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  di Annalisa Belluco  ‘Canzoni & Parole’ il festival della canzone d’autore italiana organizzato dall’Associazione Musica Italiana Paris che ha esordito nel 2022 è pronto a riaccendere le luci della terza ...

Setak

Alestalé

La storia è andata così, la vita anche. Mutare il ribrezzo in lucidità, la speranza in certezza. E in impazienza. (Franco Fortini)

Siamo condannati a una condizione strana, alla sospensione tra la tensione a trascendere e una natura interrata. Nella lotta che ci porta a sopraffare uomini e mondo pur di superare noi stessi, spesso dimentichiamo da dove veniamo. Dimentichiamo, soprattutto, di portarci appresso una zolla della nostra Itaca, che ci permetterebbe di viaggiare in verticale. Nicola Pomponi quella zolla se la porta nel nome d’arte, Setak, che deriva da un elemento centrale per le comunità di persone, lo stortonome. Finalista alle Targhe Tenco 2019 con l’esordio “Blusanza”, Premio Loano Giovani 2019 e finalista alle Targhe Tenco 2021 con Alestalé, Setak, figlio di setacciari, racconta la sua comunità con uno sguardo aperto al mondo. Il nuovo album irrobustisce il suo immaginario folk con un piano sequenza sui protagonisti della lotta.

 

Tutta l’opera si muove a partire dal rapporto tra gli uomini e il loro tempo, poggiata su un assunto preciso: il tempo non si combatte. Si può solo accettare il suo lavorìo. Lo diceva anche Guccini. Ma accettare non significa stare fermi, anzi. Significa muoversi, nonostante tutto. Essere impazienti e anticipare il tempo, perché no. In una parola, Alestalé. Muoversi significa scegliere da che parte stare, e Setak sembra avere un’idea chiara: stare dalla parte del dubbio e della riflessione, lasciando andare i pre-giudizi e la violenza gratuita, la prosopopea, la superbia. Alestalé racconta l’ineluttabile incertezza degli uomini e trova le soluzioni a quelle incertezze nei rapporti tra gli uomini. Uomini, donne, padri e figli. Ché è la terra dei padri quella che, spesso, dà risposta alle nostre domande. Centrali, in questo senso, due canzoni.

La prima è Jù ‘nderre. Posta quasi a metà dell’album, rende al massimo uno stilema narrativo che permea tutto il disco, il dialogo. Se nelle altre canzoni la dialettica tra un io e un tu può essere un monologo tra l’artista e sé stesso, qui i protagonisti sono un padre e un figlio. Un figlio che è appena nato e non sa cosa è la vita, un padre che non prevede né illude, ma si appiglia a tutto il tempo che ha davanti per accompagnare suo figlio nel viaggio e nel gioco: quande è ‘bbelle a sta jù ‘nderre (quanto è bello stare per terra).

La seconda è Lu juste arvè, la perla che chiude il disco. Impreziosita dalla voce del compaesano Mimmo Locasciulli, è una sorta di sintesi tra Sogna ragazzo sogna di Roberto Vecchioni e Ninna nanna dell’uomo di Ivan Graziani. È il lascito spirituale di un padre al figlio, è lo sprone a guardare avanti e a giocare col mondo proprio per uscire dalle incertezze e non combattere il tempo. È un invito a uscire fuori per tornare, senza abbandonarsi al provincialismo: fatte purtà lundane / fatte ahuardà turnà (fatti portare lontano / fatti guardare mentre torni).

 

Stare nel tempo e non contro il tempo significa anche non rimanere indifferenti nei confronti dei drammi degli altri. È il tema di Coramare, tinta di napoletano dalla voce di Francesco Di Bella e resa eterna dalla tromba di Fabrizio Bosso. Come sopravviviamo a un dramma? Cosa rimane dentro? Quanti pensieri dobbiamo spegnere? Quanti ricordi dobbiamo accendere? La soluzione sta nel modo in cui ci ri-conosciamo negli altri. Pathos. Empatia. Ma soprattutto folk, con continue domande e con pochissime rassicurazioni: ambàreme a ‘rcùnosce / stu Sole ca’ è troppe scure / troppe vote sa’rsumije a me / tutti cose chi coce angore (Insegnami a riconoscere / questo sole che è troppo scuro / troppe volte assomiglia a me / a tutte le cose che scottano ancora).

La continua lotta con il tempo e con noi stessi porta spesso all’incomunicabilità, trattata da Setak in maniera estremamente suggestiva. Nell’era dell’odio da tastiera, in cui le parole vengono sprecate o sputate ed esprimono solo disagio, l’artista non critica né rassicura. Semplicemente sposta l’obiettivo altrove, in particolare sull’importanza di ridare valore allo sguardo. E lo fa con estrema sintesi e massimo languore: ahuardeme (guardami).

