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Vent'anni. Vent'anni senza Fabrizio

Storia diversa per gente normale, storia comune per gente speciale (ricordando Faber)

Gocce di splendore cadono nel buio

Suonano forte le campane, oggi, più di tutti gli altri giorni. Suonano forte, come l’11 gennaio di venti anni fa. Fu un giorno triste. Uno di quelli che non ti scordi, in cui il mondo si ferma, fa un inchino e piange in silenzio per la scomparsa di Faber. Suonano forte le campane e risuona, ovunque, oggi, il suo credo su mille chitarre. L’ultimo tour solo un anno prima e poi la morte lo ha portato in collina. Da allora, un diluvio di parole spese, omaggi, persino una fiction. Troppo clamore, a volte, ma era inevitabile. Come è inevitabile chiedersi, oggi, a vent’anni di distanza, che cosa sia rimasto della sua buona novella e cosa direbbero, oggi, proprio oggi, mentre noi preghiamo in gennaio la sua morte, tutti i personaggi di De André, se provassimo magicamente a immaginarceli fuori dalle righe. Via, con un balzo, scavalcando i testi, le parole e giù, nel mondo dei 2000. Loro, incastrati, da vent’anni ormai, dentro canzoni scritte in tempi sicuramente meno cupi, canzoni che già spingevano forte, in direzione ostinata e contraria. Loro, liberi, passionali, pieni di furore e voglia d’amore per un mondo diverso. Difficile, come difficile scrivere qualcosa che non sia già detto, già scritto, già fatto. E allora, in un esperimento tra il folle e il visionario, abbiamo provato a comporre una storia, infilandoci suggestioni, immagini, versi. Innamorandoci di tutto. E voltando la carta.

Questa è la storia vera di un uomo onesto, un uomo probo, con un mondo nel cuore, un lampo in un orecchio e nell’altro il Paradiso che, insieme a un gorilla, Carlo Martello tornato dalla battaglia di Poitiers, i guerrieri di Valois, Miché, Giovanna D’arco e quattro gendarmi, coi pennacchi e con le armi, disse, in una notte senza luna «forse è meglio, forse è ora che io vada». Aveva un solco lungo il viso, come una specie di sorriso, occhi di bosco e una bocca infedele che sapeva di fragole e miele. Col suo ordine discreto nel cuore, tra i gelati e le bandiere, rischiò la libertà strada per strada, scordò le rotaie verso casa per arrivare a incontrar la gente. Aveva un invito all’Hotel Supramonte, dove vide la neve. Perse un treno, in un giorno incerto di nuvole e sole. Sui viali dietro la stazione rubò l’incasso a una regina e quando lei gli disse «Come», lui le rispose «Forse è meglio, è come prima, forse è ora che io vada».  E la regina lo seguì.

Passò giorni di finestre adornate e giornate furibonde senza atti d’amore, e senza calma di vento, nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi; pianse in uno specchio di neve, si assopì all’ombra dell’ultimo sole, evaporò in una nuvola rossa e prima di sedersi tra i nostri “arrivederci”, barattò la sua chitarra con una scatola di legno.

Ma era molto meno stanco di noi. E un innocente lo seguì. Incontrò Nancy, con la sua bigiotteria, che portava calze verdi, Andrea che si era perso e non sapeva tornare, Suzanne, che gli offrì un te e le arance portate dalla Cina, Marinella che scivolò nel fiume a primavera, Sally con un tamburello, Franziska stanca di pregare, Teresa con gli occhi secchi e le labbra screpolate, un parroco, una che la chiamavano bocca di rosa e una graziosa con gli occhi verdi color di foglia. Vide un cartello giallo, con una scritta nera, pensò a tutto quello che non aveva e per correre più forte della malinconia, senza corona e senza scorta, rosso come l’amore il suo mantello, munito di una coda di lupo, andò verso il mare, senza barche per traversare, innamorandosi di tutto. «Adesso è meglio, adesso è giusto, è giusto, che io vada».

Solo la morte lo ha portato in collina, tra vortici di polvere, nuvole barocche e ricordi, tanti.

Raccomandò «Non vi conviene venir con me, dovunque vada. Ma c’è amore un po’ per tutti», è stato meglio lasciarci che non esserci incontrati mai.

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Le foto sono di Reinhold Kohl (Archivio Fondazione Fabrizio De André Onluns) e Mimmo Dabbrescia (courtesy Archivio Art. D2 – Milano), tratte dal sito ufficiale della Fondazione De Andrè.

http://www.fabriziodeandre.it

 

 


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