Perché la scelta de ‘La Buona Novella’?

ultime notizie

Canzoni&Parole - Festival di musica italiana ...

  di Annalisa Belluco  ‘Canzoni & Parole’ il festival della canzone d’autore italiana organizzato dall’Associazione Musica Italiana Paris che ha esordito nel 2022 è pronto a riaccendere le luci della terza ...

Perturbazione

Rileggere La Buona Novella

  ‘La Buona Novella’ di De André risuona nuovamente, dal 22 marzo, in una interessantissima e inedita rilettura dei Perturbazione, band torinese. Ci siamo fatti raccontare da Tommaso Cerasuolo i passaggi, le scelte, i timori di un progetto che, a 25 anni dalla scomparsa di Faber, confluisce tra i solchi di un disco, dietro una copertina perfetta, ma che muove i passi da tempi più lontani. Parliamo del 2010, quando la formazione aveva sei elementi: Tommaso Cerasuolo (voce), Cristiano Lo Mele (chitarra, tastiere), Alex Baracco (basso), Rossano Antonio Lo Mele (batteria), Gigi Giancursi (chitarra, cori) ed Elena Diana (violoncello). Un 2010 in cui, in un evento live, fu chiesto loro di riprendere un capolavoro che compiva 40 anni e farlo proprio, accorpando, per l’occasione, alla formazione originaria, anche Dario Mimmo (fisarmonica, bouzouki, tastiere e cori), Alessandro Raina (voce degli Amour Fou) e Nada. 

Perché la scelta de ‘La Buona Novella’?
La reinterpretazione ci fu commissionata. Fu organizzato un grande evento a Varallo Sesia in occasione del 40ennale del disco e del restauro del Sacro Monte (è una installazione con la via crucis e tante cappelle lignee). Tutto quel complesso era stato restaurato e la scuola Holden di Torino aveva incaricato Alberto Iona, musicologo torinese che all’epoca collaborava con loro, di organizzare questo evento intorno alla Buona Novella. Noi eravamo una parte, infatti ci chiese se avevamo voglia di reinterpretare tutto il disco con l’ausilio di due voci, due voci diverse: noi avremmo fatto quella centrale e in più servivano una più giovane e una più matura che potessero rappresentare le tante che ci sono nella Buona Novella, voci dei personaggi che narrano questa storia dal loro punto di vista. Tanti di questi sono donne e allora ci venne in mente Nada per l’autorevolezza, il piglio; e lei, per fortuna, accettò. Fu una rappresentazione unica. Tutti fummo contenti dell’evento che comprendeva appunto noi e gli ospiti e le letture dei Vangeli apocrifi, una delle fonti di ispirazione di De André nello scrivere il disco. C’era anche un prete, Carlo Scaciga (uno che si era fatto prete prima del ’68, uno dei giovani di quella generazione lì), che ha conosciuto bene Fabrizio e raccontava di averlo invitato a leggere i Vangeli apocrifi, nel momento in cui Faber gli espose la sua idea narrativa. Noi abbiamo avuto la buona idea di portarci dei microfoni e con Lorenzo, il fonico di allora, facemmo un suono per il teatro ma creando anche le condizioni necessarie per registrare bene su traccia.

 

Una registrazione vera e propria quindi, ma che di fatto rimase tale, senza un seguito…
Causa tempo, impegni e varie, questa cosa è finita in un cassetto e dimenticata per tanto tempo, finché non son stati gli stessi fonici a dire: riascoltiamola. Forse complice anche il fatto che in questi ultimi anni noi siamo stati più fermi e ci siamo un po’ più guardati alle spalle e c’è stato più tempo anche in occasione della pandemia, un tempo in cui, invece di affannarsi su futuro e rincorrerlo, ogni tanto è stato utile ascoltare e provare a riflettere e vedere cosa si deposita. E quindi c’è tornato indietro questo dono. Quando lo abbiamo riascoltato abbiamo deciso che sì, anche se nella registrazione ci sono tutte le piccole imperfezioni di un’unica esecuzione, era decisamente un sì. E quindi con Luca Bernini, nostro collaboratore, project manager, che ci supporta anche nelle nostre lunghe pause, ci abbiamo lavorato. Lui lo ha fatto sentire a Warner e così ora esce il disco.

