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Massimo Zamboni

La mia patria attuale

L’artista è quella persona che ha la straordinaria capacità di intercettare prima degli altri le dinamiche della storia. È come se avesse delle antenne che gli permettono di cogliere in anticipo il senso della realtà e il colore del tempo. Durante la fase più acuta del Covid, almeno da un punto di vita sanitario, Massimo Zamboni stava registrando il suo nuovo album, vivendo sulla propria pelle lo straniamento, le fatiche, la difficoltà, il dolore che si tagliava come si taglia la nebbia in pianura Padana. Viaggi su autostrade isolate per andare a registrare i brani, pizze mangiate alla bell’e meglio su cartoni tristi, ma soprattutto un senso di grigiore che ti avvolgeva. Questo clima cupo ha inevitabilmente coinvolto Zamboni portandolo a codificare tutto questo in parole e musica straordinarie.

Il risultato è La mia patria attuale, un lavoro compiuto che legge e traduce in canzoni lo stato della società italiana di oggi e potremmo quasi definirlo un disco oscuro, un dark album. Certamente – o almeno per chi scrive - è il suo capolavoro discografico ed è un disco che senza alcun dubbio entra nella storia, album caposaldo di questo decennio iniziato in maniera sconvolgente. Merito anche della produzione affidata al talentuoso Alessandro “Asso” Stefana, storico chitarrista di Vinicio Capossela e qui anche polistrumentista (chitarre, bouzouki, pianoforte, mellotron, organo…), che riesce a dare a questo progetto una dimensione omogenea e un respiro ampio e profondo. Si parte subito alla grande con le due canzoni che hanno anticipato l’uscita del disco, Gli altri e il mare e Canto degli sciagurati, già in circolazione in rete, con relativi video, semplici ma entrambi molto belli e significativi. Gli altri e il mare è una canzone morbida e dolente, con le chitarre che ciondolano suoni mentre Massimo snocciola parole intense, come “mare nostro e di tutti gli altri, mare”, ripetute come un mantra fino a che la canzone si chiude al suono delle onde che scrociano. Canto degli sciagurati è un brano che guarda agli ultimi, ai diseredati, agli sciagurati e si sviluppa come una lunga litania, tra canto e parole recitate, splendidamente intarsiata di suoni bellissimi: “non temo ciò che viene, temo chi è venuto già”.

 

I primi due brani fanno da trampolino di lancio ad un lavoro che rimanda ai cantautori storici, viene in mente per la tematica il De André di “Anime salve”. Un disco quindi che può anche essere la pietra miliare per una nuova stagione cantautorale, giunta allo stremo e soppiantata dalla “canzone leggera” ma che in questo contesto di crisi e di grigiore può trovare la forza per ripartire, grazie a protagonisti di spessore, qualità e intelligenza come Massimo Zamboni. L’album non ha cadute di tono, tra echi del passato musicale di Zamboni e un impeto e una consapevolezza cantautorale nuova, a cui si aggiunge la produzione di “Asso” Stefana a completare l’opera, che non abbiamo timore di definire di taglio internazionale. Tra i brani successivi, tutti coinvolgenti e appassionanti, per contenuto dei testi e per l’apparato musicale, è struggente Il nemico, con il canto sommesso di Zamboni che poi si eleva per gridare ad alta voce “Il nemico è penetrato nella mia città, il nemico è penetrato nella mia città”, prima di lasciar spazio ad un violino delizioso e al subitaneo procedere di un arpeggio delicato di chitarra, con uno sfondo monocorde di percussioni, sferzate di chitarra elettrica, parole ripetute (e ribadite) e la chiusa di nuovo ad opera del violino.

Tira ovunque un’aria sconsolata è una folk ballad dedicata “all’Italia abbandonata”, in cui il ritmo lieve della canzone fa respirare senza però mai allontanarsi dalla realtà attuale: “ma verrà il tempo che germina il grano, Sapri era un solco sui volti infelici, verrà quel tempo ci sembrerà strano di essere stati l’un l’altro nemici”. Ci sono anche passaggi musicalmente più classici, come la title track La mia patria attuale, con basso e batteria tradizionali, il piano e il canto discreto di Massimo. Il “vero” Zamboni ritorna nei due brani conclusivi, che già dal titolo si preannunciano come canzoni tipicamente sue. Fermamente collettivamente è costruita su un tappeto melodico tenue – vivacizzato nella parte centrale del brano - che ospita la voce pacata di Massimo, una sorta di recitazione a favore del recupero di alcuni valori trascurati in particolare dai “compagni”, richiamati più volte nel brano. Una canzone che ricorda un po’ Franco Battiato (del quale i C.S.I. interpretarono E ti vengo a cercare, con ospite lo stesso Battiato nella parte finale del brano) e che precede l’ottima Il modo emiliano di portare il pianto. Una canzone splendida e commovente, di popolo, che conduce il disco verso una dimensione letteraria e poetica, rimarcando le immense qualità liriche di Massimo Zamboni. “O se le tombe dei forti non fossero scavalcate dalle sconsiderate tangenziali messe in circolo tra il nuovo e l’antico ponte allora potremmo trovare la forza di edificare ciò che non è, chiedendo conforto e senso all’atto del lavoro. E questo è Il modo emiliano di portare il pianto.” Anche questo brano parte soffuso per crescere ad un certo punto, grazie all’ingresso de ‘L’usignolo-concerto a fiato’ che con sax, tromba, trombone, bombardino, quartino, corno e tuba rende la canzone frizzante e in linea con il suo senso popolare. Conclusione bellissima e degna di un album che ha tutte le carte in regola per candidarsi come miglior disco italiano dell’anno. Il disco esce anche in edizione speciale per Librerie Coop.

Qui sopra Zamboni in una foto di Diego Cuoghi e in alto in una foto di repertorio

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In dettaglio

  • Anno: 2022
  • Durata: 40:38
  • Etichetta: Universal Music Italia

Elenco delle tracce

01.   Gli altri e il mare

02.   Canto degli sciagurati

03.   Ora ancora

04.   Italia chi amò

05.   Il nemico

06.  Tira ovunque un’aria sconsolata  

07.  Nove ore  

08.  La mia patria attuale 

09.  Fermamente collettivamente  

10. Il modo emiliano di fermare il canto

Brani migliori

  1. Gli altri e il mare
  2. Canto degli sciagurati
  3. Il nemico

Musicisti

Massimo Zamboni: voce, chitarre, basso, programmazioni - Alessandro “Asso” Stefana: chitarra acustica, chitarra elettrica, bouzouki, pianoforte, mellotron, organo, omnichord, basso, echi a nastro - Cristiano Roversi: basso, tastiere, orchestrazioni - Erik Montanari: chitarre - Gigi Cavalli Cocchi: batteria - Simone Beneventi: percussioni - Andrea Lamacchia: contrabbasso in Fermamente Collettivamente - Alessandro Pipino: tastiera in Il modo emiliano di portare il pianto
Concerto a fiato L’Usignolo: Mirco Ghirardini: quartino e sax - Fabio Codeluppi: tromba - Valentino Spaggiari: bombardino e trombone - Dimer Maccaferri: corno - Gianluigi Gialla Paganelli: tuba