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Sassofoni del mondo unitevi

Lo strumento a pipa domina questa nostra puntata autunnale, ovviamente con deviazioni su altri strumenti, portanti o paralleli che siano

 

 

Nell’approssimarsi dei lavori per definire i migliori album jazz italiani dell’anno (oltre a tutto il resto, riferendoci al Top Jazz indetto dal 1982 da “Musica Jazz”), tracciamo come sempre una mappa di quanto uscito diciamo a partire dalla tarda estate. Partiamo dalla Amirani del sopranista pavese Gianni Mimmo, che in due cd editi in simultanea si misura con tutti colleghi stranieri, a partire dalla pianista giapponese Yoko Miura in Zanshou – Glance at the Tide, inciso dal vivo nel novembre 2022 in quel di Vigevano. Tre i brani presenti, tutti intuibilmente ampi, il primo della sola pianista (anche alla melodica), il secondo del solo Mimmo, l’ultimo in duo, nel quale, dopo i due più che indicativi biglietti da visita solitari, il lavoro si compie, attraverso un’improvvisazione molto ben pilotata, in cui galleggiano qua e là come relitti (o messaggi in bottiglia) scampoli tematici di quel Monk che Mimmo tanto ama come già il suo maestro Steve Lacy, la cui anima aleggia una volta di più, indimenticata.
Di tutt’altro tono il secondo cd, Due mutabili (un Mutabile I e un Mutabile II), in cui Mimmo si muove all’interno di un Sestetto Internazionale (sic) che pratica una free impro ben più spinta, anche se non di rado instradata sulle marce basse. Un secondo sax soprano, fisarmonica, violino, piano ed elettronica sono maneggiati da musicisti di area per lo più nord-mitteleuropea. Per palati rodati alla tenzone.

Elettronica in trio, molto più strutturato, è quanto troviamo – ovviamente fra i vari altri elementi in gioco – anche in Canto terrestre (Parco della Musica) del trombettista palermitano Giovanni Falzone, abbinato a basso elettrico e batteria. Il risultato è un album dalle molte anime (dal popolare al post-moderno), peraltro infilate in un imbuto comune, coeso, del tutto logico sul piano poetico-espressivo e strutturale. D’altronde Falzone ci ha insegnato che nulla, nei suoi lavori, viene affidato al caso. Lo stesso vale, pur con maggiori aperture verso un’estetica che per comodità definiremo free, anche per Music for Dance (Barly), opera di un trio per più versi speculare in cui agiscono i fratelli Bondesan, Tobia, altosassofonista, e Michele, bassista, più Giuseppe Sardina come elemento percussivo. Lavoro più monolitico, il cd in questione alterna due situazioni abbastanza nette e distinte: brani più corporei, diretti (e convincenti: di regola i dispari) e altri più eterei (i pari). Il risultato è comunque un album ben a fuoco.

 

Facciamo un rapido salto oltre confine, approdando in terra svizzera con un altro trio a guida altosassonistica (Nicole Johänntgen, anche a soprano e voce), dove però il contrabbasso è sostituito da una tuba (il che rappresenta già una discreta anomalia) e le percussioni sono univoche. Il cd s’intitola Labyrinth (Selmabird), ma di labirintico, di criptico, non ha granché, sviluppandosi invece molto lineare, con un’immagine di solidità molto marcata. Sax al femminile (Stefania Megale) anche in Qafiz (Radicimusic) del quartetto Lame da barba, di impronta squisitamente folklorica, quindi profumata ed evocativa. Con mandola (e chitarra), contrabbasso e tamburi a cornice a profusione.

Due senatori del jazz italiano (oltre tutto a suo tempo riuniti nell’esperienza del Perigeo) tornano poi con altrettanti nuovi lavori. Il primo è Claudio Fasoli (foto sotto il titolo), che alla testa del NeXt 4tet ha da poco pubblicato l’eccellente Ambush (Abeat), a ribadire la stagione estremamente ispirata (abbinata al rigore che da sempre contraddistingue il sassofonista veneziano) che sta attraversando, ancor più sorprendente, diremmo, nel momento in cui le primavere sono ormai ottantaquattro: una musica palpitante, mai ovvia, ora più lirica ora più spedita, sempre magistralmente concepita e condotta (anche grazie ai tre ottimi partners). Due in meno sono gli anni di Giovanni Tomaso, di professione bassista, che, anch’egli in quartetto (con Rita Marcotulli, Javier Girotto e Alessandro Paternesi), firma Walking in My Shadows (Parco della Musica), sorta di ricapitolazione di un’intera carriera, disco solido e sufficientemente enciclopedico, ben piantato sul grande ceppo jazzistico.

I sassofoni (soprano e sopranino) di Javier Girotto (foto sopra) tornano nel singolare Colyseus (Parco della Musica), che lo vede abbinato all’Alma Saxophone Quartet. Le intersezioni fra le cinque “pipe” (undici brani, tutti di Girotto, anche storici) sono ora più incalzanti, al fulmicotone, ora più larghe, rilasciate (sempre in rapporto al singolare contesto). Una prova senz’altro maiuscola, nonché inusuale, coraggiosa, per il valoroso sassofonista italo-argentino, rilievo che vale anche per l’ultima fatica dell’altro sassofonista, lui siciliano (qui anche felicemente al flauto), Carlo Cattano (foto sotto), il quale in Overlaps (Da Vinci) dirige un’orchestra di quindici elementi, operazione quanto mai impegnativa (e meritoria), soprattutto considerando che quella di Cattano Sr. (nel cd c’è anche Cattano Jr, Tony, al trombone) non è una formazione di studio, visto che si produce anche dal vivo (come al recente Jaci&Jazz di Acireale). Disco di belle prospettive (composizioni tutte del leader), fra momenti più corporei e altri quasi cameristici. Ne attendiamo curiosi il seguito.

 

Foto di Alberto Bazzurro.    

 

 

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