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Incontriamo il Maestro per parlare del suo amore per Rossini ma anche dell’intramontabile attualità della musica classica.

Stabat Mater, l’ultimo lavoro di Filippo Arlia

Calabrese di nascita, orgoglio italiano nel mondo della musica

Stabat Mater.
Due sole parole narranti il dramma dell’essere umano, incapace di comprendere il significato della morte, della vita, del disegno divino. Lo sguardo attonito di Maria, inerme di fronte alla crocifissione del proprio figlio, viene raccontato da Gioachino Rossini nell’opera considerata all’unanimità il suo capolavoro; una preghiera che, affondando le radici nella tragedia, culmina nella speranza e nella fede in un Dio misericordioso che non dimentica i propri figli.

In un momento storico in cui sono le incertezze a dominare la scena della nostra vita, il Maestro Filippo Arlia ci regala la sua interpretazione di ‘Stabat Mater’, un pregevole lavoro in cui ha coinvolto l’Orchestra Filarmonica della Calabria e il Coro Lirico Siciliano. E proprio nei punti più impervi dell’incommensurabilità dell’esistenza si cela la chiave per riscoprire quei valori da tutti noi dati per scontati: una stretta di mano, un abbraccio, uno sguardo a distanza ravvicinata. Un disco da ascoltare come se al di là della complessità e della completezza dell’opera rossiniana vi fosse un invito a riflettere sulla straordinarietà dell’ordinarietà. Un legame, quello fra il compositore pesarese e il Maestro, diventato indissolubile nel 2018, quando, nemmeno trentenne, Filippo Arlia è stato l’unico musicista italiano chiamato a celebrare il centocinquantesimo rossiniano alla Carnegie Hall di New York.

Sì, New York, avete capito bene. Il Maestro è abituato ai record, come si legge in questa intervista (clicca qui) realizzata l’anno scorso, quando abbiamo avuto il piacere di incontrarlo per la prima volta. Ma nonostante il suo palmares invidiabile, Filippo Arlia non ha perso lo stupore e il sorriso di ogni bambino che schiaccia per la prima volta il tasto di un pianoforte. Il suo talento e le ore che sin da quando ha quattro anni dedica allo strumento, sono diventati il suo passe-partout per il mondo intero. Eppure lui torna sempre nella sua Calabria, al suo 'Conservatorio di Musica Tchaikovsky', a Nocera Terinese in Provincia di Catanzaro. La Calabria – dice Arlia - è una terra meravigliosa, bisognosa tuttavia di un riscatto sociale che può arrivare solo attraverso la cultura e attraverso i giovani”.

Giovani il cui sacrificio si traduce anche nella fatica per raggiungere il Conservatorio, a causa di una rete di trasporti spesso inefficiente. Giovani cui il Maestro, conscio della dedizione e della cieca fiducia da riporre nella Musica, ripete di non demordere. Giovani i quali, pur avendo talento da vendere, rimangono troppo spesso nell’ombra, a causa della totale indifferenza della classe dirigente di fronte alle loro capacità. Forse chi ci governa dovrebbe studiare per capire che non si può amministrare senza incentivare e scoprire i giovani”, afferma Arlia, il quale si reputa fortunato perché “ad un certo punto qualcuno ha acceso i riflettori su di me; tuttavia non si può pretendere che tutti i giovani calabresi di talento vengano ‘scoperti’ per caso”. La ricetta c’è, solo che bisogna lavorare, puntare sul futuro a partire dal presente.

Non è facile, il mondo della musica. Non è facile nemmeno per un recordman come Arlia, spesso vittima di aspre critiche da parte dei puristi della musica classica, i quali storcono il naso di fronte all’apertamente dichiarata passione del Maestro per il jazz, il soul e il gospel. Come diceva Beethoven, per fortuna nessuno ha mai fatto una statua a un critico. La musica non è giusta o sbagliata, bensì bella o brutta. L'Europa è troppo razzista al riguardo della catalogazione della musica: la classica deve reinventarsi in maniera intelligente attraverso l'integrazione e la contaminazione dei generi”.
Arlia è un acceso sostenitore sia dell’intramontabile attualità della musica classica, nonché delle somiglianze che accomunano quest’ultima al jazz: “Il primo jazzista della storia è stato Bach, addirittura nel 1700. Per fare un esempio più recenti, si pensi a Pavarotti, il quale ha cantato con James Brown e Ray Charles”.

La musica, insomma, è tutto fuorché un’etichetta, un recinto. Come ha affermato il compianto Ezio Bosso, la musica è una fortuna, nonché una terapia. “Qualcosa senza la quale non si può vivere”, conferma Arlia, il quale quando sale su un palco si sente pervaso dalla consapevolezza, dal desiderio e dalla volontà di poter aiutare gli ascoltatori a ricongiungersi con la propria anima.

 

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http://www.filippoarlia.net/

 


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