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Canzoni&Parole - Festival di musica italiana ...

  di Annalisa Belluco  ‘Canzoni & Parole’ il festival della canzone d’autore italiana organizzato dall’Associazione Musica Italiana Paris che ha esordito nel 2022 è pronto a riaccendere le luci della terza ...

Nè vincitori, nè vinti

Prima di gettarci nella seconda serata, l'Isola commenta il debutto del Festival 2012

Il commento della prima serata del Festival... le canzoni torneranno a convincere?

 

Prima disamina del nuovo Festival di Sanremo, volutamente “cauta” per poter esprimere in maniera ancora più netta i nostri giudizi. Lasciamo cioè che questa seconda serata rafforzi o diluisca certe impressioni (quasi tutte negative ad esser sincero….) e poi da domani si scende più in profondità.

Qui di seguito l’articolo della nostra inviata Ambrosia J.S. Imbornone, dal suo “divano di Barletta”, che ci riepiloga le esibizioni dei 14 artisti in gara e che qualche stoccatina comincia a lanciarla. Forte anche la presenza de L’Isola su Facebook (coordinato da Paolo D’Alessandro) e su Twitter (curato da Davide Pilla), che grazie all’immediatezza interattiva consente di creare un curioso feeling tra redattori e video/ascoltatori/navigatori.

Commento ancora frenato quindi, anche se alcune vistose cadute di stile è giusto evidenziarle fin da subito. Partirei dal tempo dato a Celentano. Oltre 50 minuti. Troppo, davvero troppo e ingiustificato. Non entro nel merito delle questioni sollevate, ma qui voglio evidenziare l’anacronistica scelta di dare una finestra così ampia ad un ospite. Scendendo invece sui contenuti del suo intervento, personalmente ritengo di salvare solo il passaggio sul Referendum. Tutto il resto è abuso d’ufficio, presa di potere a tradimento e attacco selvaggio contro soggetti che non potevano replicare. Ridicoli i suoi attacchi a Famiglia Cristiana e Avvenire. Soprattutto verso la prima, che si è dimostrata – più di  una volta – attento e pungente baluardo di valori cristiani. Si può essere d’accordo o meno, ma sentire Celentano che chiede la “chiusura” delle due testate mi fa davvero rabbrividire. Forse perché il sottoscritto (e con me la redazione e tutti i collaboratori dell’Isola), è ancora ferito dalla chiusura (speriamo temporanea….) del nostro cartaceo e per cui sentire qualcuno che si augura la chiusura di una testata lascia l’amaro in bocca. Non voglio neanche commentare poi gli applausi che sono seguiti a questa sua "richiesta"... Per non parlare poi dell’attacco violento contro Aldo Grasso. Assolutamente fuori da ogni logica. Sia di metodo che di contenuto. Una sorta di vendetta per quello che il critico aveva detto a metà dicembre contro la sua presenza in tv solo per auto-pubblicità.

Ma va beh, avevamo detto che questa prima giornata la lasciamo passare così, un po’ in surplace, nell’attesa di risentire le canzoni e parlare di quello che più ci piace fare. Di musica. Già, anche perchè da sempre quello che ci incuriosisce di più è ascoltare i "nuovi", i giovani, quindi stasera avremo l'occasione di ascoltare le otto proposte.

Francesco Paracchini

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Né vincitori, né vinti
di Ambrosia Imbornone

 

 

 Fuoco alle polveri per Sanremo 2012. Ma i brani non esplodono. Sulla carta, in tasca a molti dei nomi in gara ci sarebbero gli ingredienti giusti per conquistare l’Ariston con una deflagrazione di talento. Eppure tanti artisti, almeno al primo ascolto, sembrano non aver osato sfoderare l’intero campionario delle armi a loro disposizione.

Le canzoni meglio equipaggiate appaiono quelle di Samuele Bersani, Eugenio Finardi e Nina Zilli; la prima, Un pallone, adopera una metafora dolceamara per raccontare una condizione esistenziale odierna. E’ dotata pertanto della sensibilità del miglior Bersani, ma la sua levità musicale, seppur molto gradevole, sembra un po’ frenare il suo pathos. Inoltre l’influenza che ha colpito il cantautore ci ha messo lo zampino, depotenziando la carica leggera del pezzo nella sua prima interpretazione; ad ogni modo, la grazia sottile dei versi, che tanto sanno dire senza scivolare nella cronaca socioeconomico-politica, è notevole.

Il brano di Roberta Di Lorenzo per Eugenio Finardi, E tu lo chiami Dio, nel testo appare discontinuo, passando da momenti di drammaticità delicata ad altri meno originali, ma musicalmente squaderna un’intensità e un’eleganza ammirevole. E soprattutto l’artista milanese è autore forse della migliore performance della serata: la sua voce, fremendo, accarezza le note, in una linea vocale che dà vita ad una melodia che è ad un passo da diventare lirica.

Nina Zilli colpisce con la sua Per sempre molto più a fondo in versione di struggente eroina dell’amore che in quella di pin-up ironica e sicura di sé: splendide sono le consuete atmosfere zilliane retrò del brano, il più adeguato a vestirsi di violini nostalgici. L’unico ostacolo all’applauso pieno è la presenza più ingombrante del solito del fantasma di Mina.

