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Claudio Baglioni, il concerto perfetto

Al Centro

Chi conosce un po' la storia musicale di Claudio Baglioni sa quanto la dimensione live sia da sempre un luogo principe di sperimentazione e il vero punto focale dell'artista (e dell'uomo). La sua puntigliosità, l'attenzione maniacale ai dettagli e la laurea in architettura sono andate ad alimentare, da almeno trentacinque anni, la sua concezione del “concerto perfetto”. Che da sogno-visione, tour dopo tour, si è fatta palcoscenico fino ad arrivare a questo ultimo "Al Centro".

Se dovessimo fissare un luogo e un punto nel tempo per la nascita di quella idea, forse allora ancora inconscia, sarebbe il 24 ottobre del 1982 in Piazza di Siena (Roma). Concerto gratuito organizzato a conclusione del tour Alè-oò, dal quale viene pubblicato il primo album omonimo dal vivo del cantautore. Se quel tour, già nella scelta del nome, raccontava di grandi piazze, spazi aperti, di stadi metaforici (quelli reali sarebbero arrivati solo anni dopo), quello successivo del 1986, che arriva dopo la pubblicazione de La vita è adesso, scardina tutto, elimina la band, mette sul palco Baglioni da solo, con pianoforte, tastiere e chitarra. La magia di quel live, nella sapienza del tecnico del suono Pasquale Minieri, diventerà poi un triplo album, Assolo. Anche solo accostando i due titoli dei tour è facile comprendere come Baglioni negli anni Ottanta sia volutamente andato a prendere i due poli opposti di quella immaginaria linea dove possiamo posizionare l'ideazione e la progettazione di un live: dal grande al piccolo, dall'ampio al raccolto, dalla band alla solitudine. Nei vent'anni che sono seguiti Baglioni non ha fatto altro che spostarsi lungo quella linea, sperimentando ogni possibile posizione, avvicinandosi di volta in volta all'uno o all'altro opposto, aggiungendo, modificando, cambiando prospettiva, fino ad arrivare a fare una cosa semplice ma significativa per la sua storia musicale, vale a dire spostare il palco (e di conseguenza se stesso).

I tour degli anni Novanta meriterebbero molte pagine di approfondimento, qui mi limiterò a dire che sotto il cappello metaforico dei colori (rosso, giallo e blu) Baglioni in quel decennio ha messo in scena i dischi della trilogia Oltre, Io sono qui e Viaggiatore sulla coda del tempo ogni volta andando ad aggiungere immaginazione e sfumature a quel sogno-visione di concerto perfetto; è la lenta costruzione di un nuovo spazio fisico mai pensato prima dove l'esperienza musicale, dell'artista e dell'ascoltatore, possa essere globalizzante e profonda, e suono e immagine possano amalgamarsi senza discrasie. Quel sogno è nell'estate del 1998 che vede un importante punto di svolta, e diventa progetto sul quale costruire un grande evento: un immane, enorme, miracoloso ingresso della musica popolare allo Stadio Olimpico di Roma. Il tour Da me a te sembra essere in quel momento il punto di arrivo e il compimento finale di quella visione sbocciata vent'anni prima: palco mastodontico, più di cento ballerini e artisti di strada, il pubblico attorno a racchiudere e difendere l'artista e la sua musica. Tanto è ambiziosa l'organizzazione che più di qualcosa purtroppo va storto in quella occasione, soprattutto dal punto di vista tecnico, così che il sogno-visione sembra vacillare. Tra quell'estate del '98 e Al Centro sono passati esattamente vent'anni. Dentro ovviamente ci sono esperienze tra loro molto diverse, da Sogno di una notte di note, tour negli anfiteatri storici del nostro Paese, a Incanto tra pianoforte e voce dove Baglioni torna ad esser da solo, al pianoforte, in un lungo racconto-fiume che porta in scena brani meno conosciuti al grande pubblico, a Dieci dita e per finire Capitani Coraggiosi, con Gianni Morandi.  

Questo Al Centro è certamente una festa, un ringraziamento ed è però, anche, una rivincita. È quell'idea, quella visione, quel sogno, che si è fatto prima progetto nella testa di un folle, e poi oggi cavi, chitarre, fiati, danza contemporanea, giocolieri, equilibristi, su di un palcoscenico. L'artista è al centro, non come su un piedistallo lontano, da ammirare ed applaudire, ma accolto, sorretto, protetto e difeso dal suo pubblico. Non è il mostrarsi come in una vetrina, ma è uno “statemi vicino” sussurrato all'orecchio. Non è verso l'esterno il movimento che sorregge tutto l'impianto scenico, ma è una meravigliosa forza centripeta che riporta te, che ascolti, e lui che dà la voce, ad un passo l'uno dall'altro: amici, vicini, uguali.

Al Centro è lo spazio dove la canzone diventa arte di strada, dove si fa corto cinematografico e traduzione in corpi che danzano, dove il palco diventa schermo vivo che racconta. Un corpo animato che si muove alla perfezione. Al Centro è un'esperienza collettiva, che ha dentro 50 anni di storia musicale e 35 anni di tour, come se tutto quello accaduto, all'uomo e all'artista, fosse stato solamente un cammino, faticoso, necessario e bellissimo, per arrivare esattamente qui. Al Centro è assieme un gioco, scanzonato e sregolato, un orologio senza intoppi, un ballo lento dove le gambe si inseguono e s'intrecciano senza trovarsi mai, un quadro dove ogni cosa è al suo posto, dove luce e ombra si compenetrano dando vita a spazi nuovi, è un film di cui sai già il finale eppure piangi e ridi ogni volta come la prima.

Al Centro è il compimento finale di quel sogno-visione, è il concerto perfetto.

"L’impegno (e l’ideale) di un artista è quello di battere le strade del suo mondo espressivo, tutte le conosciute e, ancor più, quelle sconosciute. Andare in avanscoperta, aprire nuovi sentieri, anche a costo di ritrovarsi in un vicolo cieco. Ma questo deve fare, rischiando pure di dispiacere, di sbagliare. Deve saper mettere in palio la fama che ha guadagnato, la fortuna che ha avuto”. (C. Baglioni)

 

  Foto di Angelo Trani da www.baglioni.it 


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