Infatti una delle domande sarebbe stata: come mai dopo tutto quel lavoro, tra cori, arrangiamenti, riarrangiamenti, non fu mai più risuonato? Di un disco che in realtà aveva la sua parte originale di Faber del ’70, poi c’è stata tutta la riedizione della PFM. Come fare a staccarsi da quegli arrangiamenti che hanno rinfrescato il disco originale e che spesso sono più loro ormai nelle nostre orecchie che non l’originale (anche perché Faber stesso li usò tantissimo, con e senza di loro). La vostra versione è molto bella, molto asciutta e non risente davvero del passato. Mi interessa molto, insomma, capire quale approccio per un qualcosa che ha molto di reverenziale. Sono tre domande incastrate in una.
Quando arrivò la proposta ci sentimmo onorati, lusingati, ma siccome siamo un po’ dei punkabbestia, veniamo più dalle cantine che dal Conservatorio, a parte Elena, che suona il violoncello nel disco (che ora non fa più parte della formazione ma era l’unica diplomata), tendiamo ad avere questa idea che non c’era timore reverenziale. De André è tanta roba ma abbiamo cercato di non trattarlo come si fa con un santino, anche perché “La Buona Novella” raccontava proprio questo: attenzione, perché gli uomini secolarizzano, mistificano, mettono sugli altari. Di tutti i grandi narratori della nostra cultura lui è uno di quelli che ha cercato di dire che gli altari vanno demoliti, quindi questo è quello che abbiamo fatto. Non ci siamo andati a prendere gli arrangiamenti della PFM, che ancora non si chiamava così; parte di loro aveva suonato nel disco, arrangiato da Gian Piero Reverberi e Roberto Danè e c’è tanto quella firma lì. Quindi per noi era più facile riferirci al materiale originale. Quanto al fatto di risuonarla, nell’anno del quarantennale, la PFM lo risuonò parecchio e quando coi nostri collaboratori ci rendemmo conto che c’erano loro sul mercato, il passo indietro divenne automatico. Noi avevamo pubblicato un nostro disco che si chiamava “Del nostro tempo rubato” che ci teneva impegnati e quindi la cosa semplicemente si esaurì da sola. Però arrangiarla è stato un lavoro di rispetto, molto. Avevamo un musicista in più che si chiama Dario Mimmo, polistrumentista di Torino, quindi sul palco c’erano sei musicisti più tre voci, una ricchezza notevole: la fisarmonica, l’organo, il violoncello che è molto simile alla voce umana, nel senso che ha un’estensione notevole e può fare sia dei gran bordoni che parti soliste e il violoncello di Elena era incantevole, è incantevole ancora. Quindi la prima parte, che è una specie di suite, più acustica, dove il lavoro di avvicinamento a certe tendenze etniche della musica mediterranea si sentivano in nuce (quello che arriverà molto dopo per De André) era scritta talmente bene, bastava seguire ciò che c’era senza aggiungere…

Infatti, nelle note del disco, Faber scrive: Reverberi ha saputo vestire di musica la mia consueta balbuzie melodica.
De André era bravo, si affidava molto ai collaboratori e infatti lo senti, soprattutto nei cosiddetti concept album (poi arriva Piovani, poi la PFM, poi Pagani…). Ma anche quando stava lavorando con De Gregori lo senti che stava lavorando con lui, lasciando però la sua voce, il suo modo…Questo gli ha permesso di mutare nel tempo ma restando sé stesso. Ti arriva forte lui ma non c’è mai la sensazione di noia nell’ascoltarlo.

 

È dei grandi comprendere alcune mancanze o lacune nella propria formazione e affidarsi, ma anche scoprire dei talenti notevoli e farli unire ai progetti, perché le idee erano sue ma poi servirsi di grandi musicisti, di grandi arrangiatori era una ricchezza…
Esatto, concordo. Noi ci siamo presi un po’ più di spazio nella seconda parte del disco tra Il testamento di Tito e Via della croce. Soprattutto Laudate hominum è uno di quei pezzi che ha risentito più dell’usura del tempo. Lì avevamo più spazio e allora l’abbiamo fatta nostra di più in quella parte, ma in generale è sempre bello quando reinterpreti cercare di far vibrare qualcosa di te stesso, raccontare un po’ di te attraverso quella interpretazione, altrimenti diventa come disegnare mettendo il foglio sul vetro e ricalcando solamente.

