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Roberto Vecchioni a Sanremo e la canzone d’autore

Nella seconda puntata di questa rubrica dedicata alla canzone d’autore contemporanea mi sembra giusto parlare del caso che più di ogni altro ha catturato l’attenzione musicale italiana degli ultimi tempi: la vittoria di Roberto Vecchioni al Festival di Sanremo 2011. Non per altro, ma proprio perché lo stesso Vecchioni sul palco dell’Ariston, prima di ricantare la canzone dopo il verdetto, ha dichiarato i propri intenti e proposto una strada per la canzone italiana, chiamando in causa proprio la canzone d’autore. Queste le parole di Vecchioni:

«Mi sembra di essere riuscito a mettere un po’ insieme quella che è considerata la canzone d’autore con la canzone popolare, e sarebbe la strada giusta per la canzone italiana».

Ecco: la dichiarazione è importante perché viene da uno storico e autorevole protagonista della canzone d’autore, non solo artista ma anche teorico della disciplina.

Prima di tutto vediamo da dove parte Vecchioni. Per la canzone d’autore credo non ci siano dubbi e si possa rimandare precisamente alla prima puntata di questa stessa rubrica; ma a cosa si riferisce Vecchioni con ‘canzone popolare’? Di certo non ai canti delle mondine, alla canzone di lotta, della Resistenza et similia; d’altra parte nemmeno al pop iconico che ripete l’identico e punta sulla riconoscibilità per funzionare. Proprio tramite la differenza rispetto a quest’ultimo possiamo capire a cosa si riferisse il cantautore milanese, e lo facciamo dalle sue stesse parole:

«Io ho una paura spaventosa che il pop in Italia sia frainteso notevolmente, perché una cosa è il pop ‘vero’, cioè quello che viene seriamente dalla concezione del mondo che ha la gente, un’altra cosa è il pop ‘imposto’, cioè quello commerciale, quello dato da quelle icone [...] direi ormai già digerite, riconosciute e riconoscibili, per cui ogni volta che ti si para davanti un’icona di questo genere applaudi o compri il disco» (R. Vecchioni, Incontro con Roberto Vecchioni, in P. Talanca, Cantautori novissimi. Canzone d’autore per il terzo millennio, Bastogi, Foggia, 2008, p. 71).

A questo ‘pop vero’ si riferisce Vecchioni sul palco dell’Ariston, quello «che viene seriamente dalla concezione del mondo che ha la gente». Certo, il rischio è che il confine sia labile, cioè che per riprodurre la concezione della gente in una canzone si sfori in derive iconiche sicuramente riconosciute, per esempio usando espressioni – verbali o musicali – che ormai hanno perso il proprio significato, mantenendo solo la sensazione tranquillizzante del conosciuto. Per di più sul palco dell’Ariston il rischio è esponenziale, perché proprio da lì da sempre si punta alla riconoscibilità dell’identico, ad accordarsi al contesto, fino a che la maggior parte dei cantanti lì canti Sanremo, più che la propria canzone. Credo però che per esempio questo non succeda nella canzone Chiamami ancora amore, se non per l’ultimo verso «Perché noi siamo amore».

Ma è altra storia, arrivo al punto più interessante.

Secondo Vecchioni l’incontro tra la canzone d’autore e questa sua concezione di canzone popolare sarebbe «la strada giusta per la canzone italiana». Il punto però è questo: scegliendo questa strada, questo genere ibrido, in maniera cosciente e per arrivare a più gente possibile – ragione della propria partecipazione a Sanremo che Vecchioni non ha mai nascosto – si arriverebbe comunque a qualcosa di ‘imposto’, molto più vicino al pop commerciale che al suo pop vero (che pure diamo per buono non senza riserve).

In definitiva il punto è che scrivere una canzone è una esigenza espressiva e il linguaggio è un mezzo, il preferito da quell’artista: cosa mai significa dire che una stada sia giusta e un’altra no? La canzone italiana si compone di tanti generi, tanti linguaggi, tanti pubblici, tante tradizioni. Il linguiaggio ‘canzone d’autore’ ha quello suo storicamente accertato, che anche Vecchioni ha contribuito a formare ed è una possibile strada della canzone italiana.

Semplificare le parole da usare, i concetti, i passaggi armonici e melodici portandoli magari dai più arditi ed espressivi ai più usuali e orecchiabili non è che una strada – rispettabile e dannatamente bella alcune volte – non la strada.

Infine: di solito per descrivere il linguaggio della canzone d’autore si usano espressioni spiacevolmente dispregiative: si dice ‘è aristocratica’, ‘di nicchia’, ‘per iniziati’, ‘snob’, ‘intellettuale’. Niente di tutto questo: è semplicemente un linguaggio differente da altri, un atto artistico comunicativo che esalta alcuni elementi della comunicazione piuttosto che altri. Alcuni – pochi o molti non ha importanza davvero – pensano sia il modo più interessante e bello di usare la forma-canzone.

Adesso è proprio arrivato il momento di parlare dei Novissimi.

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