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Baustelle

Roma Live!

A detta di Francesco Bianconi, questo primo disco live dei Baustelle segna una linea di demarcazione nella carriera della band di Montepulciano. Il primo tempo, insomma, si chiude e occorre fare una sorta di bilancio. Anche per tale motivo ci viene naturale, in sede di recensione, cercare di dare conto di quello che è stata per la musica italiana la carriera dei Baustelle. Il tutto con una buona dose, inevitabile, di approssimazione e schematismo.

La poetica (i temi). Vi è da sempre nelle canzoni dei Baustelle una fortissima dicotomia; come se entrassero in gioco due forze, due spinte contrappositive di pari forza. Un dentro e un fuori, un alto e un basso, microcosmo e macrocosmo. Si prendano a mo’ d’esempio La guerra è finita e la - sempre - struggente Alfredo. In entrambi i casi la storia (il dolore e la piccola morte) dei protagonisti (il microcosmo, appunto) è inserita all’interno della Storia (la guerra contro la Serbia e il catalogo dei protagonisti dell’Italia del 1978) con la S maiuscola (il macroscosmo, appunto). Molte delle vicende che vengono narrate accadono ai margini della società, tra quartieri degradati e posteggi buoni giusto per andarci a scopare (magari tra odore di “piscio e cemento” per citare De André). Eppure, al tempo stesso, vi è una sorta di anelito alla redenzione, all’espiazione… la ricerca di una realtà altra. Che passa attraverso la cultura, l’arte, la bellezza (“L'unica cosa che ho è la bellezza del mondo/ la sola cosa che so/ è che vorrei conservarla/ /per me”); mondo che però viene stritolato dalle leggi del Mercato. O attraverso la morte, altro vero topos della band. Alle volte essa appare come caos o fine straziante (Alfredo), ma non mancano episodi in cui invece essa appare come momento consolatorio o addirittura foriero di possibili risposte esistenziali. Non può mancare, poi, il discorso spirituale e religioso. Da una parte il religioso è fonte di sospetto se non di vera e propria repulsione (si veda il folgorante incipit di Nessuno: “Non credo alla Bibbia, mi chiedo perché/ dovrei consultarla, offende gli dei/ non prego la chiesa il fetore che fa/ non credo nel cielo e nemmeno all’inferno”); altre volte invece l’amore di Dio si ammanta di senso e ricchezza: “Sarebbe splendido/ amare veramente/ amare come Dio/ usarne le parole”. Ecco, l’amore… anche in questo caso ci troviamo di fronte a un sentimento che apre due possibili orizzonti: da una parte esso è solo sesso (con termini inequivocabili come “scopare”, “venire” e “sesso orale”), dall’altra l’amore è l’unica fonte di salvezza di fronte alle brutture dell’esistere. E unico rimedio all’incessante scorrere del tempo (altro tema assolutamente fondamentale) che tutto trasforma e dissolve.

Questioni di stile (e di linguaggio). Se c’è un elemento che caratterizza il modo di comporre di Bianconi - e motivo di amore viscerale o di feroce odio nei suoi confronti - è il fortissimo legame con la tradizione. La canzone dei Baustelle, infatti, è quasi sempre strutturata con un rigido schema “strofa-ritornello”, dove il refrain deve esserne l’epitome. Che poi rieccheggi la grande canzone d’autore (penso a De André e qui a Brell nella traduzione di Col tempo) o la bossa nova brasiliana, la colonna sonora morriconiana o la new wave anni Ottanta, Bianconi è uno dei più capaci creatori di melodie italiane dell’ultimo ventennio. Certo a volte il rischio è quello che si “sbrodoli” nei ritornelli (così Veronica Rosi su Ondarock) o - peggio - che alcune canzoni siano un po’ troppo simili alle altre (si provi ad ascoltare di seguito La guerra è finita, Charlie fa surf e Gli spietati); ma è anche vero che pochi sanno amalgamare così bene melodia musicale e testo cantato. Da questo punto di vista, è curioso notare come molte volte Bianconi si diverte a scandire il dettato lirico, per cui ogni singola sillaba deve essere quasi separata dalla sucessiva (valga qui come esempio La canzone del parco). A proposito di lingua, il testo dei Baustelle si caratterizza spesso per una forte variazione dell’accento ritmico. Detto altrimenti, Bianconi e soci non si scompongono più di tanto quando devono alterare la posizione dell’accento, in particolare quando la fanno cadere in clausola trasformando così parole piane in tronche. La canzone, molte volte, è poi infarcita da inserti dialogici, brandelli di conversazione che estrapolati dal contesto danno al tutto un’aura di mistero. Si può persino giungere a veri e propri discorsi indiretti liberi, per cui la voce narrante viene di colpo sostituita dalla voce del protagonista senza soluzione di continuità (rafforzando, in tal modo, l’ambiguità semantica). Se prima avevamo parlato di dicotomia a livello contenutistico, tale “scontro” di alto/basso, aulico/prosaico lo ritroviamo a livello linguistico. Se il linguaggio il più delle volte si posiziona sul versante colloquiale-medio non mancano elementi fortemente triviali che convivono accanto a citazioni colte. Emblematica da questo punto di vista è Charlie fa surf (qui in una splendida versione rallentata e acustica) in cui assitiamo a un cortocircuito linguistico e culturale. L’irrequietezza adolescenziale (quanti adolescenti nelle canzoni dei Baustelle!) e un poco anarcoide di Charlie - che si fa di MDMA, assume Paroxetina e scarica “tonnelate di filmati porno” - viene mal digerita dal mondo adulto conservatore (qui raffigurato, tanto per cambiare, da un prete) che non deve avere pietà di lui, bloccare la sua ansia di libertà “inchiodando” le sue mani. Ora, qui ci troviamo di fronte a una sorta di matrioska citazionistica: come notorio l’espressione “Charlie [non] fa surf” deriva dal capolavoro di Coppola Apocalipse Now (quanti film nelle canzoni dei Baustelle!), per diventare il titolo di un brano dei Clash (Charlie Don't Surf) e quindi un’installazione di Maurizio Cattelan (nella foto).

In conclusione questo Roma Live! (registrato tra il 2013 e il 2014 in tre concerti diversi e con tre orchestre diverse) farà la gioia dei fans di lunga data. Ma credo possa essere un ottimo punto di partenza per chi si voglia avvicinare alle musica della band toscana. Ecco se proprio si deve trovare una pecca all’album è quello di essere un poco troppo “precisino” e perfetto” (quasi fosse, appunto, un Greatest Hits). Ma al tempo stesso ha il grande pregio di non indugiare troppo sugli ultimi lavori del gruppo (addirittura solo un brano dall’ultimo Fantasmi e uno da I mistici dell’Occidente), recuperando capitoli iniziali sempre amatissimi dal pubblico.

 

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Francesco Bianconi 
  • Anno: 2015
  • Durata: 72:04
  • Etichetta: Warner

Elenco delle tracce

01. La guerra è finita 
02. La moda del lento           
03. Signora ricca di una certa età
04. EN
05. La canzone di Alain Delon
06. La canzone del parco
07. Le rane   
08. Nessuno
09. Alfredo
10. L'aeroplano
11. Col tempo
12. Il corvo Joe
13. Andarsene così   
14. Charlie fa surf            
     

Brani migliori

  1. La guerra è finita
  2. Alfredo
  3. Col tempo

Musicisti

Francesco Bianconi: voce, chitarre, synth, organo.  -  Rachele Bastreghi: voce, piano elettrico, percussioni, synth  -  Claudio Brasini: chitarre