Per Setak il dialetto non è uno strumento estetico ma espressivo. È come la tavolozza per il pittore. Il pennello, che mette in pratica l’immaginario e l’espressione, sta nell’arrangiamento internazionale di Fabrizio Cesare. La ricchezza strumentale del disco è sorprendente e copre praticamente il mondo intero per geografia e genere. Il dialetto di Penne, centro in provincia di Pescara e capitale dei Vestini, per quanto dotato di curiosa musicalità, ha un vocalismo spesso chiuso e spigoloso, reso però fluido dal cantato sussurrato e dalla veste cucita per avvalorare le composizioni. I suoni e gli strumenti scelti, anche in questo caso, non hanno obiettivi estetici o formali ma poetici, essenziali. Rappresentano la narrazione. Lo si intuisce sia dal fatto che è lo stesso rito consumato in Blusanza, sia dal fatto che Setak e Fabrizio Cesare compongono insieme. L’unione delle loro voci, quella narrativa e quella compositiva e strumentale, permette al disco, e a chi lo ascolta, di stare aggrappato a quella zolla di terra eppure di volare lontano, altrove. Dal disco, poi, emerge tutta la potenza letteraria della canzone d’autore, resa liquida, magica, ironica e sferzante dalla proverbialità del dialetto. Quella che sintetizza i concetti in maniera definitiva, soprattutto quando deve stigmatizzare comportamenti poveri dal punto di vista umano, come la violenza o l’arrivismo: mane a ‘mmane chi ‘ppasse taje (letteralmente mano a mano che passa taglia, praticamente dove passa lascia veleno).

A differenza di buona parte delle produzioni contemporanee, Setak non si lega a una particolare tradizione orale o vocale, ma fa della voce dialettale “semplicemente” uno strumento della propria poetica. Setak sta mettendo in atto un’evoluzione nell’uso del dialetto e nel racconto del mondo provinciale. Unendo quello che Pino Daniele faceva con il napoletano e quello che Ivan Graziani cantava dell’entroterra, tiene accesa la fiamma poetica che le lingue regionali non dovrebbero mai perdere, il senso di appartenenza a una comunità.

P. S.: La citazione di Franco Fortini riportata in alto è stata ritrovata sfogliando le pagine del libro dell’attivista abruzzese Savino Monterisi, Cronache della restanza

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Fabrizio Cesare
  • Anno: 2021
  • Durata: 39:48
  • Etichetta: Cazzimma Dischi

Elenco delle tracce

01. E indande pjove

02. Alestalé

03. Picchè

04. Quanda sj ‘fforte

05. Jù ‘nderre

06. Coramare

07. Aspitte aspitte

08. Ninn’è ‘cchjiù

09. Ma tu mó chj vvu’ da me

10. Facile

11. Camillo

12. Lu juste arvè

Brani migliori

  1. Lu juste arvè
  2. Jù ‘nderre
  3. Coramare

Musicisti

Setak (voce, cori, chitarre acustiche, chitarre elettriche, chitarre slide, chitarre steel bouzouki, mani, coda solo voice, chitarra 8 corde, mandolino, balalaika, voci d’ambiente, rumori d’ambiente, guitarlele, dobro); Fabrizio Cesare (basso, basso acustico, tastiere, sitarguitar, djembe, darboukka, mmmm voices, pianoforte, organo, mellotron, ukulele, bouzouki, tablas, piano wurlitzer, gospel organ, mani, cori, chitarra classica, chitarra reverse, harmochord, radiotones, bodybeat, voci d’ambiente, piano fender, pianoplunk); Nicoletta Nardi (cori); Carlo Di Francesco (bongos, dumbek, nacchere, shaker, finger ciymbals, cajon, congas, guiro, caxixi, sonagli, big drum, darboukka, cozze, kanjira, tamburello, nut shaker, slap, piatti, udu skin, tammorra, udu drum, bendir, dolek, rainmakers); Matteo Di Francesco (batteria); Stefano Cesare (contrabbasso con arco, contrabbasso, basso fretless); Nazareno Pomponi (organo hammond, cori, mani); Pantarei (rullante giocattolo); Vincenzo Pomponi (organo hammond, voci d’ambiente); Massimo Fumanti (chitarra classica); Margot Cianfrone (cori, mani, voci d’ambiente); Emanuele Carulli (cori); Valerio Pompei (batteria, tamburine, shaker); Fabrizio Bosso (tromba in Coramare); Giuseppina Ferrante (cori)

Interpreti:
Setak, Francesco Di Bella in Coramare, Mimmo Locasciulli in Lu juste arvè