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Canzoni&Parole - Festival di musica italiana ...

  di Annalisa Belluco  ‘Canzoni & Parole’ il festival della canzone d’autore italiana organizzato dall’Associazione Musica Italiana Paris che ha esordito nel 2022 è pronto a riaccendere le luci della terza ...

Gentili omaggi

Massicciamente dal Friuli (ma non solo), arriva una serie di dischi che cavalcano un’onda particolarmente gettonata nel jazz contemporaneo: quella che ama rifarsi a repertori e celebrazioni varie. Con esiti spesso ragguardevoli.  

In un jazz che si guarda sempre più alle spalle (e intorno), gli omaggi, i tributi, le riletture di repertori più o meno centrifughi, rappresentano ormai una costante. Ci sono anzitutto gli album monografici, riguardanti nomi che appartengono all’albero genealogico della musica afroamericana, e non. Tra i primi, un lavoro di notevole interesse è per esempio l’ultimo della Flight Band diretta da Biagio Coppa (foto sopra), del resto non nuovo alla pratica. S’intitola Mingus Uni&Versus (Philology) e verte sul repertorio (ricchissimo) del grande bassista, di cui riprende sette mai dimenticate pagine (Fables Of Faubus, Goodbye Pork Pie Hat, Haitian Fight Song, ecc.), intercalandole con tre composizioni di Coppa (Mingus, Uni e Versus, ovviamente), ovunque non mancando di dire (anche) una parola personale, ingegnosa se non geniale, rinvigorita pure dalla presenza di solisti di vaglia, tra cui spiccano le ance dei vari Succi, Caiani e Coppa stesso.

Calato mani e piedi nel fervore (non solo musicale – era il tempo della New Thing, di cui rimase peraltro sempre ai margini – ma anche sociale, politico) degli anni Sessanta, Mingus ebbe illustri dirimpettai, da Coltrane a Coleman, da Shepp a quell’Albert Ayler di cui giusto in questi giorni cade il quarantennale della morte e al quale il multicordista Paolo Botti dedica l’altrettanto brillante (e solitario) Angels & Ghosts (Caligola). Ed è ovvio che il doloroso grido ayleriano (imperlato di un lirismo non di rado struggente e purissimo) acquisti, in un trattamento tanto inusuale (Botti suona viola, mandolino, banjo e dobro), coloriture e profumi seducenti e seduttivi. Anomali, se vogliamo. E preziosissimi. Un piccolo capolavoro, ulteriormente favorito dalla felice scelta tematica (Our Prayer, Ghosts, Truth in Marching in, più cose estranee alla penna ayleriana).

Ancor più calato nell’agone antisegregazionista era ovviamente Malcolm X, leader maximo della lotta dei neri per i diritti civili. A lui è dedicato un altro signor cd, X (Suite for Malcolm) (Parco della Musica) del sax-clarinettista Francesco Bearzatti alla testa del suo Tinissima 4et (con Falzone, Gallo e De Rossi), opera volta a volta epica e solenne, ruvida e dolente, nervosa, qua e là virata verso il funky, con uno spiccato senso della costruzione; elemento, questo, che lo apparenta al lavoro di un altro friulano, il batterista U.T. Gandhi, che in 40th Anniversary (Artesuono), come già in passato (le registrazioni, live e di studio, risalgono del resto al periodo 2003/2006) si concentra sul repertorio targato Weather Report, il gruppo che rappresentò lo zenit della svolta elettrica post-davisiana (grossomodo dal ‘70 in poi). In quintetto o con ospiti, il disco ha momenti di sicuro spessore (Mr. Gone, Directions, Scarlet Woman, Dr. Hopnoris Causa, Orange Lady, ecc.), confermando che si può rivolgersi indietro senza staccarsi dall’oggi, riuscendo, in più, a dire anche una parola propria.

Tornando al free di Ayler, a celebrarne la sponda europea, a sua volta attiva fin dagli anni Sessanta, ci pensa ancora un friulano, sax-clarinettista come Bearzatti, Daniele D’Agaro, che in Fingerprints (Artesuono) si unisce a due leader storici del movimento, il settantaduenne pianista tedesco Alex von Schlippenbach e il sessantottenne batterista olandese Han Bennink (nella foto sotto, di Roberto Cifarelli), per una serie di libere improvvisazioni (recentissime: giugno 2010) ora turbinose e ora più controllate. E se Bennink e Schlippenbach sono tra i più longevi freemen del Vecchio Continente, colui che per primo, sia pur su tutt’altre coordinate (e del resto anche trent’anni prima), seppe aprire una via autenticamente europea al jazz fu il chitarrista manouche Django Reinhardt, al quale, a cento anni dalla nascita, un altro chitarrista, Simone Guiducci, dedica il suo ultimo progetto, Django New Directions (TRJ), alla testa di un sontuoso sestetto in cui troviamo i già incontrati Succi, Gallo e De Rossi, più Emanuele Parrini al violino e Mauro Ottolini agli ottoni gravi. Il cd, per la verità, parte un po’ in sordina, persino di maniera, si assesta col quarto brano, Djangology, per abbandonarsi poi, a partire dal quinto, Nympheas (tutti i temi sono di Django), a un crescendo inarrestabile.

A un’altra Europa si rivolgono i tre dischi con cui chiudiamo questa odierna puntata: l’Europa di area “colta”, o lì intorno. Quella, per esempio, di Round About Skrjabin (Artesuono), il cui titolo già tende un ponte fra il jazz (Monk, nello specifico) e il grande compositore russo (1872/1915). Il trio (friulano, e ridagli…) che ne è protagonista, guidato dal pianista Renato Strukelj (con Saverio Tasca al vibrafono e Giovanni Maier al basso), si muove in effetti su un terreno ibrido, raffinato e partecipe, più o meno come accade in At Home with Zindars (autoprodotto) di un altro pianista, stavolta messinese, Luciano Troja, che – in solitudine, fra neoromanticismo e più scoperti rimandi jazzistici – vi esprime (anche in un booklet di ben quaranta pagine!) la sua devozione per il compositore contemporaneo (americano, peraltro) Earl Zindars (1927/2005). Tornando in Europa, anzi proprio in Italia, ecco che a Ennio Morricone si vota OSTinLOOP (Pushin) del Piccolo Ensemble Elettroacustico, di fatto un trio che fa largo uso di dialoghi da celebri film (Sergio Leone su tutti) rimontandoli su/con musiche più o meno rivoltate. Spesso ingegnoso, felice a tratti (altrove un po’ ripetitivo). E buon proseguimento…

 

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