La bomba Loredana Bertè-Gigi D’Alessio non è scoppiata: la Bertè finalmente è tornata sulle righe. I detrattori dell’esibizione forse non la ricordano spezzare il cantato con goffi momenti parlati o spalancare la porta sull’imprevisto sparando qualcuna delle sue. Questa volta in Respirare ha cantato, mostrando almeno in parte lo sfolgorio graffiante di quella voce che possono solo sognare le tante orfane dei talent-show, e D’Alessio le fa solo da cavaliere con un brano effettivamente atipico per lui, che strizza l’occhio alla disco tra ’70 e ’80, tra suoni più asciutti del solito e un groove niente male. Ok, niente di nuovo o raffinato, ma qualcosa di furbo al punto giusto per adattarsi allo scopo. D’altronde D’Alessio mette le sue capacità al servizio del  maligno per propinarci droga neomelodica, ma questo non implica che non ne abbia. O non saprebbe creare dipendenza in un certo tipo di pubblico.

Ne La tua bellezza di Francesco Renga c’è un lirismo semplice e antico; le chitarre elettriche dell’intro, il piano delle strofe, i cori hanno un sapore brit-rock quasi coldplayano, mentre la melodia vocale è più ricercata del solito, quasi ostica anche per lui. Resta però il sospetto di qualche eccesso pop sanremese qui e lì.

I Marlene Kuntz non si sono invece sanremizzati in nessun senso con Canzone per un figlio: lo stile quasi “filosofico” dei versi di Godano distilla metafore dense ed essenziali, però i fiati del ritornello sono un’arma a doppio taglio, che combatte con o contro il brano a seconda dei gusti. Inoltre l’interpretazione del frontman qui e lì si arresta al sussurro (forse per paura di sbavature); la band a Sanremo ha portato un brano un po’ spuntato, che non graffia né le orecchie né il cuore: ha fatto di molto meglio.

Occasione in parte sprecata anche per Chiara Civello: tanto rumore per nulla per l’inedito-non inedito Al posto del mondo che non brilla per originalità, né illumina le capacità o il background dell’artista. E’ una ballata piuttosto convenzionale nel testo e nella musica; degno di nota l’inserto di fisarmonica, mentre la voce della Civello, complice forse l’emozione del grande evento, ogni tanto appare incerta e tremula. Peccato.

Troppo netta l’impronta dei rispettivi autori sui brani di Emma, Noemi e Irene Fornaciari; i Modà ai tempi della crisi di Non è l’inferno dispesano retorica a mani basse. Il piano nelle strofe potrebbe riportare a sonorità esterofile, ma l’enfasi stadium di Kekko Silvestre si impadronisce della voce di Emma: meglio quando duettavano. La metrica e la struttura di Sono solo paroleporta la traccia inconfondibile di Fabrizio Moro; Noemi fa quello che può per dare un’anima al brano, ma il testo ad un certo punto sembra un loop, la sua voce ruvida e i suoi “eh eh eh” la marchiano a rosso-fuoco come epigona di Vasco Rossi e l’intensità espressiva del bridge non basta a riscattare il pezzo. Davide Van De Sfroos presta un brano di buon livello (e in italiano) alla Fornaciari junior, Grande mistero, con intro eterea e ottime chitarre folk nel ponte; la metrica del pezzo però forza la voce di Irene, che segue il ritmo con buona lena, ma a tratti suona involontariamente stridula.

Grandi perplessità sui rimanenti big in gara. Dolcenera in Ci vediamo a casa riflette su un sogno di convivenza (sempre ai tempi della crisi): la somma dei synths e degli archi tesi è un buon piglio e i violini in una pausa rallentata sfiorano atmosfere alt-rock, ma il ritornello dancereccio pecca di leggerezza superficiale e vanifica le buone intenzioni. La Nanì di Pierdavide Carone e Lucio Dalla (primo direttore d’orchestra contemporaneamente nelle vesti di cantante-semisuggeritore?) musicalmente rammenta alcuni stornelli romani; il tema dei versi è vecchio come il cucco e Carone ha un’aria un po’ smarrita sul palco dell’Ariston. Arisa invece con La notte ripone (definitivamente?) nell’armadio i panni di macchietta, parodia di sé stessa, e si cimenta con un brano che potrebbe essere suggestivo, se non avesse un arrangiamento e una melodia molto tradizionali. Dietro la maschera del personaggio, appare l’ennesima voce soul-pop. E Arisa non è Adele. Bene per la svolta, ma è ancora allo spigolo.

I Matia Bazar si presentano  con un classicone pseudo-romantico dei loro, Sei tu, complice l’agognato (da loro) ritorno di Silvia Mezzanotte. I reduci che portano ancora il nome del gruppo non sanno più stupirci con qualcosa vagamente all’altezza della storia targata Matia. E Cassano ha fatto bene con Cogliati per Eros Ramazzotti, quando il suo pop non girava a vuoto nel circolo vizioso dell’autoplagio, mentre nella band non è mai stato un elemento in grado di apportare innovazione e originalità. I Matia Bazar di oggi sono questo e e purtroppo non si smentiscono.

Cosa vinciamo in questo festival? Un paio di colpi buoni, ma non eccezionali, di autori di buono/ottimo calibro. Le canzoni in gara, nelle nuove interpretazioni di oggi, vinceranno le perplessità? E quali artisti perderanno ulteriori opportunità di calcare il palco dell’Ariston (con il supporto degli ospiti alleati), allorché l’esito del voto, dopo la falsa partenza di ieri, decimerà (si fa per dire) le truppe? Lo scopriremo stasera, quando debutteranno anche i Giovani di Sanremo 2012.  


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