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Brunori Sas

Vol.2: Poveri Cristi

È una piccola soddisfazione trovarsi nel bel mezzo del successo di un artista che hai apprezzato fin dal primo momento in cui l’hai ascoltato. Non vi devono esser meriti in questo, ma dal momento in cui Vol. 1 di Brunori Sas finì sulla mia scrivania, tra i tanti nomi sconosciuti, ho compreso che una nuova stella era nata: bisognava solo far sapere al mondo che esisteva. Poi nel giro di mesi è arrivata la vittoria al Premio Ciampi, il trionfale approdo al Premio Tenco, oltre a centinaia di date live che hanno lentamente (due anni di paziente e passionale lavoro) conquistato il Belpaese.

La situazione è oggi notevolmente cambiata da quel 2009 in cui Dario Brunori, reduce dalla pregevole esperienza dei Blume, si presentò emozionato sul palco nazionale, con tanti deliziosi sassolini, nelle sue scarpe da debuttante. Più o meno inconsapevolmente il suo approccio iper-realista ed essenziale, fondato sul concetto più che sull’ambizione tecnica, ha trovato vero riscontro nell’ondata di nuovi cantautori, inaugurata dall’exploit delle Luci della Centrale Elettrica e sancita dal best seller degli anni zero, L’amore non è bello di Dente. Brunori è divenuto in breve uno dei moschettieri della nuova canzone italiana, quello più solare e irriverente, quello più immediato, che nel libretto del disco inseriva anche gli accordi di chitarra delle canzoni, per farle cantare ai falò sulla spiaggia. E noi le abbiamo strimpellate, senza tregua, come una vittoria. Perché l’avvenimento importante stava proprio in questo, nel ritorno sull’italiano, sul quotidiano, dopo l’ebbrezze alternative degli anni ’90. Finalmente, dopo anni in cui si ascoltava Afterhours o MCR, Subsonica o Marlene, in cui si volava da Guccini a Battiato senza mai passare da Battisti, qualcosa era cambiato.

Questa la premessa indispensabile per capire che tra il primo e il secondo lavoro di Brunori Sas le aspettative sono cresciute, e a livello esponenziale.

Vol. 2: Poveri Cristi è un album ambizioso, come vorremo fosse ogni seconda prova successiva a un esordio folgorante. Si parte anche stavolta da un concept, e se l’album precedente si basava sulla nostalgia della propria autobiografia passata, stavolta al centro vi sono i ritratti di una variegata umanità italica alle prese con le difficoltà lavorative, sentimentali, esistenziali, tipiche di chi si trova a vivere o ad aver vissuto in quel paese a metà tra uno stivale e un punto interrogativo chiamato Italia. Non un’espressione geografica, ma una vocazione culturale e poetica che ripete le proprie magie e debolezze ciclicamente, motivo per cui Brunori può permettersi di inserire citazioni e dettagli acquerellati che spaziano lungo la nostra intera storia culturale, quella più pop ma filtrata con fine introspezione (prendendo non a caso Ennio Flaiano come riferimento “spirituale”).

Le intenzioni valide quindi vi sono tutte, le canzoni un po’ meno. Nonostante la proposta sonora arricchita rispetto alla strumentazione ridotta all’osso dell’opera prima, le composizioni finali risultano a tratti non mature in proporzione al risultato prefissato. L’apertura de Il giovane Mario ne è un primo esempio: un bozzetto “Brunori 100%” (voce roca e graffiante, gli amabili “lailalalà”, e tutto il resto) che promette bene, ma in cui si vuole drammatizzare troppo per poi ironizzare senza la giusta efficacia. Lei lui e Firenze riprende in positivo la vena dell’”antica” Italian Dandy, rinnovando nei suoi scorci sul Lungarno, scanzonati e malinconici, decenni di mood mogoliano, setacciando classici da Perché no a Canzoni stonate. In Rosa si lancia un braccio verso San Rino Gaetano, e una strizzata d’occhio verso il folk blues terrigno del Pan del Diavolo, con echi di beat d’antan nel ritornello, confezionando uno spiritoso pastiche agrodolce.

Avevamo già avuto occasione di ascoltare in versione nuda e acustica Domenica notte all’interno della raccolta La Leva Cantautorale degli Anni Zero. Ci era piaciuta fin da subito, con la sua immediata presa melodica, malinconica e assorta, ma bisogna ammettere che l’aggiunta di archi, fiati e cori angelici l’hanno resa troppo rococò, troppo levigata per un pezzo che avrebbe la sua forza in una semplice e garbata sensibilità. Ne Il suo sorriso arriva il supporto di Dente, per quello che sulla carta potrebbe esser il duetto dell’anno: ma le poetiche cantautorali dei due artisti, per quanto relativamente complementari, non riescono ad incontrarsi, finendo per rendere inefficace Dente e forzato Brunori, accompagnati oltretutto da cori femminili mal calibrati che divengono col passare dei minuti quasi irritanti. Tutto viene lavato via dal gioiellino acustico beatlesiano de La mosca, dove l’accompagnamento lussureggiante dà il meglio di sé e anche i cori stavolta risultano non solo in sintonia, ma determinanti per la micro-epicità della chiusa del pezzo.

