone si scoraggia”)

Se ne Lo sfondo non abbiamo certezza dell’assenza di lei, non vi sono dubbi invece - già dal titolo - in Ritratto di donna scomparsa. Ancora una volta Ongaro dimostra la sua incredibile capacità poetica. Non solo nulla accade, ma è la casa stessa disabitata (sembra da poco perché “In casa tutto è spento/ Però c’è luce ancora”) a raccontarci la vita e il dolore di chi vi ha abitato (la stessa protagonista de Il gelsomino?). Chissà se voluti oppure no, si avvertono echi della montaliana La casa dei doganieri. Da Montale (forse) si passa (forse) a Gozzano nella successiva Ma tu sorridi. Ancora una canzone fatta di assenze o meglio di presenze che non ci sono più, ma che restano immortalate da una foto. Parlo di Gozzano perché quella foto sembra legarsi allo “statuto della stampa” dell’autore torinese, dove tutto viene “imbalsamato”. È vero che “non c’è ritratto che ti abbia fermata”, ma è anche vero che gli incantesimi sono di naftalina, appunto. La foto immortala una bambina, ma inevitabilmente la imprigiona perché eternamente le ricorderà che quel momento (in cui la foto è stata scattata) è un eden ormai perduto. Splendido l'incedere per tutto il brano del clarinetto di Marco Pasetto.

Chiude il trittico dell’assenza Aveva un uomo, in cui la protagonista a un uomo vero preferisce un uomo inventato. Si affida ai tarocchi di Marsiglia, ai Ching cinesi, alla lettura della mano e agli oroscopi… tutto sembra dirle che l’uomo sta arrivando, ma se passiamo la vita a leggere le carte l’uomo che ci passa pure davanti rischia davvero di non essere veduto. Ma d'altronde forse meglio così dal momento che di uomini non-uomini (cioè assenti)  la protagonista ne ha già avuti in passato. Assenza per assenza allora meglio l’assenza vera!

Appare un poco fuori fuoco - almeno a livello tematico, rispetto al resto del disco - Pascoli verdi, una libera rielaborazione (almeno a livello musicale, perché la traduzione del testo invece è molto fedele all’originale) di un brano di Woody Guthrie, Pastures of plenty.
Non si fa in tempo a riprendere fiato, che il vero colpo al cuore arriva con la conclusiva Quello che accadrà. Ongaro ci regala uno dei pezzi più alti e commoventi dell’intero disco, una ballata dedicata all'amico Vittorio De Scalzi. Come noto Ongaro aveva collaborato (essendone coautore) al disco del cantautore genovese Gli occhi del mondo (su testi di Riccardo Mannerini). Un rapporto inizialmente professionale che si era trasformato nel corso del tempo in rapporto umano di amicizia vera (complici anche Max Manfredi e Cristiano Angelini).

Un disco prezioso, questo La spia che ci amava, dove la poetica di Ongaro deflagra tra difficoltà di comunicare, case vuote, tarocchi (ancora una volta), cancelli che misteriosamente si aprono e si chiudono e poesie che forse poesie non sono. Al solito Ongaro alterna magistralmente sarcasmo e lirismo, leggerezza e profondità. Tutto si tiene. E a sto giro siamo ben contenti di essere noi a spiare la musica e le parole di Marco Ongaro.

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Gandalf Boschini
  • Anno: 2024
  • Durata: 40:29
  • Etichetta: Long Digital Playing

Elenco delle tracce

01. La spia che ti amava

02. Il gelsomino

03. S.r.d.

04. Lo sfondo

05. Concorsi di poesia senza poeti

06. Una via di fuga

07. Ritratto di donna scomparsa

08. Ma tu sorridi

09. Aveva un uomo

10. Pascoli verdi

11. Quello che accadrà

Brani migliori

  1. La spia che ti amava
  2. S.r.d.
  3. Quello che accadrà

Musicisti

Peppe Gasparini: basso - Giovanni Franceschini: batteria - Pietro Franzosi: chitarra elettrica