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  di Annalisa Belluco  ‘Canzoni & Parole’ il festival della canzone d’autore italiana organizzato dall’Associazione Musica Italiana Paris che ha esordito nel 2022 è pronto a riaccendere le luci della terza ...

Ernesto Assante

Lucio Battisti

Ci sono biografie che sono puri atti d’amore. E come tali rischiano di far perdere all’autore il senso critico, facendolo scivolare in un’inutile e facile agiografia. E poi ci sono biografie come quella che Ernesto Assante ha dedicato a Lucio Battisti: un atto d’amore che è anche, però, una bellissima e scrupolosa biografia e un piccolo saggio critico. 
Probabilmente questo Lucio Battisti (edito da Mondadori) non aggiungerà nulla ai fan più incalliti del cantautore di Poggio Bustone che tutto hanno letto su di lui, ma contiene moltissimi aneddoti e si lascia leggere con grande piacere. D’altronde, e non a caso, Assante è uno dei migliori giornalisti musicali italiani. 

Oltre alla ricostruzione della vita e dell’opera di Battisti egli si sofferma spesso a descrivere la situazione sociale, politica e musicale italiana del tempo. Si parte, quindi, dall’inizio: Poggio Bustone negli ultimi anni della seconda guerra mondiale. La famiglia Battisti è di umili origini, il padre, Alfiero, è funzionario statale, la madre, Dea, casalinga. La musica però in qualche modo circola da sempre in casa Battisti grazie al nonno Matteo che era il direttore della banda del paese. Lucio nasce il 5 marzo 1943 (un giorno dopo l’altro grande Lucio della canzone italiana: Dalla), tre giorni dopo l’Italia firma l’armistizio e Poggio Bustone diventa teatro di scontri tra le forze repubblichine fasciste e i partigiani. Dove si colloca in questa guerra civile papà Alfiero è un mistero: c’è chi dice che fosse addirittura Guardia nazionale repubblicano e chi un tranquillo ex combattente. Sia quello che sia, nel marzo del 1944 la città viene liberata. Lucio, insomma, vive i primissimi anni della sua esistenza tra orrori, distruzioni e voglia di ricostruire. Impara a suonare la chitarra e fa parte di gruppi locali e non solo (I Mattatori e I Satiri). Il primo grande salto, però, avviene quando a Roma conosce  Roby Matano (primo e vero mentore ad intuire le potenzialità del giovane Lucio) che lo invita a suonare nei suoi Campioni. Battisti si convince che quella musicale è la sua strada. Il padre nicchia, non è convinto, troppo rischioso puntare tutto su quel mondo. I due giungono ad un accordo: se dopo un paio di anni non arriveranno risultati concreti, Lucio rinuncerà alla carriera di musicista. E invece i risultati arrivano, I Campioni hanno successo e Lucio si iscrive alla SIAE. 

 

Ma l’incontro davvero decisivo - e non solo per Lucio, ma per l’intero mondo musicale italiano - sarà quello ovviamente con Mogol. Giulio Rapetti, in arte Mogol, autore già fortemente introdotto nel settore e autore di molti successi, sanremesi e non solo, non rimane particolarmente impressionato, trova Lucio troppo acerbo ma avverte in lui qualcosa di speciale: insomma su di lui si può puntare dopo tutto. E sarà proprio Mogol a riscrivere in toto i testi che Lucio (a volte insieme a Matano) aveva scritto per le sue primissime canzoni. Come sappiamo nascerà di lì a poco un sodalizio artistico unico e forse irripetibile. Nel giro di pochi anni i due sfondano, le loro canzoni arrivano a Sanremo, girano in radio e approdano in RAI. Il successo è tale che Mogol e Battisti ad un certo punto si sentono ingabbiati nei rigidi schemi della Ricordi e decidono nel 1969 di osare l’impossibile, fondando una loro casa discografica: la Numero Uno. Assante si sofferma su quanto quell’esperienza per certi aspetti sia stata davvero rivoluzionaria, rivelandosi un luogo di incontro, di scambio e in cui si darà la possibilità a band come la Formula 3 e a cantautori come Edoardo Bennato e Ivan Graziani di incidere i loro primi album.

Arrivano così gli anni Settanta e il giornalista di “Repubblica” si districa alla perfezione tra la descrizione dei lavori di enorme successo di Battisti (rimando alla lettura del capitolo: “Cinque mesi leggendari”) e quella della musica che gira in in Italia e nel mondo in quegli anni (rimando alla lettura del capitolo: “Il rock ‘progressivo’”). Ma tutte le storie (anche quelle belle, anzi soprattutto quelle belle) sono destinate prima o poi a finire. E così per lenta consunzione il rapporto tra Battisti e Mogol si logora. I due condividono sempre meno esperienze comuni da un punto di vista umano, il loro è diventato un mero rapporto lavorativo. E neppure più così fruttuoso. Non a caso l’unico disco di Battisti che davvero Assante “tratta male” è Una giornata uggiosa, l’ultimo della coppia. Se tutto sommato la bocciatura di "Una giornata uggiosa" non sorprende più di tanto - visto che il disco non ha mai goduto di buona critica ad eccezione del brano Con il nastro rosa - stupisce invece l’entusiasmo di Assante verso un disco decisamente divisivo come E già: “Merita non solo di essere rivalutato, ma anche di essere considerato come uno dei lavori più importanti e, per molti versi, più belli dell’intera produzione dell’artista”.


Entusiasmo che il giornalista riserva anche per il “dischi bianchi”. Ma qui la sorpresa è solo relativa. Se è vero che i dischi scritti con Pasquale Panella (da "Don Giovanni" a "Hegel"), ai tempi, divisero in due critica e fan battistiani, è anche vero che Assante aveva espresso fin dalla loro uscita parere molto positivo. Per cui "Don Giovanni" “è un disco importante”; "L'apparenza" un album in cui i due trasformano “la canzone in un’arte fondata sul pensiero, e non sulla ricerca del piacere estetico”; e ne "La sposa occidentale" “ci sono  brani memorabili, come quello che dà il titolo all’album [...] che sembra uscita dal miglior catalogo battistiano”. 

E così giungiamo all’epilogo. Assante racconta di come Celentano cercò di convincere - ovviamente senza successo - Battisti a fare un disco con lui e con Mina; quindi ci parla del suo ultimo lavoro ("Hegel") e del silenzio degli ultimi anni. Battisti odiava i pettegolezzi su di lui, tanto da rinchiudersi un po’ per volta in una sorta di autoisolamento che potrebbe ricordare quello di Salinger. Assante sembra voler rispettare questo suo estremo riserbo, dedicando con grande delicatezza solo poche righe alla sua malattia e alla morte.

La fine della lettura ci lascia un misto di emozioni. Da una parte Assante scrivendo di Battisti racconta tappe importanti della vita di ciascuno di noi, perché, ci piaccia o meno, le canzoni di Battisti hanno rappresentato una sorta di colonna sonora della nostra vita; dall’altra prevale una grande amarezza per il destino che ci ha sottratto troppo presto un talento enorme. Chissà cosa ci avrebbe ancora regalato il Battisti post Panella… ecco, questo è - ahimé - l’unico (inevitabilmente) capitolo mancante del bel libro di Assante. Ed è un capitolo umano e artistico che manca a tutti noi amanti di Battisti.

  

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In dettaglio

  • Artista: Ernesto Assante
  • Editore: Mondadori
  • Pagine: 336
  • Anno: 2023
  • Prezzo: 20.00 €

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