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Estra

Gli anni Venti

Come ebbi a scrivere in un’altra recensione, il 2024 italiano sarà ricordato probabilmente come l’anno delle reunion. Se di quella dei CCCP si è detto a dismisura e di quella dei La Crus abbastanza, ci pare che sarebbe il caso questa volta di dedicare un po’ del nostro tempo migliore anche agli Estra.

Piccolo compendio ad agio dei più giovani o dei più distratti: eravamo nel bel mezzo dei frementi anni ’90, quando sulla pullulante scena alternativa italica fa irruzione “Metamorfosi”, biglietto da visita di questo irruento gruppo trevigiano. L’effetto fu notevole, giacché nonostante una produzione di Massimo Bubola che ne smussava un po’ gli angoli, quelle canzoni scalfivano l’anima come poche: andate a riascoltarvi gemme pure come Non canto o L’uomo coi tagli e poi sappiatemi dire.

Ma è forse con i successivi “Alterazioni” (’97) e “Nordest cowboys” (’99) che gli Estra prorompono in tutta la loro poetica potenza, nello spavaldo e sognante progetto (siamo pur sempre in Italia) di far risuonare in empatia la durezza di un sound emanazione di certo grunge (zona Pearl Jam, per capirsi) e l’incisività di versi densi ed evocativi come pochi. Parlavamo di progetto sognante non perché quei picchi artistici cercati non si siano raggiunti (anzi), ma perché in questo paese chi ha provato a far stare sullo stesso piano una musica senza sconti e dei testi che potrebbero far scomparire il 90% della poesia contemporanea, ha sempre raccolto assai meno di quanto meritasse. I primi nomi che mi vengono in mente, anche se su piani sonori diversi dagli Estra, sono quelli dei Virginiana Miller e degli Elettrojoyce. Ma se Ungaretti i suoi versi li sibilava digrignando i denti e socchiudendo la serranda delle palpebre come uno spiritello del deserto, Giulio Casale li scagliava da un palco a torso nudo, dentro una tempesta elettrica indicibile.

 

Insomma, com’è come non è, anche i nostri amici trevigiani, nonostante le attestazioni di stima e un pubblico di fan irriducibili, registrarono un certo impasse, e a nulla valse il tentativo di “Tunnel supermarket” (2001) di impastarsi le mani con un po’ di elettronica e cercare deviazioni rispetto al percorso tracciato. Anzi, quell’album bistrattato (ma ad ascoltarlo oggi per nulla malvagio) gli fece perdere un po’ della loro fanbase, che si sentì ferita, tradita e via dicendo. Seguì “A conficcarsi in carne d’amore” (2003), il classico live che fa da sipario finale, che ebbe però il merito di far capire a tutti cosa cavolo di gruppo fossero gli Estra sul palco: sudore e nervi. Allo stato puro. E Giulio Casale, cantante, coautore e frontman, era lì a incarnare d’amore il tutto. Poi le strade si divisero e Giulio Casale intraprese una carriera solista in buona parte volta a prendere (in modo eccellente, va detto) il testimone di Giorgio Gaber e della sua forma di Teatro Canzone.

Ma ecco dieci anni fa, d’improvviso, la notizia che gli Estra, sangennari inversi, si ricoagulavano in una serie ristretta di concerti, con due nuovi brani ad accompagnare il loro ritorno sul palco. Si parlò anche di un disco nuovo di zecca che sarebbe dovuto uscire, ma poi non se ne fece nulla. Giulio Casale, con cui parlammo all’epoca, ci disse che era stato fantastico ritrovarsi, ma che l’alchimia giusta per riprendere le fila del discorso non era scattata. Evidentemente questa decade trascorsa (che in campo musicale è più o meno un secolo) ha cambiato le cose e la magia creativa che lega il poker originale Giulio Casale (voce), Abe Salvadori (chitarra), Eddy Bassan (basso) e Nicola ‘Accio’ Ghedin (batteria) è di nuovo eruttata fuori, se è vero che questo Gli anni venti, uscito a maggio, è molto di più una semplice rimpatriata.

