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Canzoni&Parole - Festival di musica italiana ...

  di Annalisa Belluco  ‘Canzoni & Parole’ il festival della canzone d’autore italiana organizzato dall’Associazione Musica Italiana Paris che ha esordito nel 2022 è pronto a riaccendere le luci della terza ...

Quell’ultima decina…

Completiamo la panoramica sulle ultime uscite dell’anno che sta per lasciarci, evolvendo dal trio ai gruppi più numerosi.

 

Come promesso nella scorsa puntata, eccoci a completare il discorso colà iniziato in merito ai molti dischi che – anche causa imminente scadenza annuale Top Jazz – nei mesi appena trascorsi vanno affollandosi e spesso accatastandosi nei pressi del nostro stereo. Eravamo arrivati al trio e di qui ripartiamo con una sorta di appendice, visto che Arbo (Folderol) del bassista Igor Legari è appunto in trio, con l’onnipresente Marco Colonna alle ance (e curiosamente al flauto) ed Ermanno Baron alla batteria. Musica viva, ispirata, priva di orpelli, con un modus operandi che definiremmo da post-avanguardia storica (peraltro senza eccessi).

Avanguardia (in realtà non particolarmente rinverdita) e contrabbasso (sempre storicamente: qui basso elettrico) legano “Arbo” a Double 3 (Caligola), in doppio trio, appunto, col basso elettrico di Roberto Del Piano (foto in alto) e la batteria di Alberto Olivieri integrati ora dal sax baritono (ecc.) di Bruno Marini (brani dispari) ora dall’alto (non poco ornettiano, pure in un pezzo specifico del maestro di Fort Worth) di Cristina Mazza (brani pari). Tutto marcia spedito e leggibile, anche se certi pruriti – “storici”, appunto – rivivono solo a singhiozzo, ciò che accade, però su un piano ben più elaborato e articolato, anche in The Songs Album (Alfa Music) del sestetto NewStrikers, incisioni del 2019 già incluse in un precedente cd (“Musiche insane”; qui stiamo invece parlando di un lp) e del 2021, inedite. Del sestetto fanno parte un altro bassista storico del nostro jazz, Sandro Lalla, così come il suo partner altrettanto storico Antonio Apuzzo (ance) e poi la voce della giovane Marta Colombo, che connota fortemente il lavoro, molto narrativo, e discorsivo, con testi spesso in italiano e un vago sentore di post-progressive (ma anche di teatro-musica) che non guasta.

Molta (troppa) leggerezza in più contrassegna infine – chiudendo questo primo cerchio – il nuovo album di un bassista certo meno storico, però eminente, anche se per motivi non strettamente jazzistici, Ferruccio Spinetti, che in Arie (Via Veneto/Jando) guida un quartetto anche qui con una voce femminile (Elena Romano) e Jeff Ballard alla batteria al servizio di una musica troppo scontata, disimpegnata, per accendere il nostro interesse, cosa che accade invece con Silence (Abeat), cofirmato dalla vocalist Sonia Spinello e dal pianista Roberto Olzer (foto sotto), che vi guidano un singolarissimo quartetto (con un paio di ospiti qua e là) completato dai violini di Eloisa Manera e Daniela Savoldi, per una musica elegantemente cameristica quanto discorsiva, accogliente, evocativa, rigorosa, magari solo a tratti lievemente calligrafica.

 

Un calligrafismo ben più insistito, di fatto soprattutto un marcato didascalismo (forse fisiologico, ma non per questo più convincente), è quanto caratterizza Far Away (Warner), opera di una singolare accoppiata formata (complice una navigata in barca a vela) dal sassofonista torinese Emanuele Cisi (in quartetto) e dall’attore Filippo Timi, qui autore dei testi che declama in abbinamento alla musica (in realtà soverchiandola alquanto). Il tutto non funziona granché, come del resto numerosi matrimoni di questo genere (ci giocherà magari anche una certa idiosincrasia personale alla formula).

Chiuso il capitolo-voci, eccoci a un altro quartetto, l’AB Quartet, dove AB sta per Antonio Bonazzo, pianista, che nel recente Do ut des (Red&Blue), illuminato in particolare dai clarinetti di Francesco Chiapperini (più basso e batteria), denota una mano compositivo-direttoriale senz’altro capace, confezionando un cd felicemente compiuto, vitale, in cui il discorso corale prevale sulla singola voce, pur importante, in ciò differendo alquanto da InFormal Setting (Hora), opera prima di un atro giovane pianista, l’aretino Federico Nuti, che vi agisce in quintetto ma col suo strumento come asse attorno a cui tutto tende a ruotare. La vitalità e la freschezza del lavoro lo apparentano peraltro al precedente, forse persino con qualche tratto personale in più.

E veniamo, dulcis in fundo, ai due album più significativi della nostra odierna decade, il primo dovuto al chitarrista, acustico ed elettrico, Livio Bartolo, elemento che già tenevamo d’occhio dopo il precedente “Don't Beat A Dead Horse” e che oggi, sempre su etichetta Dodicilune, torna alla carica con Start from Scratch, anche qui alla testa del Variable Unit, sestetto di humus cameristico ma con impennate di notevole vigore capace di annoverare fra le sue file i due nuovi talenti (ex-æquo) dell’ultimo Top Jazz, Anais Drago, violino, e Francesca Remigi, batteria, più clarinetto, flauto (entrambi da leggersi al plurale) e tromba. Una musica ricca di appeal quanto logica, coerente, mai banale o prevedibile. Una prova di grande maturità, insomma, se ce ne fosse stato bisogno.

 

E certamente maturo – anzi lui pure degno dell’appellativo di “storico” – è senza dubbio il batterista romano Ettore Fioravanti (foto qui sopra), da decenni fra i più quotati drummers & leaders nostrani, come il recente Attraverso ogni confine (Parco della Musica) col suo Opus Magnum, in cui torna Marco Colonna e per il resto ci sono vibrafono, contrabbasso e – in versione sestetto – tromba e trombone, conferma pienamente. Musica ricca, colorata, vitale, di testa e di corpo, frutto di tessiture architettoniche palpabilissime e “voli” solistici sempre congrui e centrati. Il tutto con quel pizzico di ironia (c’è pure Ho visto un re di Jannacci/Fo, perché Fioravanti è un jazzista da sempre molto vicino all’universo-canzone e alle musiche “altre” in genere, come del resto il titolo del cd ci dice con chiarezza). Pensiamo che per oggi (e per questo 2022) possa bastare.     

Foto di Alberto Bazzurro (Del Piano, Olzer) e Paolo Soriani (Fioravanti).

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