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Le Targhe Tenco e qualche riflessione sulla canzone d'autore

Bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà

Bersani, Voltarelli, Madame, F.lli Mancuso e il disco Ad esempio a me piace Rino i vincitori 2021

 

Il 13 luglio 2021 il Club Tenco ha reso note le nuove Targhe Tenco: “Cinema Samuele” di Samuele Bersani miglior Album in assoluto, “Madame” di Madame migliore Opera prima, Voce di Madame (scritta insieme a Enrico Botta e Dario Faini) miglior Canzone singola, Peppe Voltarelli migliore Interprete di canzoni con “Planetario”, ai Fratelli Mancuso miglior Album in dialetto con “Manzamà” e “Ad esempio a noi piace Rino” miglior Album collettivo a progetto.

Per analizzare l’esito delle votazioni dei giurati, siamo partiti dal commento che avevamo pubblicato a margine delle Targhe 2020 e abbiamo realizzato che i temi su cui riflettere non sono cambiati.
Per chi volesse riprendere la lettura da quell’articolo (ecco il link:
http://www.lisolachenoncera.it/rivista/primi_piani/sediamoci-a-un-tavolo-per-ri-conoscere-la-canzone/) queste le righe chiudevano il nostro commento alle Targhe Tenco 2020:
«L’invito, rivolto ai colleghi, agli artisti, ai giurati e al Club Tenco, è quello di sedersi attorno a un tavolo e riflettere assieme, per ri-conoscere la canzone d’autore e il suo linguaggio, i suoi argomenti e la sua naturale evoluzione». A un anno di distanza l’invito si rinnova, allargando la riflessione al ruolo e al valore della giuria, perché è sui temi sui quali auspicavamo un confronto che siamo caduti, di nuovo. Ma andiamo per ordine.

Samuele Bersani è uno che parla quando ha veramente qualcosa da dire. Dote rarissima, non solo in campo musicale. Senza contare raccolte e live album, “Cinema Samuele” (Sony Music Italia) arriva a sette anni di distanza da “Nuvola numero nove” e, con 71 preferenze, regala al suo autore la quarta Targa Tenco in carriera. Il suo riconoscimento, poi, conferma anche un’eccellenza come Pietro Cantarelli (qui nella foto), produttore del disco e già Targa Tenco 2020 come autore di Ho amato tutto, cantata da Tosca. I numeri hanno cristallizzato l’entusiasmo che il disco ha riscosso, meritatamente, già dalla sua uscita, ma i concorrenti non erano da meno, anzi. Le Targhe 2021 hanno visto la conferma di Iosonouncane, alla seconda cinquina consecutiva, e il ritorno di Caparezza e di Motta. Un discorso a parte merita, almeno secondo chi scrive, Pino Marino. Ci arriveremo.

Peppe Voltarelli è un artista ispirato, di talento, e il suo “Planetario” (Squilibri Editore) è un’opera densa, profonda. Con 77 preferenze ha avuto la meglio su due interpreti purosangue come Ornella Vanoni, mostro sacro (64 voti), e Ginevra Di Marco (48 voti), una certezza, che ha maneggiato con coraggio e onestà una materia dannatamente complessa come il canzoniere di Luigi Tenco.

 

“Manzamà” dei Fratelli Mancuso (Squilibri Editore), con 51 preferenze, ha prevalso nella categoria forse più “equilibrata”, quella dell’Album in dialetto (qui sotto nella foto Enzo e Lorenzo Mancuso). Seconda cinquina consecutiva per Setak che, con il suo “Alestalé”, ha dimostrato ancora una volta quanto si possa fare avanguardia utilizzando il dialetto. Più aggrappati alla tradizione i dischi di Stefano Saletti & Banda Ikona (“Mediterraneo ostinato”), dei Lautari (“Fora tempu”) e di Patrizio Trampetti (“‘O Sud è fesso”) ma, al netto dei numeri, chiunque avesse vinto lo avrebbe fatto con merito. Il fermento e l’elevata qualità produttiva del mondo dialettale sono fatti di cui si parla sempre poco.

 

Le polemiche quest’anno hanno investito, per motivi diversi, la doppia Targa assegnata a Madame e la categoria Album a progetto.

