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Davide Ielmini

Il suono ruvido dell'innocenza

Enten Eller, meglio nota come “Aut-Aut”, è l’opera più ampia e articolata di Søren Kierkegaard. Di qui, un manipolo ragazzi di Ivrea, diremmo solo in parte avvezzi agli scritti e al pensiero del grande filosofo danese, antesignano dell’esistenzialismo, decidevano di prendere le mosse nel lontano 1986 (il loro primo album, “Streghe”, è dell’anno dopo) per battezzare il loro gruppo, in avvio un settetto, poi ridottosi strada facendo a quartetto, con l’attuale organico definito a partire dal 1997 (in “Trait d’union”). I quattro “sopravvissuti” sono i due membri fondatori del gruppo, cioè Massimo Barbiero, percussionista, principale mente della formazione (a lui si deve la scelta del nome, l’impostazione iniziale del progetto e molte composizioni in repertorio), e Maurizio Brunod, chitarrista, che, come dice lui stesso, all’epoca dei primi vagiti di Enten Eller non aveva ancora la patente, entrambi appunto eporediesi, e poi il trombettista vercellese Alberto Mandarini, trascorsi con nomi importanti, dall’Italian Instabile Orchestra a Paolo Conte, e il bassista friulano Giovanni Maier, che all’inizio (al di là della distanza geografica) non riuscì a dare continuità alla sua adesione (la sua prima presenza risale addirittura al secondo album di Enten Eller, “Antigone”, anno di grazia 1989) in quanto simultaneamente membro degli Electric Five di Enrico Rava.

Oltre a tutti coloro che sono passati più o meno stabilmente nelle maglie del gruppo, ci sono stati nel corso dei decenni tantissimi ospiti, fra i quali non possiamo non menzionare almeno il grande sassofonista americano Tim Berne (due dischi e svariati concerti), il torinese Carlo Actis Dato, lui pure sassofonista, sorta di chioccia della formazione, e poi Giancarlo Schiaffini, una vita al servizio dell’avanguardia, Javier Girotto e svariati altri, comprese le danzatrici che a partire da un certo punto del percorso di Enten Eller si sono affiancate al gruppo in maniera tutt’altro che episodica, il fotografo Luca D’Agostino e Franco Bergoglio, autore dei testi di quello che rimane il progetto più ambizioso dell’ensemble, “E(x)stinzione”, del 2012.

Tutto ciò che avete appena trovato qui snocciolato in maniera quanto mai sintetica trova posto nel libro che il varesino Davide Ielmini ha appena dedicato al gruppo di natali eporediesi poi diramatosi in infinite direzioni (ma il centro nevralgico rimane pur sempre, dopo tanti anni, Ivrea, circondario compreso). L’impostazione è originale quanto lineare ed efficace: una serie di interviste, più o meno ampie e articolate, in cui (quasi) tutti i protagonisti dell’esperienza-Enten Eller dicono la loro, da un’ottica più centrale (Barbiero fa anche qui la parte del leone, fisiologicamente, verrebbe da dire) o periferica, per aver intercettato il percorso del gruppo in maniera più o meno saltuaria e/o episodica.

Una dettagliata discografia (non più di una dozzina di album, a testimoniare, se ce ne fosse bisogno, la spiccata progettualità dell’ensemble) più brevi scritti di altri autori e un’infinità di suggestivi bianchi e neri opera di Luca D’Agostino e altri fotografi completano un volume certamente prezioso nell’esegesi di Enten Eller, che, se possiede un’altra peculiarità degna di nota, questa è la capacità (la volontà) di rappresentarsi (e anche qui lo zampino di Massimo Barbiero è determinante).

 

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In dettaglio

  • Artista: Davide Ielmini
  • Editore: Arti Grafiche Biellesi
  • Pagine: 170
  • Anno: 2019

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