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Dino Fiore (Castello di Altlante)

Con il contrabassista de Il Castello di Atlante tra passato, presente e progetti futuri

Qualche giorno fa la band piemontese il Castello di Atlante è partita alla volta di Quebec City per partecipare al Terra Incognita Convention, dove hanno suonato il 17 maggio in uno dei più importanti appuntamenti al mondo di prog rock o musica progressive che dir si voglia. Il Castello è una realtà atipica nel panorama sonoro tricolore: il sestetto inizia giovanissimo durante i Seventies avendo di fronte mostri sacri come Banco, PFM, Orme, Area, Perigeo e decine di altri nomi di indiscusso valore, che gli precludono subito la produzione discografica, che avverrà molto tempo dopo grazie alla costanza e alla coerenza di un ensemble che ha sempre perseguito un ideale di arte e cultura che da circa vent’anni sta dando i suoi frutti a livello mondiale, come spiega il veterano contrabbassista Dino Fiore in quest’intervista in esclusiva per L’isola che non c’era.

Così, a bruciapelo chi è o cos’è il Castello di Atlante ?
Il Castello di Atlante non è solo una band di rock progressive, è anche la nostra seconda casa. Quella dove ci troviamo per parlare di tutto quanto abbiamo bisogno, per fare bisboccia, per discutere, per scherzare e ovviamente per suonare. Nel 2014 abbiamo festeggiato i quarant’anni di attività e ti posso confessare che, alla resa dei conti, è stata ed è ancora una gran bella avventura, musicale e soprattutto personale.  Un viaggio incominciato che eravamo ragazzini e che continua con un costante impegno e un grande entusiasmo e con la voglia di creare cose sempre nuove, di comporre musica e di stare insieme. Infatti alla base di tutto quanto esiste l’amicizia, un legame indissolubile che ci mantiene integri nel tempo nonostante le mode e gli stili di vita, i mutamenti delle epoche che ovviamente hanno modificato la musica e le tecniche interpretative e compositive, ma non il grande rapporto che ci unisce oramai in maniera granitica. 

Come vi siete conosciuti? Quale era la formazione originaria e che cambiamenti ci sono stati fino a oggi?
Il tutto iniziò quando alla fine degli anni Sessanta Paolo Ferrarotti e io abitavamo nella stessa via, a Vercelli, uno di fronte all’altro. Tra un gioco e l’altro abbiamo capito che eravamo innamorati della stessa “ragazza”: la musica. E così decidemmo che dovevamo suonare insieme, considerato che entrambi già avevamo delle bands nelle quali militavamo. E poi era il progressive rock che ci univa ancora di più, con le notti in bianco passate a sentire i dischi dei Genesis, Gentle Giant, ELP, Banco, Yes. In pochi mesi abbiamo arruolato Massimo Di Lauro (violino), Aldo Bergamini (chitarra), Giampiero Marchiori (a quei tempi flautista e oggi rinomato fotografo) e vari tastieristi (sempre una categoria difficile da gestire) tra i quali il grande Luigi Ranghino (oggi famosissimo pianista jazz), Claudio Lambertoni e Roberto Giordano. Ora con l’arrivo della splendida persona nonché leggendario musicista Tony Pagliuca delle Orme abbiamo trovato il nuovo assetto per il futuro. 

Quindi ricapitolando chi suona ora nel Castello?
Aldo, Paolo e io siamo i tre “sopravvissuti”, i componenti “storici” e fondatori della band, quelli che hanno resistito con testardaggine al tempo e alle mode di tutti questi anni trascorsi insieme. Massimo ha dovuto, per importantissime necessità personali, appendere il violino al chiodo, ma dall’esterno collabora ed è sempre presente nei nostri lavori discografici. Oltre a Tony Pagliuca ci sono poi Mattia Garimanno (batteria, allievo del grande Furio Chirico) e Andrea Bertino (violino, membro dell’orchestra di Rondò Veneziano diretta dal maestro Reverberi)

