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Spettri – La (ri)apparizione del disco fantasma

A volte risuonano - Ristampe d'autore

Capita, normalmente, che un disco sia pronto per essere pubblicato e capita, a volte (meno spesso fortunatamente) che quest’uscita non avvenga mai… poi ci sono casi, un po’ particolari, nei quali la storia di un album diventa una piccola epopea in cui si verifica una sorta di congiunzione fra casualità, memoria e, perché no, un pizzico di “magia”, ed allora, questa storia, vale la pena di raccontarla.

Nel 1964 gli Spettri sono uno dei tanti complessi beat che “fanno ballare” l’Italia del boom economico, con una differenza, non da poco, rispetto alle band coeve: l’impatto dal vivo del gruppo, dovuto anche ad un’amplificazione decisamente potente, fatto inusuale per l’epoca.

Dalla metà degli anni ’60 la band fiorentina, come succedeva spesso, attraversa numerosi cambi di formazione assestandosi in maniera definitiva nel 1970.

Ugo Ponticello, voce, Raffaele Ponticello, chitarra Gibson SG 1966, Ampli GRS C-55, Wah Wah, chitarra acustica Martin OM 1969, Vincenzo Ponticello, basso Gibson EB-0L 1970, Ampli GRS G-100, Stefano Melani, organo Hammond L-100, Ampli Davoli “Phone Doppler” e Giorgio Di Ruvo, batteria Ludwig, iniziano però a virare verso suoni decisamente differenti, lontani dal beat, più cupi, più oscuri: l’ascolto di numerose band quali Spirit, Deep Purple, Black Sabbath, Colosseum, King Crimson, ma anche Atomic Rooster, Black Widow, Steamhammer, stravolgono le consuetudini musicali della band toscana che si lancia nella realizzazione di una suite/concept, basata sui testi scritti dal cantante, in cui “un uomo, attraverso una seduta spiritica, ricerca se stesso abbandonandosi alla metafisica e all'aldilà per ricercare una ragione di vita, trovandosi solo a vivere un terribile e reale incubo, dove trova se stesso, ma abbrutito da tutti i mali della società moderna”; nello sviluppo del brano Medium, il riferimento alla celeberrima In-A-Gadda-Da-Vida degli Iron Butterfly appare del tutto evidente.

Questo lavoro, composto tra il 1970 ed il 1971, viene proposto interamente, dal vivo, durante i numerosi concerti che gli Spettri tengono fra Toscana e Lazio spesso in qualità di “opener” per le più note band progressive rock dell’epoca; successivamente, e precisamente venerdì 13 Ottobre 1972, il brano, diviso in quattro movimenti, viene registrato in un’unica session dopodichè, come nei migliori thriller, questo nastro sparisce…

Le case discografiche oltretutto, in virtù delle nuove tendenze musicali che si impongono dalla seconda metà dei “seventies” in poi, si allontanano da questo genere, che viene (quasi) definitivamente sepolto dall’ondata punk che inizia a montare nel 1977.

Neppure verso la fine degli anni ’80, periodo in cui il fenomeno new-prog riporta alla luce un certo modo di intendere la musica, colto, “da ascoltare” e non da consumare in poco tempo, la composizione degli Spettri riemerge dalle nebbie del tempo, anzi; complice la nuova avventura musicale dei protagonisti, divenuti nel 1983 Dennis and the Jets, ed orientati verso tutt’altro ambito musicale, fondamentalmente blues e rock ‘n roll, quella composizione appare ormai irrimediabilmente dimenticata, forse perduta…

E invece le cose vanno in un altro modo…

Nel 2011, ovvero esattamente quarant’anni dopo la composizione, il nastro contenente Stare solo, Medium, Essere ed Incubo, le quattro parti in cui si divideva la suite, viene ritrovato, nel modo più “classico”, ovvero in una polverosa cantina nel quale era finito, probabilmente, insieme ad un po’ di “cianfrusaglie” dell’epoca.

La registrazione che si è salvata, non è certo perfetta, in quanto erano “d’epoca” anche i mezzi di registrazione, la voce a tratti denota qualche pecca, tipica delle giovani band abituate a suonare dal vivo in mezzo a molta gente vociante, ma meno avvezza alle sedute in sala di registrazione (ed ancora meno abituate a registrare, in pratica, un album intero in una singola session…), eppure la Black Widow Records è riuscita a rimasterizzare il pezzo restituendo buona parte della brillantezza originale, e prima della fine dello scorso anno l’album ha visto finalmente la luce.

Il prog italiano recupera un altro tassello della sua storia, probabilmente neppure l’ultimo, e conferma quanto è ormai sotto gli occhi di tutti: nel decennio 1970-1979 ci fu una fioritura incredibile di band, ed un’altrettanto florida produzione di album, per non parlare dei numerosissimi concerti e festival nei quali tutti questi artisti ebbero modo di proporre i loro lavori; ogni tanto gli archivi, le cantine, i cassettoni polverosi, restituiscono parti di questa vicenda, che nel tempo ha assunto dimensioni davvero importanti: dopo l’Inghilterra, in Europa, è sicuramente l’Italia il luogo in cui il progressive ha avuto lo sviluppo quantitativo e qualitativo più rilevante, ed è bello poter raccogliere ancora, a distanza di anni, alcuni frutti di quell’esperienza creativa.


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