Nei giorni successivi all’annuncio delle Targhe, l’artista vicentina è stata trasformata nel capro espiatorio della frustrazione e dell’individualismo che strisciano nel fogliame della critica musicale e non solo. Puntare il dito contro i giurati che hanno ritenuto Madame meritevole di Targa come migliore Opera prima, accusandoli di giovanilismo (gli stessi giurati accusati di vetustà nelle scorse edizioni) o di sudditanza alla casa discografica Sugar, è fastidioso, inaccettabile. Nascondersi (nemmeno troppo) dietro armate certezze, violenza verbale, rivalse personali, recriminazioni sulla base dei gusti, schermaglie, è una mancanza di rispetto non solo nei confronti di chi vota, ma anche nei confronti di chi lavora per comporre, produrre e pubblicare un disco. «Il giudizio aprioristico del singolo sul collettivo è un parametro che porta a scarsi risultati», lo abbiamo scritto lo scorso anno e lo ribadiamo. La critica musicale ha un altro ruolo. Deve essere capace di argomentare sia le preferenze sia le critiche negative, rispettando chi lavora da entrambe le parti della barricata. Diciamocelo francamente, non vorremmo mai essere bersaglio delle critiche che muoviamo, con linguaggio a volte così povero, agli altri.

 

Francesca Calearo, in arte Madame, rappresenta una generazione di cui il Club Tenco e tutti quelli che gli girano attorno non possono più ignorare. Il suo disco è costruito su una personalità e su una poetica riconoscibili, con chiari limiti ma con potenziale maturazione. È stata tacciata di ermetismo (lo abbiamo fatto anche con De Gregori e Vasco Brondi) ma il suo linguaggio, che pesca da urban e trap, di ermetico ha poco e anzi, può rappresentare una delle naturali evoluzioni della canzone d’autore, a patto che si intenda quest’ultima non come codice puramente estetico ma artistico. Non è possibile pensare di rimanere ancorati solo alle vecchie scuole perché, così facendo, verrebbe meno la funzione primordiale della critica e del giornalismo: orientare lettori e ascoltatori. Il mondo cambia, le idee cambiano, le persone cambiano, le generazioni cambiano, la musica cambia. Bisogna essere capaci di individuare i simboli del cambiamento. E dove, se non al Tenco, dovrebbe accadere tutto questo? L’attacco, anche aspro, a chi ha votato Madame solo perché “figlia” di una grande produzione, che avrebbe fatto pressioni durante il voto, è un’insinuazione pericolosa. Forse sarebbe il caso di riflettere su un altro dato, più curioso. Quando Elisa Toffoli vinse la Targa Tenco come migliore Opera prima aveva poco più di vent’anni. Vinse quella Targa, la stessa di Madame, con un disco in lingua inglese e anche in quel caso non mancarono detrattori e difensori della “vera” canzone d’autore (?!?). La casa discografica era la stessa di Madame, la Sugar Music.

Più sensata e condivisibile la polemica sul numero corposo di preferenze date ai dischi di Cristiano Godano e Francesco Bianconi (39). Opere prime secondo Regolamento, ineccepibile. Ma stavolta, forse, ci siamo nascosti dietro al dito, noi e loro. Nel commento alle Targhe 2020 lo avevamo preventivato, e rinnoviamo la riflessione. È necessario chiedersi se non sia il caso di ripensare la targa con uno sguardo più pragmatico agli artisti emergenti, che meriterebbero di essere ascoltati senza che i giurati siano premuti da nomi così tanto ingombranti e così poco esordienti. Ciò detto, sarebbe utile anche una riflessione sul ruolo e sulla libertà di voto da parte dei giurati, giusto per non ricondurre tutto ad un mero discorso di regolamento. Se un giurato avesse ritenuto non “emergenti” quei due nomi avrebbe potuto certamente non votarli. Metter mano a questa sezione con un confronto approfondito gioverebbe non poco, anche perché siamo convinti che sia proprio quella la sezione più in vista, quella che strategicamente dovrebbe aiutare tutti a capire come si muove e si evolve la canzone d’autore.