Mi racconti ora il primo ricordo che hai del gruppo? Che anno era?
Sono tantissime le immagini che ho scolpite nella memoria e i ricordi si accatastano uno sopra l’altro, ed è difficile estrarne solo alcuni. Dopo che Paolo e io abbiamo dato inizio alla grande avventura, dal 1974 al 2014 abbiamo fatto tantissimi concerti,  dal teatrino della parrocchia di Pontestura  al Gran Teatro De La Musica di Mexicali in Messico, dai paesini del Monferrato al tour del Giappone (Tokyo, Nagoya, Kyoto). Tante registrazioni con i mezzi dell’epoca, un 45 giri autoprodotto nel 1983, otto CD e un DVD Live ufficiali, tante composizioni che scaturivano da una fervida e giovanile esuberanza creativa, tante prove fatte in un cascinale (ancora oggi proviamo in una cascina persa tra le risaie), che a volte ci accoglieva in pieno inverno, temperatura esterna di meno sei gradi, con la stufa a kerosene completamente intasata e inesorabilmente spenta!!!  Per non parlare dei concerti fatti in un campo da calcio, senza copertura alcuna e dove l’erba era un miraggio, alle due di pomeriggio e sotto il sole della Pianura Padana in piena estate a più quaranta gradi!!!  Una gran bella storia, sicuramente comune a tante altre rock band del passato, che sarà raccontata su di un libro (Paolo la sta scrivendo) di prossima pubblicazione. Oggi giriamo il mondo con i nostri concerti (Giappone, Indonesia, Messico, Stati Uniti, Canada, Lituania, Olanda, Francia) e tra poco uscirà il nostro nono lavoro discografico, eppure pensare a quei momenti ci fa ancora malinconicamente sorridere.  

Quali sono i motivi che vi hanno spinto a  suonare prog e non heavy metal o folk-rock o rock’n’roll o jazz o altro ancora?
Mah, non c’è una ragione specifica, se non che a quei tempi noi ascoltavamo prevalentemente il prog. Forse perché questa musica suonava alle nostre orecchie in maniera diversa dagli altri miti rock dell’epoca (Led Zeppelin, Black Sabbath, Who, Soft Machine, eccetera) e poi perché tra i giovani locali noi eravamo gli unici a suonare quel genere, e se non proprio gli unici eravamo comunque considerati come le mosche bianche. A noi le sfide sono sempre piaciute, e la sfida con la musica prog era proprio stimolante. Era molto più facile salire sul palco e farsi apprezzare proponendo Hey Joe di Jimi Hendrix piuttosto che Smoke on the water dei Deep Purple, mentre ben più ostico era far digerire violino, flauto e suoni vellutati di tastiera con composizioni proprie. Ma a noi piaceva così e poi Paolo e io già avevamo sperimentato il prog con le nostre band precedenti (Paolo con un genere prossimo ai Nice e io al Banco).  


E in particolare che modelli avevate di fronte allora e quali oggigiorno?
A quei tempi le nostre maggiori fonti di ispirazione erano Genesis, Jethro Tull, Yes, PFM e Banco. Nel tempo la nostra musica si è arricchita e affinata, attingendo ad altri modelli, sempre di ambiente prog, quali per esempio gli americani Spock’s Beard di Alan Morse (con le tastiere di Ryo Okumoto), Transatlantic (il supergruppo di Neal Morse, Mike Portnoy, Roine Stolt e Pete Trewavas), Steven Wilson (ex Porcupine Tree) e molti altri. Insomma le nostre orecchie hanno incominciato a superare i confini ristretti del progressive internazionale datato e di quello nostrano.  

Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associate alla vostra musica?
Spontaneità, creatività, amicizia, sincerità. Se vuoi sono termini un po’ scontati e comuni, ma per noi sono reali. 

Tra i molti dischi che avete fatto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?
Senza ombra di dubbio il primo e l’ultimo. Da un lato Sono io il Signore delle terre a Nord (1992) perché ha segnato l’inizio della nostra avventura discografica e contiene una selezione tra il meglio delle nostre composizioni dal 1974 al 1992 che, sino a quel momento, giacevano sonnecchianti nei nostri spartiti.  Peraltro ancora oggi è il disco più venduto e ancora ricercato dagli amanti del prog. Dall’altro lato c’è ora Capitolo 8 Live (2014) perché racchiude in un concerto tutto il meglio della produzione della band, e costituisce la contemporanea chiusura di un capitolo musicale durato 40 anni (a cui sono legato in modo assolutamente viscerale) e l’apertura di quello nuovo che durerà almeno altri 40! In tal senso l’entrata della nuova linfa è testimoniata dalla presenza dei giovani “castellani” Mattia e Andrea, testimoni ed eredi del futuro Castello.

