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Latin Lover

Ritmi scatenati, chitarre ruggenti e una voce potente e rauca sono da sempre il marchio di fabbrica di Gianna Nannini. La prima vera, piena, conferma delle mirabolanti potenzialità di un’artista rivoluzionaria, sempre ai limiti, anticonformista e dall’energia talmente straripante da travolgere e affascinare perfino il più esigente pubblico estero (soprattutto quello tedesco) nonostante i suoi testi in italiano, è giunta però solo con il quinto lavoro su lunga distanza, Latin Lover.

I primi dischi della giovane Gianna avevano suscitato una tiepida curiosità, infiammata giusto nel provocatorio California, il suo terzo album che, comunque, si preannunciava come una vera e propria sfida al perbenismo bigotto, a cominciare dalla copertina raffigurante la Statua della Libertà con in mano un vibratore dei colori della bandiera americana. Per l’appunto, però, in quei primi lavori sembrava che il talento della rocker senese fosse interamente dedicato a rincorrere modelli e cliché del rock d’oltreoceano, senza aggiungere né togliere nulla a quanto era stato fatto da altre artiste, finanche nelle interpretazioni vocali. È proprio con Latin Lover, invece, che l’artista inizia a maturare la propria identità, cominciando a intraprendere la strada che la porterà a cavalcare da protagonista l’onda del rock italico (e non solo) almeno per tutti gli anni 80.

A partire dalla scatenata title-track, ancora oggi ricordata come una delle hit intramontabili della Nannini, fino alla ballata non troppo velatamente antimilitarista di Ragazzo dell’Europa (ispirata a un ragazzo polacco incontrato durante la lavorazione di questo LP negli studi di registrazione a Colonia), è evidente che il livello delle canzoni di questo disco si sia impennato vertiginosamente rispetto al passato, arrivando a spaziare con più sicurezza anche in ambienti meno consueti all’interno del pop, come dimostrano soprattutto la microsceneggiatura di stampo noir di Wagon-Lits, con gli effetti sonori che puntualmente enfatizzano il racconto del testo quasi fosse davvero un film, o i tempi dispari di Volo 5/4 che chiude il sipario. In tutto, come spesso accadeva in quegli anni, le tracce del disco sono soltanto otto, ma bastano alla cantautrice toscana per mettere a punto una formula nuova, con temi più impegnati e uno stile personale, sempre meno epigonico e non più marcatamente calcato sulle orme di altre artiste – dei modelli americani di cui si parlava qualche riga fa, ad esempio, era stata soprattutto l’ombra maestosa di Janis Joplin a sfumare l’originalità dei dischi precedenti – definendosi in maniera sempre più iconica, caratteristica e distinguibile nella musica non solo italiana.

 

Galeotto per molti aspetti fu l’incontro con Conny Plank – tecnico del suono, genio dell’elettronica, maestro del kraut rock nonché mente creativa dietro le architetture sonore di numerosi artisti internazionali, tra i quali Kraftwerk, Brian Eno, Ultravox, Can, David Bowie e molti altri –, con cui Gianna lavorerà fianco a fianco a partire da questo disco e per i successivi cinque anni, costretta a interrompere un così felice sodalizio solo a causa della prematura scomparsa del produttore. La giustapposizione delle loro due anime artistiche, con quell’incastro perfetto tra le melodie pulsanti d’italianità, che hanno sempre mosso le composizioni di Gianna, e il sound ricercato, visionario e dai tratti cinematografici tipico di Plank, nonché i loro background diversissimi eppure affini, hanno reso questo disco un piccolo gioiello d’innovazione sonora e al tempo stesso di canzoni orecchiabili e destinate a restare a lungo nella memoria.

Non sono mancate poi diverse “ciliegine sulla torta”, come l’intera line up, formata da una schiera di artisti eccezionali, a cominciare da Jaki Liebezeit (batterista dei Can) fino ad arrivare ad Annie Lennox (dietro le tastiere), che per un periodo è stata anche coinquilina della nostra Gianna, e soprattutto il vulcanico Mauro Pagani, il cui vivace e inarrestabile estro ha colorato il rock graffiante e passionale della cantautrice toscana con inedite sfumature etniche nonché con strabilianti manipolazioni dei suoni di strumenti classici, come lo struggente violino distorto che si esibisce nell’assolo di Ragazzo dell’Europa.

Amata, odiata, incensata, criticata, acclamata e contestata, Gianna Nannini negli anni è stata considerata tutto e il contrario di tutto, eppure la sua poesia rock ha attraversato le generazioni senza invecchiare mai, segno evidente di un talento fuori dal comune, che sin dal lontano 1973, quando a soli 19 anni lasciò la sua Siena a bordo di una motocicletta per raggiungere Milano, ancora oggi non manca di riservarci sorprese.

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