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Malika Ayane

In punta di piedi

La copertina del disco la ritrae leggera, timida, come se volesse entrare in punta di piedi: non così nelle classifiche e nella programmazione delle radio dove Malika Ayane è fortemente presente con la sua voce e con le sue canzoni. Brani che svelano il talento di un’interprete che, tra gli altri, ha saputo stregare come ormai è noto anche sua maestà Paolo Conte.


Come stai vivendo questo momento di successo e di interesse per il tuo lavoro?
Bene, anche se sento una giustificabile ansia da prestazione visti i risultati. L’idea di deludere mi terrorizza ma non posso negare il mio entusiasmo per quello che mi sta accadendo, soprattutto perché vedo la mia passione per la musica trasformarsi in qualcosa di molto concreto.

Ma te lo aspettavi questo entusiasmo? O avevi già pronto un piano b nell’eventualità che le cose sarebbero andate male?
Più che aspettarmi questo successo ci speravo, anche se credo che nessuno arrivi a fare un disco senza sperare di sfondare e avere successo. Non me lo aspettavo soprattutto perché stiamo vivendo un momento critico per la musica così come in generale per la società e l’economia per cui diventa molto difficile creare qualcosa di nuovo e allo stesso tempo qualcosa che non venga consumato rapidamente. Però non avevo un piano b: avrei voluto fare la giornalista, ma anche questa strada mi sembra ardua da percorrere di questi tempi. Sono un po’ incosciente e quindi prendo quello che viene senza pensare a quello che sarà, senza pensare a delle alternative.

I giornali hanno parlato di te come la voce che ha stregato Paolo Conte. Cosa ci puoi dire di questa esperienza con l’Avvocato di Asti?
Paolo Conte
ha scritto per me Fandango, il brano che chiude il disco. Quando io e Ferdinandò Arnò, che il disco l’ha prodotto, abbiamo ricevuto l’mp3 del brano ci abbiamo messo quasi un mese prima di trovare il modo giusto per utilizzarlo e interpretarlo. Poi siamo andati a fare un provino in un paesino in provincia di Asti dove Paolo stava registrando con la sua band. Mi aspettavo un uomo austero ed invece sono arrivata lì, in questo studio di registrazione anni settanta che sembrava non essere mai cambiato, e me lo sono trovato davanti ed  è stato tutto molto naturale e molto bello.

Come sei arrivata alla Sugar? E com’è stato lavorare con Caterina Caselli?
Stavo lavorando con Ferdinando Arnò ad alcuni jingles tra cui Soul waver ed è stato proprio lui a portare in Sugar alcuni provini. Sono piaciuti ed eccomi qua. Caterina Caselli è una forza della natura: ha dato a Ferdinando massima autonomia e libertà per realizzare il progetto. E’ straordinaria perché non impone nulla ma cerca di far emergere la vera personalità ed il talento dell’artista. Investe tantissimo, soprattutto economicamente, ma poi si affida completamente all’artista che ha scelto. 

Oltre a Conte, anche Giuliano Sangiorgi dei Negramaro ha scritto per te un brano. Cosa ne pensi della musica dei Negramaro?
Conosco i Negramaro così come li conosce tutta Italia. Sono una band molto energica e molto unita. Giuliano ha scritto per me Perfetta che è stata il mio debutto in italiano. Ero terrorizzata, avevo paura di non essere in grado. Il testo è molto bello, molto femminile e ho fatto fatica a trovare la giusta interpretazione sia per la responsabilità di cantare un pezzo loro, sia appunto perché era la mia prima volta in italiano. Giuliano mi ha molto aiutato in questo, ha avuto molta pazienza nel sostenermi e condurmi verso l’obiettivo.

Altra presenza forte è quella di Pacifico che oltre ad aver scritto per te Controvento ha anche curato Sospesa, la versione italiana di Soul waver. Secondo te come ha reso la traduzione del tuo pezzo?
Sospesa
è diversa da Soul waver. Pacifico è stato straordinario perché non ha fatto una mera traduzione, ha completamente riscritto il pezzo dandogli una totale autonomia rispetto a Soul waver. Con Ferdinando avevamo provato con altri autori ma nessuno come Pacifico è riuscito a fare con Sospesa un pezzo che vive di vita propria.

Hai una formazione estremamente  classica: diplomata in violoncello al Conservatorio, fai parte del Coro delle Voci Bianche del Teatro alla Scala. Ma quali sono le tue radici musicali?
Innanzitutto non sono ancora diplomata al Conservatorio. Sto ancora studiando. Ho scelto di iscrivermi al Conservatorio perché ho sempre pensato che per fare musica fosse necessario avere questa formazione. Per quanto riguarda le mie radici musicali, sono cresciuta ascoltando jazz, blues, la black music. I miei genitori ascoltavano soprattutto black music, Isaac Hayes, James Brown ma anche Edith Piaf e il blues. Ed è con questa musica che mi sono formata.

Invece tra le signore della musica italiana ed internazionale quale consideri il tuo modello?

Sono tante le cantanti e cantautrici a cui mi ispiro ma il denominatore comune è che si tratta di cantanti con forti personalità, che compiono piccoli rivoluzioni non solo per la musica che fanno ma per i loro comportamenti, le cose che si raccontano di loro. Sono molto più interessata agli aneddoti, insomma a ciò che va oltre la loro musica: in questo senso Loredana Berté, Donatella Rettore, la stessa Caterina Caselli sono i miei punti di riferimento.

Quindi nessuna delle jazz singers in salsa pop emerse negli ultimi anni?
Io ascolto moltissima musica e mi piace prendere quello che c’è di buono in ogni singolo pezzo che mi capita di ascoltare, fare mio ciò che mi sorprende e quel singolo pezzo mi lascia. Mi piace molto Diane Krall soprattutto per quella sua voce un po’ bassa che sento molto simile alla mia. Norah Jones è grandissima ma come spesso succede alle cantanti jazz che hanno successo, finisce che poi il jazz stesso le escluda proprio perché troppo popolari.

Metà della tracklist del tuo album è cantata in inglese: come vedi il tuo prossimo lavoro, sempre in inglese?
Il mio desiderio sarebbe quello di cantare in più lingue e mi auguro in futuro di realizzare un disco come quello dei Pink Martini. D’altra parte, come dice Paolo Conte se fai un disco in due lingue, perché non in tre?


(18/11/2008)

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