Il  momento più bello della carriera del Castello?
Forse il “concerto della vita” che abbiamo fatto a Quebec City nel 2013, quando tutto il teatro si è alzato in piedi alla fine del secondo pezzo e così è stato sino alla fine del secondo bis (il terzo non ce lo hanno fatto fare perché dopo di noi suonavano i Flower Kings!). Quest’anno ci ritorniamo, perché l’organizzazione del festival Terra Incognita Convention ci ha richiamato e, guarda caso, dopo di noi suonerà ancora Roine Stolt ma con la sua band.

Quali sono i musicisti con cui amate incontravi e collaborare? A chi avete fatto da ‘apripista’?
Abbiamo avuto molta fortuna in questo senso, perché l’essere presenti ai grandi festivals internazionali ci ha dato la possibilità di conoscere e anche collaborare a volte con celebri musicisti dell’area progressive. Mi piace citare fra i tanti Bernardo Lanzetti con i Mangala Vallis (per ben due volte abbiamo suonato con loro); Baraka e KBB due splendide band giapponesi che ci hanno accompagnato nel Japan Tour 2008; l’americana Linda Cushma, membro della band Oxygene8 e virtuosa dello stick, che ha cantato con il Castello in alcuni concerti; Antonio Bringas (batteria) e Claudio Cordero (chitarre) eccellenti e famosi musicisti messicani nella band Cast (sostanzialmente i Genesis del Messico), anche loro sul palco con noi. Per non parlare poi di Furio Chirico, Iano Nicolò, Beppe Crovella e tanti tanti altri. Personalmente ho collaborato anche con Arjen Lucassen e David Jackson (la leggenda dei Van Der Graf Generator), suonando con loro nel 2013 sul disco della prog band italiana Pandora.

E non avete di sicuro perso le occasioni per fare da “apripista” a grossi nomi della musica rock…
Certo, ad esempio, New Trolls, Gens de la Lune (la PFM francese), Flower Kings e - udite udite - Fish, l’ex cantante dei Marillion, in occasione della nostra partecipazione (con P.F.M., Osanna e Museo Rosembach) al Baja Prog 2014 in Messico. Ti confesso che suonare in apertura dei concerti di personaggi di tale levatura è un’emozione indescrivibile oltre che essere un onore! 

E come vedi la situazione della musica in l’Italia rispetto all’estero?
Amo fare sempre un esempio “esemplificativo”: quando abbiamo suonato nel 2010 al Prog Festival Crescendo in Francia (splendida location a Saint Palais sur Mer) erano in duemila a sentirci, con età compresa tra 16 e 80 anni! Stiamo parlando di un festival progressive, quel genere musicale tanto considerato morto e sepolto in Italia! Il fatto che sia alta la partecipazione a manifestazioni “di nicchia” (così si dice da noi), con pubblico di tutte le età, si giustifica con quanto viene diffuso dai mezzi di comunicazione, non c’è niente da fare. In Italia gli stadi si riempiono con Vasco, Ligabue o i Modà, mica con i Flower Kings o gli Osanna!  

Cosa state progettando a livello musicale per l’immediato futuro?
 In primis ci sarà l’uscita dell’ultimo disco del Castello intitolato Arx Atlantis, che in realtà sarebbe dovuto essere già pubblicato da qualche mese. L’entrata della band di Tony Pagliuca ci ha necessariamente costretti ad attendere. Tony vuol essere presente in questo lavoro e ci sta attivamente lavorando. Sarà un gran bel lavoro e, con la firma e la presenza anche di una leggenda del prog italiano, potete aspettarvi un album molto significativo e molto più incisivo rispetto al passato. Siamo poi stati invitati a partecipare al progetto musicale della rivista finlandese ‘Colossus’, basato sul “Decameron” di Giovanni Boccaccio. Musicheremo la seconda novella della decina giornata “Ghino di Tacco e l’abate di Clignì”, pezzo che vede come coautore lo stesso Pagliuca. Nel frattempo Paolo sta ultimando di scrivere il libro, di cui ho già parlato, con la nostra storia tra il serio e il faceto, sicuramente. 


Come vuoi concludere quest’intervista?
Dicendo che il prog è vivo e vegeto, soprattutto quello italiano che è tanto considerato e apprezzato nel mondo. Bisognerebbe che qualcuno, in alto, prendesse seriamente coscienza di questo fatto e ci riservasse nel panorama musicale nostrano la giusta e doverosa collocazione.

 

 

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