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Sanremo 2022: Brividi sul podio e tutt’intorno.

Cronaca di un podio annunciato

Ai giovani l'ardua sentenza

 

Sanremo: croce e delizia, inferno e paradiso, zucchero e catrame, per usare un verso di Dalla. Si arriva alla fine della settimana di passione (qui l'articolo che racconta la serata dei "duetti" di venerdì), montando un pathos stellare, per poi cadere flosci sul divano e ritrovarsi a gestire l’horror vacui e ad attendere - nonostante tutto - l’anno successivo. In mezzo, ormai, fiumi di parole, twitt di sangue, post e polemiche che inquinano questo gioco nazional popolare, seguendo scie di veleno immotivato. Facciamo ancora fatica a capire dove sia l’inghippo per cui tanta gente decida a priori di non guardare Sanremo ma poi si ritrova a sapere tutto, conoscere ogni singola canzone e litigare col commesso del supermercato.

Già, perché in una gigantesca illusione ottica, siamo fuori dagli schemi e dai canoni che hanno segnato in uno spartiacque le molte edizioni precedenti e un mondo che non esiste più, per dare il passo a ciò che ogni giorno viviamo e che si riversa inesorabilmente anche sulla kermesse. Siamo perennemente con un telefono in mano, la vita è riflessa negli schermini di uno smartphone, postiamo foto sorridenti anche se abbiamo brume grigie per la testa, ascoltiamo la musica in formato slim, sappiamo tutto di tutti, perché questo non dovrebbe ricadere anche sul baraccone sanremese? Abituarci a nuove modalità è l’ultimo compito assegnato da un mondo che vuole i followers come giudici severissimi della vita di un artista, che spinge per le views, che impone canoni, stories e presenza scenica. Trionfano i detentori della vendita e non quello che di buono si vuol cantare. Così spiegato, probabilmente, un tripudio di abiti improbabili, performance discutibili, giochini per apparire che sbandano un pubblico anche veterano abituato ad una vecchia guardia, che pur portando bizzarrie varie, prediligeva sempre e comunque la forma canzone. Ecco, no. La canzone non c’è, come la Laura di Nek, è andata via. Restano tante altre cose e chi cerca quello che c’era, non lo troverà. E si azzuffa sui social. Ma siamo in un momento di transizione e ancora i meccanismi devono essere oliati.

 

Fa riflettere l’idea di Sangiovanni che canta nella serata delle cover A muso duro di Bertoli, infatti. Fa strano che lui (ma non solo lui, anche molti altri in gara), giovane, impacchettato in abitini alla moda e attento ad ogni dinamica social grazie alle quali è arrivato dritto tra i big di Sanremo, scelga di cantare un pezzo così ancora rivoluzionario, che in un paio di versi ribalta tutto, contraddicendolo:

Adesso dovrei fare le canzoni
Con i dosaggi esatti degli esperti
Magari poi vestirmi come un fesso
E fare il deficiente nei concerti

Tant’é. Siamo confusi e in crisi. I fatti lo hanno dimostrato. Se il podio era cosa nota e intuibile sin dalle prime mosse, i Premi della critica assegnati hanno bruciato la coda della cometa lasciandoci secchi di fronte alla TV. Rappresentando la metafora di questa edizione 20-22, come dice Amedeo. Denotando, poi, in fondo che sì, ok, ma. Mostrando tutto il vorrei ma non posso annunciato nella prima serata. Avevamo già chiesto scusa a parecchi mostri sacri per la serata dei duetti, ma vedere assegnato il Premio Bardotti a Moro, è stato il segno a morte. In un'edizione pacchiana, con davvero poche canzoni degne di nota, in cui ci si è voluto infilare il nuovo, il nuovissimo, il vecchio ma con la tinta, lo strappone, la canzone d'autore, le bonazze, le donne, la pelle nera, il savoir-faire l'intelligenza e le zeppole in libera uscita, ci si sarebbe attesi un riconoscimento naturale a Truppi, come miglior testo.

 

Come nota di merito indiscutibile. Come premio anche a noi che abbiamo navigato tra crinoline e parrucche rosa da unicorno cercando un senso. Ma no. La lezione sulla canzone evidentemente, quel giorno, è saltata senza giustifica. E manco Ranieri chiamato sul palco a ritirare il Premio. Boh. Trionfano i due bravi, bravissimi, Mahmood e Blanco, con un pezzo che già cantiamo e suoniamo tutti. Elisa, a panino, si infila nel secondo posto tra i brividi e la disperata allegria di Morandi, che in questa ipercinesi compulsiva pare voglia davvero esorcizzare il nero, facendo entrare il sole. Ma l'Italia lo esalta, mentre lui corre ovunque. A noi Gianni piaceva di più quando inneggiava alla Vita (in te ci credo) in altro modo. Senza strafare per forza. Giù dalla torre come sempre la retorica, i pipponi, i temini di Saviano sulla storia contemporanea, Orietta vestita da costumisti sadici, pazza come un cavallo pazzo, Rovazzi che canta Paoli ammazzandolo, la Lorena imbizzarrita, schiacciata da un unpolitically correct in cui si è involuta per mano anche di autori poco generosi, Achille Lauro, sempre più caricatura di se stesso, concentrato in performance ormai sgonfie e in canzoni autoplagiate. Salviamo quello che poi ci tiene avvinti come l'edera per cinque serate, salviamo il coraggio di molti, l'orchestra sempre e comunque, la Marcotulli al piano, Cremonini super ospite che torna in stato di grazia e canta libero, santificato da un rinnovamento personale che si legge in faccia e nel corpo, spalancando le braccia per salire su quei colli bolognesi e infiammando il teatro. Il rosa impazza, le stonazzate pure.

 

In mezzo a tutto, Drusilla, di un'eleganza spaziale, di una presenza scenica accecante. Abiti, dizione, ironia affilatissima ma garbata. Persino Ornella, da casa, avrà gradito. Salviamo il duo bomba Rettore&Ditonellapiaga. Una chimica chimica chimica che ci si aspettava dalla RDL, e che ha dato una sferzata al piattone di lenticchie, la Ferillona nostra che pure se s'è incartata in un nonsense ha portato un'aria de casa e una quiete dopo le prime sere e la voce e la precisione di Arisa, che si conferma una assoluta fuoriclasse. Salviamo Zalone con la sua carica folle e greve, che insinua sottilmente (andando dritto come un treno anche a scapito di Amadeus) messaggi al contrario. Riavvolge il nastro, osa, stuzzica il comune senso del pudore. Ma non a tutti piace: rassicura più il buon vecchio Fiorello, ormai incastrato in una comicità ritrita che non stupisce più.  Salviamo il FantaSanremo che ha permesso ai più giovani di giocare con le cose dei veci, lasciando che il pubblico più difficile e sdegnoso si potesse avvicinare al Festival e ascoltare. Il web è già pieno di adolescenti che cantano Brividi, la canzone che funge da collante e segna un passo nuovo, l’unico fermo in questa edizione. E questo, forse, è il risultato più importante.
Al prossimo anno.


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