 

È semplicemente un grande album, che ci restituisce i migliori Estra di fine ’90 senza per questo risultare revivalistico, tutt’altro. Dopo un curioso intro con una telefonata alla radio di una certa Signora Jones (probabilmente moglie del Signor Jones di “Nordest cowboys”) si parte subito con quel pugno in faccia che è Fluida LoL, uno dei pezzi migliori dell’album, ritratto crudo di un mondo giovanile sempre più sperso (peccato solo che nel missaggio la voce di Giulio Casale resti un po’ sotto…), che finisce con una straniante citazione di “Bella Ciao”.

Il brano successivo Gli anni venti, comincia con un pianino ingannatore, perché subito il ritmo si fa serrato, le chitarre sferragliano e il basso di Eddy scava in profondità per raccontare spietatamente come un presente distopico il nostro tempo sbandato (dicesse quello). È solo con Nessuno come noi che il muro di suono si allenta un po’, piccola oasi di ballata rock che canta di appartenenza e isolamento. Ti ascolto è un altro pezzo di pregio, un’altra fotografia di un’impasse esistenziale (“ma sei bello e incazzato, denunci il Reato/ Non hai mai avuto scelta: sei nato al Mercato” […] “Ti muoverai tra i ruderi/ di umane disfatte, battaglie e rese”). Con quel proiettile di poco più di due minuti che Lascio Roma, in cui nei versi iniziali leggo in translucenza un omaggio a Remo Remotti, il sound torna a farsi nervoso. Il cielo sopra Roma è livido, senza speranza (“Palazzacci delle inquisizioni/ Rotocalchi diretti da Buoi/ Quei sobborghi squadristi e minchioni/ Lascio le Albe Dorate e i rasoi”).

Nel 2026 spinge ancor più su un hard rock tagliente (intendiamoci: hard rock come lo possono intendere gli Estra) che incide la carne di una contemporaneità allo sfascio, in cui la Regressione stende la sua cappa funerea su tutto. Anche qui piccola citazione, con quell’aggettivo “sprassolati” che richiama subito alla memoria Dalla (o chissà, forse anche una certa trasmissione radiofonica…). Vabbè, non stiamo qui a snocciolare una per una le canzoni che vanno a chiudere questo lavoro potente e disincantato, suonato da dio come poca roba in giro, oggi che il software impera a piantarci sul cranio la sua bandiera di uniformità. Segnaliamo solo che a dar man forte c’è la partecipazione di Marco Paolini e Pierpaolo Capovilla (voci recitanti), Giovanni Ferrario e Marco Olivotto.

Per chiudere, sappiate solo che Gli anni venti va ascoltato a palla in cuffia, che la voce di Giulio Casale è uno dei beni immateriali della musica italiana e che Abe, Eddy e Accio gli danno giù come se fosse l’ultima cosa da fare prima che venga giù tutto.
Non vi deluderà.

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Estra e Giovanni Ferrario
  • Anno: 2024
  • Durata: 41:05
  • Etichetta: Estra/Moon Music

Elenco delle tracce

01. [La signora Jones] (-)

02. Fluida Lol (i ragazzi)

03. Gli anni venti (lo scenario)

04. Che n’è degli umani? (le fatiche)

05. Nessuno come noi (l’esilio)

06. Ti ascolto (infinito futuro presente)

07. Lascio Roma (la fuga tentata)

08. Nel 2026 (sul realismo)

09. Il peggiore (introspezione)

10. Monumenti immaginari (tirando ideali ai muri)

11. Notte poi (il razionamento)

Brani migliori

  1. Fluida LoL
  2. Ti ascolto
  3. Nel 2026

Musicisti

Eddy Bassan (basso, cori);
Giulio Estremo Casale (voce, chitarre);
Nicola ‘Accio’ Ghedin (batteria, percussioni);
Abe Salvadori (chitarre, tastiere, cori)