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Susanna Parigi

La lingua segreta delle donne

Questa volta sarà davvero difficile non accorgersi della bravura di Susanna Parigi che ha appena pubblicato “La lingua segreta delle donne”  (Promo Music\ Edel), il suo strepitoso quinto album  in cui tutto pare efficacemente calibrato. La voce è un soffio di sole, ma le parole pesano come e più di sempre, traendo spunto dell’affascinante mistero del linguaggio orientale Nushu, questo lavoro riluce nell’impianto totalmente acustico, e anche se il piano, che Susanna riesce a suonare con estrema sensibilità,  rimane quasi un arabesco defilato, il feeling è sempre totale, nei movimenti come nei pensieri:” Sono partita da lontano-ribadisce lei-mi capitò di leggere su un quotidiano la genesi di questa vicenda davvero intrigante. Una legittima difesa nei confronti degli uomini e delle violenze tacite o celate fra le mura di casa: mentre i maschi pensavano che fossero disegni o ricami. Invece era il linguaggio usato dalle donne per restare in contatto fra di loro senza farlo sapere a chi non doveva. Una sorellanza commovente che lasciava spazio ad altri interrogativi.” 

 

Quali e quante risposte ti sei  concessa?

Una verità oggettiva è che non bisogna essere faziosi. Le differenze fra uomini e donne sono sacrosante, ma esistono soprattutto le persone anche se è vero che il modo di comunicare è differente, e mi riferisco non solo agli  appartenenti allo stesso sesso. Un linguaggio segreto era un modo soprattutto per proteggere la propria libertà, questa volta sinonimo anche di intimità, soprattutto in un quotidiano praticamente privo di gesti d’amore perché  malevolmente soggetto al dominio. L’idea è stata subito afferrata dalla mia casa discografica che mi ha dato il via libera per completare il lavoro andato via abbastanza rapidamente considerando i miei canoni.  

Il pezzo che apre il lavoro possiede un eloquio già potente, una stilettata nei confronti della nostra epoca forse così decadente da sembrare appunto “Liquida”?

Ancora prima di me è stato un sociologo contemporaneo ad elaborare questa teoria di liquidità nel senso di mutevolezza Viviamo in un epoca  piena di contraddizioni, i cambiamenti sono all’ordine del giorno, rapidi e convulsi. Ma per una volta vorrei andare contro corrente sottolineando la positività di questo scorrere che in questo senso potrebbe rimandare all’acqua, la cui valenza non può che essere positiva, ecco perché ho scritto: “Ho un piede nel passato e uno nel futuro. Se allargo le braccia, mi sembra di scorrere il tempo”. Pensa ai grandi e piccoli privilegi che abbiamo nel quotidiano: se abbiamo voglia possiamo prendere l’aereo cambiando clima e abitudini, altre cose di cui quasi non ci accorgiamo come luce e acqua sono da ritenere quasi scontati in casa mentre all’epoca dei miei nonni bisognava faticare. E chissà quello che ci aspetta. Voglio anche sottolineare l’onore di aver inciso con Lella Costa, insieme a lei ringrazio anche Ottavia Piccolo, Pamela Villoresi, Teresa De Sio e Gianna Schelotto per un'altra parte del lavoro, quindi tutti quelli che mi hanno accompagnato fino alla fine. Avere avuto questa chance per me rappresenta già una grossa ricompensa.

Un altro brano forte è “L’uomo senza qualità”, ispirato forse da un'altra lettura, anche lì potendo scegliere avresti patteggiato ancora per una donna…

Il testo di Musil è molto diretto, esemplare. Nelle mie parole dico che avrei preferito delle mani di donna piuttosto che avere a che fare con simile pochezza, ma ancora una volta non bisogna generalizzare, perché anche se si possono incontrare degli esemplari appartenenti a questa categoria, non mi sognerei mai di affermare che gli uomini siano senza qualità.

Uno di questi è di certo il tuo fidato co-autore Kaballà, mi sembra che la vostra collaborazione in questo disco si sia proprio sublimata…


Adoro Giuseppe (Rinaldi n.d.c), con cui lavoro oramai da dieci anni con assoluta soddisfazione. Probabilmente anche in questo caso ci siamo scambiati le parti. Lui ne ha una femminile notevole, io se devo evidenziare quella maschile non mi faccio troppi problemi. Guai se non fosse così, tra di noi c’è una sintonia totale, riusciamo a lavorare su piani differenti trovandoci sempre al meglio.


Sembra un momento brutto per la musica, soggetta a un eccessivo anonimato quando non è proprio legata a fenomeni usa e getta, tu invece presti molto importanza anche ai più piccoli particolari, compreso il libretto…

Ho un pubblico esigente ed affettuoso, penso che per tenerlo bisogna anche offrire ed è per questo che sono attenta ad ogni particolare delle mie produzioni che rappresentano una mia estensione. E’ così (o almeno dovrebbe), che la gente riesce a scegliere ciò che merita davvero rispetto alle tante cose inutili che ci circondano.

Questo tuo viaggio intorno alle donne che si rivolge anche agli uomini, si chiude con “Volesse il cielo” un pezzo di magnifica e accorata speranza, scritto da Vinicius De Moraes e poi tradotto al migliore da Sergio Bardotti nell’interpretazione quasi irraggiungibile di Mia Martini…


L’hai detto. Mi ci sono accostata con grande rispetto e timore. Ma soprattutto amore. Un pezzo difficilissimo che solo una grande come Mia poteva affrontare con tutto il suo cuore. Malgrado tutto non è poi molto conosciuto, io l’ho affrontato per l’amore che ho sempre avuto verso di lei, un influenza che mi ha segnato fin da piccolissima.
 

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