Sono d’accordo, perché proprio nel concetto – a me non piace il termine cover - di reinterpretazione di un brano o di un disco quello che davvero trovo interessante è quando qualcuno ci mette del proprio avendo contemporaneamente un grande rispetto di quello che è il nucleo originale: è lì che arriva la novità, che arriva la bellezza di un disco. E qui si sente tanto una vostra cifra che però si è inserita proprio in maniera rispettosa ma personale rispetto all’originale.
Grazie, siamo dentro a un fiume. Il fatto di registrare ci ha regalato un grande privilegio, ma alla fine la musica popolare è fatta – prima ancora di essere registrata – di tramandarsi le cose risuonandole, però, ovviamente, ognuno nel ripetere quella frase di Omero, l’ha elaborata e resa cantabile in un modo che si potesse ricordare. Quella cosa gira, gira, ed è sempre così ed è molto bello che, come dire, ci si reinterpreti continuamente e questa cosa sia una specie di grande fiume. Ho visto un bellissimo spettacolo, poche settimane fa, di Cristina Donà, che sta girando adesso. Negli ultimi concerti ha questa specie di format che si chiama ‘Spiriti guida’, sempre col suo collaboratore, polistrumentista bravissimo, Saverio Lanza. Lei viaggia continuamente attraverso spiriti guida che nel tempo l’hanno formata. Quale sia questo fiume, anche se non lo hai sentito particolarmente tuo, è una parte tua. Anche se non ti piace, lo hai respirato, l’hai assorbito, per forza.

 

Ma infatti ci incastriamo perfettamente in quella che è la prossima domanda. Nel ’70 uscivano: La buona novella, Emozioni, La mia gente di Jannacci, Il signor G, Guccini con L’isola ritrovata e Dalla che stava con Roversi. Questi dischi stanno completamente tornando, cioè non che siano mai scomparsi, per fortuna, però tornano in varie forme in un momento come oggi in cui c’è una sorta di frattura, di crash nella percezione della musica, e quindi quando si arriva in questa maniera con questo tipo di lavori monumentali, bisogna anche temere un po’ l’effetto su un pubblico purtroppo oggi molto disattento, abituato anche a parlar troppo, e non ad ascoltare. E quindi portare una Buona Novella, una nuova Buona Novella è di un coraggioso, apprezzabilissimo, da parte mia. Però ecco, quale la vostra aspettativa su quella che è la risposta a questo progetto, perché poi bisogna anche chiedersi “cosa succederà nel momento in cui…”? E poi, come farete, lo suonerete in giro?
Aspettative: non fanno bene. Un po’ c’è quel salto nel vuoto, bisogna abbandonarsi e dirsi “vabbè, piuttosto casco e sbatto la faccia”. Mi è capitato altre volte. Però io sono fiducioso perché è una storia bella, è la storia di amici che ti fanno riascoltare delle cose e tu, a tua volta, la fai sentire ad altri e poi alla fine questa cosa convoglia facilmente grazie al lavoro delle persone che ti vogliono bene. Non è stato macchinoso. Bisogna fidarsi. Lo abbiamo presentato a Torino e Milano suonando dei pezzi, infatti li abbiamo riarrangiati per questa veste minimale; poi però li stiamo riarrangiando in 4, in sala prove, nella formazione attuale, perché ci piacerebbe nell’estate riuscire a suonare il disco qualche volta.

Avete lavorato con Paolo Iafelice per il mastering…
Sì, Paolo è un tesoro. Avevamo lavorato con lui anche per “(Dis)amore”.

La copertina, bellissima, raffinata, giustissima, è di?
Matteo Baracco, che ha lavorato anche su “(Dis)amore”. Grafico giovane, ha 30 anni adesso e ci piace perché parte sempre dai materiali reali. Lavora coi trasferelli, timbri…in questo caso ha preso vecchi tessuti, proprio vecchi merletti e robe varie, le ha ritagliate e ne ha fatto questo collage. Gli avevamo chiesto: sarebbe bello che De André fosse evocato senza andare a vampirizzarlo, come lo rappresenteresti tu? E lui ha preso una delle figure iconiche col ciuffo e ha lavorato con questa cosa dei fili e ne ha fatto capelli…

Ultima domanda: c’è un pezzo preferito? O un pezzo che vi ha dato fastidio? O un pezzo che avevate timore nel rifare? Una delle tre.
Laudate hominem era quella più farraginosa e invece metterci mano e farla nostra è stato divertente. A me fa impazzire Tre madri, sempre, e Il sogno di Maria, sono i miei pezzi preferiti. Questa ultima perché sta in questo luogo in cui non capisci dove inizia il sogno spirituale e questa parte carnale che sembra veramente un incontro con una cosa che lei chiama angelo, ma non sai se sia qualcuno di vero e questo mistero rimane tale grazie alla scrittura di De André. Tre madri è veramente un’istantanea, di un modo del dolore, in cui una madre descrive e parla al proprio figlio che sta morendo sulla croce. Ogni volta, nel cantarla, si finisce in lacrime. 

Share |

0 commenti


Iscriviti al sito o accedi per inserire un commento


Altri articoli su Perturbazione

Altri articoli di Laura Rizzo