ultime notizie

Nuovo album per Roberta Giallo, anticipato ...

Quante volte aprendo un giornale, che sia cartaceo oppure online, veniamo travolti da notizie di attualità, cronaca dai toni negativi che ci predispongono a un senso di smarrimento e depressione ...

Renato Caruso

La musica e il tempo, due mondi che vivono in simbiosi.

    Tra gli eventi più interessanti della Milano Music Week 2023 c’è stato indubbiamente il panel “L’armonia delle sfere: tra note e numeri l’armonia matematica della musica” organizzato da Assoconcerti e dedicato al rapporto tra musica e matematica. Oltre al matematico Piergiorgio Odifreddi e alla padrona di casa Silvia Belcivelli, medico, divulgatrice e conduttrice di Rai Radio Tre Scienza, ad aprire e chiudere l’incontro c’è stata la musica di Renato Caruso (qui insieme ad Odifreddi durante l’incontro). Chitarrista, compositore, divulgatore e insegnante, Renato ha sempre navigato tra la sua passione per la musa delle sette note e l'interesse per la scienza, con una laurea in ingegneria informatica, successivamente arricchita dagli studi in informatica musicale, e il diploma ottenuto al conservatorio in chitarra classica. Lo abbiamo incontrato a distanza di qualche mese per tornare a raccontare queste tematiche così affascinanti e nell’occasione conoscere meglio il suo percorso artistico.
______________________________________________   

Prima di addentrarci nel rapporto musica e scienza, raccontaci i tuoi inizi: come hai scelto di dedicarti alla musica?
Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia che amava la musica, mio padre e mio fratello maggiore (anche lui artista, pittore) già suonavano: c’erano chitarre, tastiere da tutte le parti. Poi con il passare del tempo mi accorsi che mi piaceva tanto e mio padre mi disse: “Perché non provi a fare il conservatorio?” All’inizio ebbi un po’ di paura poi tutto filò liscio. La mia passione nasce proprio dal fatto che ho sempre respirato “note" a casa. Mio padre suona la chitarra e scrive (un cantautore amatoriale) e ha avuto per molti anni una scuola di musica. Oltre a suonare con diverse band dell’epoca (anni ’60/’70) aveva la chitarra e un libro sempre in mano. Era ovvio che mi sarei innamorato di questi due mondi, libri e strumenti. All’inizio, quando scopri la musica, i tuoi punti di riferimento sono i dischi, la musica di famiglia. Mio padre mi faceva ascoltare Beatles, Rolling Stones, Equipe 84, Battisti, mio fratello i Litfiba, Ligabue e mamma Nannini, Battiato. Poi sono arrivati gli studi in Conservatorio che mi hanno fatto innamorare anche della musica classica. Infine ecco Sting, Pino Daniele, Pat Metheny che hanno dato un’impronta ben definita al mio stile musicale.

E veniamo all’altra tua grande passione, la scienza. Nella tua produzione musicale c’è questa forte sinergia; come e perché nasce?
Dicevo del mio personale percorso che mi ha avvicinato alla musica, ma con gli anni ho acquisito anche una formazione scientifico-musicale. Ho approfondito molto questi due mondi e con una laurea in informatica, una in chitarra classica e l’altra in informatica musicale sono riuscito a mettere a fuoco l’intreccio meraviglioso di queste due discipline. Sono sempre stato curioso e un accanito lettore di musica e di scienza. In entrambe c’è un flusso creativo e non è certo un caso che anticamente la musica era considerata una scienza. Infatti, nel quadrivio si studiava aritmetica, geometria, astronomia e musica. Se pensiamo solamente alle note, queste sono fatte di frequenze, di vibrazioni che altro non sono che un dato numero preciso di movimenti in un secondo: numeri.

 

Nel 2021 hai pubblicato l’album ‘solo guitar’ Grazie Turing. Com’è nata l’idea di dedicare un disco a questo scienziato inglese?
Partiamo con il dire che Alan Turing è stato uno dei più influenti matematici del secolo scorso (1912-1954). Molto, moltissimo di quello che poi si è sviluppato nell’informatica parte da sue intuizioni, anzi, da teorie divenute poi soluzioni concrete. Possiamo considerarlo quindi il padre – o uno dei padri – del ‘computer’; è stato anche uno dei primi a far suonare un computer, forse il primo esempio di sintetizzatore… Lo sanno in pochi ma è così. Per tutto quello che dicevo sul mio essere attratto da musica e tecnologia, avvicinarmi a Turing è stato naturale. Pensa che appena ho del tempo libero sto riprogrammando suoni con il Commodore 64!, questo per dirti come sono affascinato dalla genesi del suono prodotto dalle macchine. Siamo immersi nell'informatica e nella musica e ogni volta che mi avvicino a qualcosa di nuovo è più forte di me, cerco – e trovo – fortissime connessioni e legami tra musica e scienza. Unire questi mondi in un cd è stata quindi una scelta “inevitabile”...