Le polemiche si sono concentrate anche e soprattutto sulla seconda Targa di Madame, quella per la Miglior canzone. In questo caso si può serenamente condividere l’idea che Voce (55 preferenze) non fosse la migliore tra le 5 canzoni finaliste. A testimoniarlo, come sempre, sono i numeri: Novembre di Iosonouncane ha totalizzato 49 voti, Ci stiamo preparando al meglio di Canio Loguercio 45. Nessun plebiscito, nessuna maggioranza assoluta. Avrà pesato la maggiore esposizione dovuta alla partecipazione a Sanremo? Possibile, ma nemmeno un caso unico, se si pensa a Stiamo tutti bene di Mirkoeilcane e Argentovivo di Daniele Silvestri. A parità di condizioni, se una critica o una lamentela valgono per uno, dovrebbero valere per tutti.

 

Nella sezione Miglior canzone, però, c’è l’artista che, a parere di chi scrive, avrebbe meritato un riconoscimento: Pino Marino. La sua Calcutta (33 voti) è la fotografia di un circostante fuori fuoco, spostato verso l’immobilismo e l’individualismo. È il simbolo di un album, “Tilt”, necessario perché incentrato sul contingente. Su ciò che siamo adesso e che potremmo essere dopo: una biografia collettiva. L’opera di Pino Marino è il culmine, parziale, nella speranza di chi scrive, di un percorso ventennale fatto di scelte precise, spesso fuori dagli schemi. È il trionfo della poetica e dell’immaginario, e la sua canzone avrebbe meritato una Targa anche per combaciare, una volta per tutte, con la stima di cui l’artista gode fra gli addetti ai lavori. Bisognerebbe, forse, saper cogliere anche i momenti della carriera di un artista. Per Pino Marino, probabilmente, il momento era questo.

Veleno e acredine hanno accompagnato la Targa assegnata anche al progetto “Ad esempio noi piace Rino” di Isola Tobia Label. In questo caso è mancata totalmente la capacità, o la voglia, di argomentare. Checché se ne dica, gli aggettivi brutto e bello non bastano mai, se si vuole fare critica costruttiva. Bisogna manifestare il perché. L’omaggio a Rino Gaetano non è perfetto (ma la perfezione, poi, a chi piace?), risente evidentemente del tempo ristretto in cui è stato realizzato, ma può essere un progetto meritevole perché coraggioso, perché partito dal basso, perché figlio di una condivisione di intenti. Più che prendersela con chi lo ha votato, sarebbe utile sottolineare che, nella cinquina finale, compaiono tre grandi figure della canzone d’autore: Gaetano, Bindi e Guccini. Conferme e riscoperte, retrospettive e nuovi punti di vista. Progetti che hanno i loro limiti in termini di fruibilità, qualità e ritmo, così come “Her Dem Amade Me”, dedicato a Lorenzo Orsetti, e “Sound Bocs Diary” di Musica contro le mafie.

 

Se si intende puntare il bersaglio sulla giuria, allora, che lo si faccia, tutti assieme, per un altro aspetto. Sul sito del Club Tenco l’elenco dei giurati è pubblico e annovera circa 350 persone. Numeri alla mano, per l’Album di interprete hanno votato 212 persone, per l’Album assoluto 211, per la Canzone singola 208, per l’Opera prima 206, per l’Album in dialetto 194, per l’Album a progetto 188. Al netto di una percentuale fisiologica di non votanti, è evidente che i conti non tornano. La giuria è un atto di responsabilità di cui sentire il peso, che si dovrebbe onorare a monte, più che palesare a valle. Nel momento in cui il Club Tenco si affida a un giurato, quel giurato ha un compito da onorare al meglio delle sue possibilità, ha un ruolo da portare fino in fondo. Sentirsi liberi di non votare offende il direttivo che ha scelto e chi impiega tutto l’anno per ascoltare dischi e dare le sue preferenze. E questo, come le polemiche sterili e gli attacchi violenti, è inaccettabile.

Come nel 2020, l’invito, rivolto ai colleghi, agli artisti, ai giurati e al Club Tenco, è quello di sedersi attorno a un tavolo e riflettere assieme, per ri-conoscere la canzone d’autore e il suo linguaggio, i suoi argomenti, la sua naturale evoluzione, con rispetto e fiducia nei confronti del ruolo di tutti. Bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà, diceva il poeta: il tempo è questo, altrimenti i conti non torneranno più.

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