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Zibba

Uno vero

Veloce scambio di pareri con Zibba, cantautore dalle idee brillanti. Uno giovane, ma che sa già il fatto suo, vista la buona esperienza accumulata negli ultimi anni, e visto che in questo momento del suo cammino ha capito che passerà la vita a fare musica, e non è poco. Arrivato nel frattempo al terzo album con l’ottimo “Una cura per il freddo”, ci descrive il suo modo di confrontarsi con la materia musicale, plasmata con schiettezza, profondità espressiva, noncuranza per gli atteggiamenti di facciata. Insomma, a naso, non il solito “ruffiano”.

 

Con “Una cura per il freddo” siamo al terzo album, è già ora di un bilancio?

Il bilancio è tutti i giorni, ma con me stesso. Poi quello vero lo lascio comunque a quando me ne starò sdraiato il minuto prima dell’ultimo respiro, con l’ultima sigaretta tra le dita e “Tom Traubert’s Blues” (dall’album di Tom Waits, “Small Change” – 1976, ndr) che gira nello stereo. Musicalmente è di sicuro arrivato il momento in cui ho capito che questo è quello che farò per sempre. Ed è per me già un bel traguardo.

 

 

 

Un album registrato in vari luoghi, in maniera itinerante. È un modo di concepire le cose che riflette il tuo stesso carattere?

La varietà è un po’ parte del mio pensiero. Non sto mai fermo. Sempre con una sfida in testa. In realtà quando mi allontano da casa sento presto il bisogno di ritornarvi. Mi è piaciuto in questo disco andare a rintracciare le atmosfere che mi sedevano in testa quando ho scritto le canzoni. Così come mi è piaciuto immergermi in questo lavoro, a volte, lontano da tutto e da tutti. Merita cura e attenzione, come ogni cosa che parla un po’ di noi. Trovare il luogo che ci ispira nel modo giusto.

 

Al centro dei testi ci sono le storie di ogni giorno, di gente comune, situazioni normali descritte con occhio attento. In particolare, a chi ti rivolgi?

Salire su un palco è una grande responsabilità. Mi rivolgo a chi potrebbe fare di più per migliorare il metro quadro che sta attorno al proprio culo. Alle persone aperte di spirito e a chi ha coraggio di lasciarsi incantare dalla bellezza della vita. Alla gente comune come dici tu. A tutti quelli che ne hanno voglia.

 

Hai chiamato a raccolta molti ospiti. Chi tra di loro ha sposato al meglio la tua idea di fare musica?

L’idea tutti. La collaborazione è uno dei principi che stanno alla base del “mio” modo. E tutte le persone che hanno deciso di regalarmi un pezzo della loro arte lo hanno fatto con dedizione verso questo concetto. Collaborare. Scambiarsi emozioni e note. Li ringrazio tutti enormemente. Preziosi esseri umani che non sono altro.

 

Qual è la ricetta per far emozionare e allo stesso tempo sorridere chi ti ascolta?

Essere sempre me stesso. Non mentire. La vita è un po’ un susseguirsi di orgasmi e corse al cesso. Raccontarla, dal mio punto di vista. Sarà la mia a essere tanto ironica quanto emozionante, ma non ne vedo un’altra possibile. Quando non è tempo di un abbraccio vorrà dire che è il momento di riderci sopra.

 

Il tuo è un modo compositivo che spazia con disinvoltura tra molti generi: quali sono i pro e i contro di un atteggiamento così “free”?

Di buono c’è che facciamo quello che ci piace senza porci troppe domande. Di contro c’è che a ogni intervista, tranne in questa, mi chiedono di definire la mia musica.

 

Lavori praticamente da sempre con gli Almalibre. Per una risposta ti diamo la possibilità di cantare con un’altra band, chi scegli?

Andrei a scegliere i musici uno a uno tra chi la musica ha voglia di viversela fino in fondo perché non può farne a meno. Per bisogno, come è per me. Tanto come mangiare o fare l’amore. Non so se prenderei una band esistente, non credo di conoscerne nessuna così bene da dire che mi piacerebbe suonare con loro. Forse la band che accompagnava Van Morrison in “Astral Weeks”, giusto per il piacere di sentirmi parte di qualcosa di geniale. O magari il quintetto di Sonny Rollins, ma starei giusto a guardare.

 

Stai ottenendo molti consensi, sia di pubblico che di critica. Qual è l’obiettivo che vorresti raggiungere?

Fortunatamente non aspetto il successo per essere felice. Sto bene, perfettamente. Il mio obiettivo è solo quello di arrivare al cuore delle persone, con quello che per ora è il mio mezzo. Quindi che dire: suonare il più possibile e conoscere quante più cose e persone e luoghi si possa. Per il resto, concretamente, non mi dispiacerebbe da anziano essere uno di quei cantautori che beve porto e canta seduto al pianoforte con la voce spezzata dal fumo davanti a una platea in teatro che ti considera un poeta. Ma sono ancora giovane. Per ora mi basta suonare e rilasciare interviste belle come questa. Let it snow… (poi ci guardiamo).

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