Se volessi indicarci la traccia più significativa di quel disco, quale ci faresti ascoltare?
Videogame, perché oltre a inserire vari elementi di composizione nel progetto, è proprio grazie a questo concetto che siamo arrivati ad avere i pc in casa. Il decennio che va dagli anni '70 agli anni '80 è stato determinante: le macchine non servivano più solamente per far calcoli o tracciare traiettorie balistiche per le guerre, ma entravano anche nelle case di tutti noi. Nasce così il concetto di Personal Computer, o meglio ancora, si passa dai microcomputer, home computer e poi ai personal (anche qui il dibattito è ben più ampio). Parallelamente a ciò, nelle case entrarono i primi computer che servirono per ‘giocare’. Provo a dirla meglio usando un concetto di Alessandro Baricco sull’argomento. L'ordine, suggerito da Baricco, è: calciobalilla, flipper, space invaders. Quindi il gioco (i videogame) si è rivelato una parte fondamentale per la crescita della società, perché ha avvicinato le persone ad una macchina, ad una consolle, che poi dal solo gioco si sarebbe trasformata in un vero computer per far tutto.

 

Facciamo un passo in avanti e parliamo del tuo ultimo disco, “Thanks Galilei”, uscito l’estate scorsa. Un album che presenta un'unica traccia musicale eseguita in vari momenti della giornata, come esemplificazione pratica ed esperienziale del concetto di "relativismo musicale", termine che hai coniato ma che di primo acchito non è facile inquadrare. Ci aiuti a capire cosa intendi con questo termine e come sei arrivato a teorizzarlo?
La mia formazione mi porta a pensare come un matematico e ad agire come un musicista, facendone una crasi direi un ‘logico’ della musica. Per anni ho scritto brani classici, ma questa volta avevo bisogno di qualcosa che avesse a che fare con l’altra metà: la scienza, la fisica. Riflettevo su questo e il concetto di “tempo” mi è venuto subito in mente. Mi ricordo anche l’attimo esatto in cui ho messo a fuoco questo passaggio, non stavo suonando, ero tranquillo che pensavo appunto al “tempo”, di come incide su di noi lo scorrere dei minuti, delle ore, degli anni. Mi chiesi per la prima volta “Ma perché a volte ascolto una musica che mi piace, poi l’ascolto il giorno dopo e non mi piace più?” Cosa cambia? E lì mi son reso conto che a cambiare era il momento della giornata in cui l’avevo ascoltata. Perché se ascolto qualcosa alle otto di mattina ha un sapore, se l'ascolto la sera un altro, pur essendo la stessa musica. Mi sono fatto le mie mille domande e ho capito che la musica non è solo ritmo, armonia ma anche tempo, momento e stato d’animo. Come lo intendo, nel mio relativismo musicale, il tempo è quindi momento, istante, stato d’animo di una persona non come tempo musicale o ritmo. Ad ogni momento della giornata noi siamo persone completamente diverse. Ecco perché ho inciso un disco con dieci tracce uguali ma suonate in momenti diversi della giornata”.

Un concetto indubbiamente affascinante che si apre ulteriormente in modo quasi tridimensionale quando nell’equazione, oltre all’ascoltatore e alla musica, inseriamo anche il musicista.
Quando suoni alle 7 di mattina o alle 10 di sera, sei completamente una persona diversa. E lo sei anche nel modo in cui guardi le cose, come assapori il mondo e quello che ti circonda: la percezione cambia totalmente.

Oltre alla tua attività come musicista, hai sviluppato una bella correlazione anche con la scrittura di libri. L’ultimo, in ordine di tempo porta il titolo di ‘Tempo-Musica’. Ci dici qualcosa in più?
È un saggio dove si incontrano tre discipline: scienza, musica e filosofia. La prima e la seconda in modo predominante, la terza è una diretta conseguenza. Si parla di musica del ‘900 ma anche di scienza, di come si sono susseguiti fatti tra musica e scienza e di qualche personaggio molto influente dell’ultimo secolo. Infine, accenno anche qualcosa circa la mia teoria del relativismo musicale, di cui abbiamo parlato poco fa. Sentivo l’esigenza di approfondire ancora meglio questi aspetti e il semplice brano musicale - o se vuoi anche l’album - non riusciva a soddisfare la mia voglia di condividere questa riflessione. Avere a disposizione pagine e non qualche minuto mi ha dato la possibilità di esprimere meglio tutto il fascino che esercita su di me la musica e le sue mille diramazioni logico-sensoriali. I pittori impressionisti dipingevano in differenti momenti della giornata, perché lo stesso quadro poteva avere più interpretazioni a seconda dell’ora. E perché non fare la stessa cosa con la musica? Sono l’emozione e il tempo che decidono la musica non la musica in sé. In estrema sintesi questo è quello che io chiamo ‘relativismo musicale’.

 

Share |

0 commenti


Iscriviti al sito o accedi per inserire un commento


Altri articoli su Renato Caruso