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Franchi – Giorgetti – Talamo “Il vento ha cantato per ore tra i rami dei versi d’amore”… ed ancora si ode il canto…

A volte risuonano - Ristampe d'autore

Iniziarono a suonare nei primi anni ’70, Danilo Franchi, che arrivava da Fiume, Vittorio Giorgetti ed Oliviero Talamo, originario di Napoli, dopo diverse esperienze, per la maggior parte nell’ambito del fenomeno beat, e nel 1972 pubblicarono il loro primo album, arrangiato da un giovanissimo Nicola Piovani, quello stesso Il vento ha cantato per ore tra i rami dei versi d’amore che, a distanza di quarant’anni ripropongono remixato e rimasterizzato, e con l’aggiunta di due brani, l’inedito Primavera ed In cinque m’han legato le mani con il quale parteciparono, nel 1973, al Disco per l’Estate.

Nel 1977 decisero che l’esperienza poteva dirsi conclusa, ma dopo tredici anni ripresero a collaborare, per un breve periodo, realizzando i brani che sarebbero poi confluiti nel loro secondo album, Buongiorno felicità, bentornata tristezza, pubblicato però solamente nel 2006.

Era dunque giunto il tempo di riguardarsi negli occhi, e di ripartire dalle origini: la tecnologia in campo musicale, fortunatamente, oltre a diversi aspetti discutibili, offre anche la possibilità di recuperare fedelmente i suoni che, all’epoca, a causa dei limiti delle attrezzature, non sarebbero mai stati captati durante le registrazioni, malgrado l’eccellente lavoro, in sede di produzione, di Roberto Danè e la perizia di Pino Mastroianni dietro al banco mixer nelle tracce originali; per l’ascoltatore, forse, possono apparire dettagli ininfluenti, ma per chi quella musica l’ha ideata, massa su carta e poi suonata, la differenza è decisamente abissale.

Il lavoro di revisione e rimasterizzazione effettuato da Giovanni Pasquetti e Rocco Cosentino è stato, in quest’ottica di “restauro”, assolutamente fondamentale.

Ed allora ecco i quattro “tempi”, in cui era stato suddiviso quel lavoro, ritornare al loro suono originario, ed i due brani di cui si è detto prima andare a completare questa sorta di regalo che il trio ha voluto e si è voluto fare, quasi a porre le basi, perché no, per una nuova partenza.

Un album in cui l’influenza della musica classica, retaggio di quel periodo in cui classico e rock iniziavano ad andare a braccetto, si rende evidente fin dalle prime note; eppure ciò che esce da questi “solchi” non è né barocco né eccessivo: si respira un’aria bucolica, rilassante, quasi che l’album fosse stato concepito in una fattoria, in un cottage isolato, a contatto con la natura, in un ambiente in cui l’aspetto visivo abbia fortemente ispirato i singoli brani.

Questo risultato è frutto, certamente, dell’interplay chitarristico creatosi fra i tre protagonisti, ma risente anche del fatto che Maurizio Majorana, albasso, ed Enzo Restuccia alla batteria, hanno “capito” al volo quali fossero le intenzioni del terzetto, non solo assecondandone le direttive, e fornendo una robusta base ritmica, ma interagendo attivamente nella realizzazione dei brani; inutile dire che la presenza di Nicola Piovani, nelle vesti di pianista e soprattutto di responsabile dell’orchestrazione e degli arrangiamenti, in collaborazione con la Grande Orchestra “Unione Fraterna e Artigiana”, arricchisce i brani di quella pienezza espressiva orchestrale che caratterizza peraltro tutto il lavoro.

Ed almeno per questa volta, davvero, bisogna ammettere che il lavoro di rimasterizzazione e remixaggio, che spesso è solo una mera scusa per ripubblicare materiale già edito, ha davvero offerto un risultato eccellente: le chitarre acustiche, i brevi soli e le ritmiche della chitarra elettrica, gli inserti orchestrali, il basso pastoso e la batteria, specie nei suoi passaggi più percussivi, vengono restituiti all’ascolto in modo brillante con un suono moderno, attuale, dinamico e “presente”.

Qualche passaggio pop, altri momenti con un approccio più cantautorale, al limite anche “impegnato”, Eccolo qui, questo domani, che si inseriscono senza forzature in un concept album che ha il sapore del progressive primigenio, ancora ricco di numerosi ed evidenti contatti con il folk e con le atmosfere acustiche, ma che, bypassando il beat, già si dirigeva verso lidi di matrice più rock.

Gli impasti vocali restano, comunque, uno dei segni distintivi dell’album, a cavallo fra il pop italiano e certe atmosfere “westcoastiane” che caratterizzavano il prog acustico made in Italy.

Questo tuffo nel passato, comunque, non è soltanto una mera operazione di riscoperta, bensì un mezzo per comprendere quanto la musica, prodotta in quel periodo, sia in grado di sfidare il trascorrere del tempo, il mutare delle mode, i cambiamenti di stile: e se questa sfida sia, o meno, vincente, non è decisione da prendere a priori e certamente non su base puramente “anagrafica”.

Solo l’ascolto può dire una parola definitiva; certo, se i tre quarti d’ora dell’album scorrono via senza pause, in modo lineare, lasciando dentro il sottile piacere di aver ascoltato una narrazione piacevolmente a cavallo fra realtà e fantasia, ebbene, la risposta nasce quasi spontanea…


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