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Antonio Marangolo Quartetto

Altrimenti detto il ritorno all’ovile di Antonio Marangolo. Già: il sassofonista, partner storico di Conte e Guccini (fra gli altri), attualmente in forza al gruppo vintage di Vinicio Capossela e a I Musici, che com’è noto tramandano il repertorio del Maestrone da quando questi ha deciso di scendere dal palco (e ora pare sia in cantiere un lavoro teatrale, con loro più altri, sempre di argomento gucciniano), a Ovada, la cittadina del Basso Piemonte che ne è il buen retiro ormai da quindici anni (un’autentica era geologica, per uno che, novello Beethoven, ha fatto più di trenta traslochi), non suonava da un pezzo. Ha deciso di riprendere il discorso, acclamato dai molti che non ne vedevano l’ora, per presentare la sera di domenica 28 gennaio il suo nuovo quartetto (replica al Pozzo Jazz House di Genova nel corso di febbraio, data ancora da destinarsi) e con esso il cd fresco di stampa Waterloo, edito da Sajamastra, l’associazione che organizza il Jaci&Jazz di Acireale, città natale del Marangolo, che ne è il direttore artistico, e dove il quartetto ha debuttato nel settembre scorso in un concerto assolutamente memorabile.

 

Da quella serata proviene l’ultimo brano del cd, per il resto inciso in studio (ci torneremo nel prossimo Arcipelago Jazz qui su L’Isola che non c’era), ma ora è il momento di riferire del concerto ovadese, in cui i quattro musici - gli altri tre sono Andrea Paganetto alla tromba, il rampollo del gruppo, Claudio Bellato alla chitarra elettrica e Rodolfo Cervetto alla batteria, tutta gente di mare, ligure, nello specifico - hanno sfoggiato ancora una volta il loro avanzatissimo interplay, generando strutture in diretta, con pochissimi segnali convenuti da parte di Marangolo, visto che la musica è totalmente improvvisata. C’è stata, è vero, una partenza “tematica” attraverso un antico canto popolare francese esposto dal solo sax tenore, ma per il resto tutto si è svolto secondo copione, che vuol dire appunto improvvisazione senza rete, ma con una conoscenza reciproca e un senso (una percezione innata, diremmo, anche se pur sempre coltivata, addestrata) della forma che non ammettono sbavature o salti nel vuoto.

Si arriva addirittura a elaborare spunti tematici lanciati dal singolo e raccolti (e quindi condivisi) dagli altri, generando appunto una struttura, un’architettura, all’impronta inappellabile. Nel senso che, pur non mancando qualche fisiologico – e del resto necessario – azzardo (a partire dal momento in cui Marangolo si mette a vocalizzare in una sorta di ispanico maccheronico), tutto procede con una consequanzialità assolutamente ammirevole, fra episodi più accesi e altri più morbidi (ed è qui che emerge la vena più à la Gato Barbieri del Nostro, sempre accanto a quella rollinsiana, senza dimenticare tutta una schiera di tenoristi classici dal suono largo e rapsodico).

Perché sì, Antonio Marangolo è ormai uomo di jazz a tutti gli effetti, ciò che del resto è sempre stato (ha voluto rimanere), nell’intimo, per quanto la vita errante del musico lo abbia portato altrove. Ora è tornato all’ovile, e pur fra i mille dubbi che sempre si porterà appresso, ci rimarrà. Come a vivere a Ovada, l’ha confermato lui stesso. Una doppia certezza, che per l’uomo del dubbio non è tutto sommato poca cosa.

Foto di Alberto Bazzurro

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In dettaglio

  • Data: 2024-01-28
  • Luogo: Enoteca Regionale di Ovada e del Monferrato - Ovada
  • Artista: Antonio Marangolo Quartetto

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