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Canzoni&Parole - Festival di musica italiana ...

  di Annalisa Belluco  ‘Canzoni & Parole’ il festival della canzone d’autore italiana organizzato dall’Associazione Musica Italiana Paris che ha esordito nel 2022 è pronto a riaccendere le luci della terza ...

Riccardo Fogli

Una Storia non proprio da tutti i giorni…


Chiamiamo Riccardo Fogli al telefono per un'intervista concordata in un pomeriggio di maggio e subito veniamo accolti da grande simpatia e da una disponibilità che, tra ricordi e sorrisi, non ci lasceranno il tempo di guardare scorrere le lancette dell'orologio. L'occasione è la recente pubblicazione di un suo libro con cd allegato e audiolibro letto dallo stesso Fogli, uscito per
Azzurra Music nel 40°anniversario della vittoria a Sanremo con il brano Storie di tutti i giorni. Questo grande successo di Riccardo Fogli e altre canzoni importanti della sua storia musicale sono presentate oggi in una nuova versione con gli arrangiamenti di Mauro Ottolini e suonati con l'Ottovolante Orchestra. Inoltre, nel disco vi sono anche gli ultimi singoli e due brani dedicati ai figli, arrangiati da Filadelfo Castro e suonati con la band.

 

Impossibile non iniziare dal titolo del LibroCd, ‘PREDESTINATO (Metalmeccanico)’: come mai questo titolo insolito?
Eh, quelli della mia generazione avevano un destino, quello di andare in fabbrica, fare il falegname, il muratore. Nel dopoguerra c'era bisogno di lavoro, io sono figlio del dopoguerra. Il mio papà prima faceva il fabbro, ferrava i cavalli, affilava le falci; quindi è andato in guerra come milioni di italiani e al ritorno faceva tutti i lavori che gli offrivano, e quando a Pontedera aprì la Piaggio fu assunto insieme a 7-8mila operai poveracci come lui. Toccò il cielo con un dito perché finalmente poteva dare tutti i mesi alla mi' mamma (il capitano era lei) uno stipendio fisso che desse loro la sicurezza di comperare il cibo per i figli. Mamma mi raccontava con ironia (perché mamma era una sognatrice, oltre che massaia e contadina) che papà era così felice del suo lavoro che la domenica facendosi il segno della croce diceva: "Dio, fa che anche il mi' figliolo diventi metalmeccanico!". Io quindi ho fatto la terza media e poi… sono diventato ragioniere, sì, ma ho fatto ragioneria a sessant'anni, alla scuola serale. Alla fine i professori si sono complimentati molto, però mi hanno fatto promettere di non fare mai il ragioniere!

 

Il libro non è un'autobiografia, è piuttosto una raccolta di aneddoti perlopiù legati alla sua infanzia, all'adolescenza e alle prime esperienze musicali, in cui lei sorvola poi piuttosto velocemente sugli anni del successo e della notorietà. Sembra che abbia voluto fare i conti con il suo passato personale per rendergli il giusto riconoscimento, tralasciando gli episodi che più sono noti al grande pubblico, è così?
È assolutamente così, anche perché le altre notizie sono sulle pagine dei giornali. In realtà, io mi rendo conto che avrò 75 anni ad ottobre e, quando la notte aspetto che arrivi il sonno che non arriva mai, mi tornano dei ricordi lontanissimi. Un giorno di 2 anni fa, prima di pensare che sarebbe diventato un libro, cominciai a buttar giù queste memorie perché non ho più la mamma, il papà, mio fratello maggiore, e quindi sono solo, perso in quei ricordi. Ho capito che scrivendo mi si aprivano dei cassetti, all'interno dei quali c'erano delle cose che io conoscevo ma che avevo accantonato o dimenticato, non so. È stato un viaggio emozionante, come se tornassi a rivedere mia madre che era un mito, mio padre, mio fratellone, i miei amici di scuola. Ma io non mi sento uno scrittore nel senso classico del termine, il libro esce ad accompagnare il disco in occasione dei 40 anni di Storie di tutti i giorni. E quindi senza il disco non ci sarebbe stato il libro, tra l'altro ricco di foto inedite.

Leggendo, si percepisce che la sua famiglia d'origine ha avuto un ruolo importante nelle sue scelte lavorative e musicali agli inizi, mentre la sua famiglia di oggi è arrivata dopo il grande successo. Mia moglie, che beata lei ha trent’anni anni meno di me ed è ballerina, attrice, modella, blogger... a 16 anni fu portata "a forza" a vedere un mio concerto, perché i genitori erano e sono miei grandi fan. Sembra che quando lei mi vide scendere dal palco, dopo un concerto di canzoni che parlano d'amore, abbia detto: "oddio che uomo bellissimo" (e qui la voce assume un tono in falsetto) "però tutte quelle ragazze intorno che lo vogliono abbracciare, baciare.... No, un momento, io aspetterò che diventi vecchio e che non lo voglia più nessuna, e lo sposerò." E così è andata (ride).