Ancora più riuscita Bruno dove sei, non solo il brano migliore del disco, ma di tutto ciò che Brunori finora ha composto. Troviamo qui tutto ciò che può esser definito sul dizionario alla voce straordinario. L’appello al proprio padre scomparso risulta un capolavoro completo, dalle liriche che in tre pennellate riescono a descrivere un intera esistenza («sigarette sul comodino/ cruciverba un po’ più in là/ mica l’avevo capito io che era quella la felicità»), agli archi ben dosati, e un tono finalmente più sincero. Quella rocaggine che altrove si è un po’ stilizzata qui ci inietta solo puri brividi, di concisa bellezza.

Il divertissment punk-folk di Animal Colletti testimonia per lo più la necessità di scuotere ed espandere gli orizzonti sonori, ma da questo punto di vista risulta più consistente la mini-suite di Tre capelli sul comò, la quale tra echi psyco-beat, melodie sixties e armonie vocali interessanti creano un bel precedente per il tipo di canzoni che vorremmo ascoltare ad un Sanremo dei nostri sogni (e dove Brunori potrebbe fare con disinvoltura la parte del leone sornione). La chiusura di Fra milioni di stelle è di quelle disincantate e carine che abbiamo imparato ad apprezzare dal nostro chansonnier calabrese, e serve solo a chiudere garbatamente il sipario su un disco maculato, su cui bisogna tornare per indovinare e definirne la direzione musicale.

Vol. 2: Poveri Cristi é un album di intuizioni, molte geniali, che forse avrebbero avuto bisogno di maggior tempo per trovare la loro piena sostanza, la loro giusta collocazione, per esser valorizzate nella loro natura. Alcuni pezzi già funzionanti a livello “chitarra e voce” sono stati appesantiti dalla produzione; altri, ancora a stadio di sketch acerbi, sono stati salvati solo dall’inventiva della stessa produzione (peraltro di ottimo livello). In entrambi i casi non si può comunque parlare di errori, ma di tentativi, spesso e volentieri anche audaci. È stata affrontata di petto la difficile scommessa di non replicare pigramente la formula del primo lavoro e di comporre uno statement all’altezza dell’inatteso successo su scala nazionale. Alla pressione, agli ammiratori, a se stesso, Brunori Sas ha risposto con un album difettoso ma in crescita, con il perfetto disco di transizione. Uno dei migliori usciti in Italia nel 2011.

2 commenti

Paolo D'Alessandro { 20/06/2011 )

dalle premesse mi aspettavo una recensione più "piccata", sinceramente, ma invece è molto equilibrata. personalmente, mi sono trovato "a posteriori" d'accordo con alcune tuoi rilievi (delle spigolosità produttive che magari hanno reso un po' troppo 'cheesy' il prodotto finale - di fatti, secondo me più cheesy che non rococò), anche se a livello d'impatto, fruibilità e freschezza l'ho trovato superiore (di poco) al primo. ultima cosa: a me il buon darione non è mai parso 'solare'. mi sembra tanto pessimista e crepuscolare quanto dente è biforcuto e romantico (nel senso buono). ma sono mie elucubrazioni ;)

Alessio Zipoli { 20/06/2011 )

Elucubrazioni corrette...;) La solarità di Brunori è sempre un po'inquieta, anche se ha la capacità di sfogare sulla gola e sul proprio juke box sentimentale le amarezze del proprio (e nostro) acquario... Effettivamente alcuni brani sono la dimostrazione di quanto è facile passare dallo slick al rococò e dal rococò al cheesy...


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In dettaglio

  • Produzione artistica: Matteo Zanobini e Dario Brunori
  • Anno: 2011
  • Durata: 37:36
  • Etichetta: Picicca

Elenco delle tracce

01 Il giovane Mario

02 Lei, lui, Firenze

03 Rosa

04 Una domenica notte

05 Il suo sorriso (con Dente)

06 La mosca

07 Bruno mio dove sei

08 Animal colletti (con Dimartino)

09 Tre capelli sul comò

10 Fra milioni di stelle

Brani migliori

  1. Bruno mio dove sei
  2. La mosca
  3. Tre capelli sul comò