Quale importanza ha avuto invece lo sport, nella vita di un cantautore ormai affermato?
A parte il fatto che appunto il primo calcio a un pallone l'ho dato a 35 anni, avevo comunque già un passato per così dire sportivo. A Pontedera ho fatto il chierichetto per anni e anni, poi son diventato troppo grande e mi hanno detto il classico "vai a giocare a pallone". In realtà non giocavo a pallone perché la mia mamma non voleva rovinassi le scarpe, che dovevo andarci a scuola, e siccome all'oratorio c'era un solo tavolo da pingpong, mi mettevo lì ad aspettare il mio turno. Poi l'allenatore mi convocò in squadra e cominciai a giocare sul serio nell'Azione Sportiva di Pontedera, fino a quando nel '63, pur avendo cominciato a cantare, venni convocato e ai campionati italiani di tennistavolo a coppie, e diventammo campioni italiani juniores.
Invece, molti anni dopo a un Festival di Saint Vincent - mi sembra condotto da Gianni Morandi e da Barbara D'Urso - Gianni mi chiese se sapessi giocare a pallone perché aveva organizzato una gara fra i cantanti e i camerieri. Gli risposi: "Gianni, non lo so ma ci posso provare." Così poi, insieme a Mogol, Morandi e Giacobbe, abbiamo messo insieme la Nazionale Italiana Cantanti con dei numeri di raccolta fondi di solidarietà altissimi in tutto il mondo. Poi un giorno, sempre Gianni, mi disse che stava preparando la Maratona di NY del 1999. Io provai, provai, ma oltre i 10 km non arrivavo, quindi ci ho messo due anni di preparazione per correre la mia prima maratona di NY del 2000, e la seconda del 2001. Perché io, nello sport come in ogni altra cosa che faccio, sono "tenacio" e non mollo!

Parliamo ora di questo nuovo lavoro discografico: come è avvenuto l'incontro con il maestro Mauro Ottolini (qui in una foto di repertorio) che è un musicista eclettico che proviene dal jazz, piuttosto distante dal suo mondo?
È vero, ma la musica è la musica. Ottolini ha sentito i miei lavori e ha detto che gli piacevano molto questi brani storici ed era incuriosito all’idea di infilarsi con i suoi fiati nelle mie canzoni, ed è ciò che ha fatto con grande maestria e gusto. È stato un vero onore per me lavorare con Ottolini.

Oltre alla presenza interessante dei fiati, si sente la spontaneità della voce che sembra quasi in presa diretta, una voce piuttosto "emotiva" nonostante la grande esperienza.
Beh, sì io normalmente scaldo la voce due ore prima e poi canto subito bene le mie canzoni, nel modo spontaneo che mi viene naturale. Però questo è un dono che parte da lontano e io curo e proteggo la mia voce: infatti sto attento, vado a correre ma non prendo freddo, mi vesto a cipolla e se sudo mi faccio la doccia subito e l'aria condizionata per me potrebbe essere ritirata dal mercato.

Nel disco ci sono anche quattro brani arrangiati e prodotti da Filadelfo Castro (qui a sinistra in una foto di repertorio), tra i quali due dedicati ai suoi figli, e poi c’è una nuova versione di Mondo con la chitarra di Dodi Battaglia.
Ah sì, era il mio compleanno e mi arriva una telefonata, era il fratellino Dodi. Avevo appena inciso Mondo con il nuovo arrangiamento di Filadelfo Castro e lui mi ha detto che voleva farmi un regalo, così ci ha messo questo finale meraviglioso. Ha aggiunto una cosa che solo Dodi sa fare, e gli sono molto grato.

Ci racconta dei due brani per i figli?
C'è La tenerezza, che parla di mio figlio ma non solo: in realtà parla dei nostri figli che a una certa età non rispondono più al telefono. Noi impazziamo, non dal dolore ma dalla preoccupazione. Poi quando lui mi richiama e io magari sono dall’altra parte del mondo, è lui a preoccuparsi: “papà che succede, perché mi hai chiamato?” Noi abbiamo solo bisogno di sapere che stanno bene.
Poi c'è la canzone dedicata alla mia bambina, Michelle: un anno fa la portammo a prendere l'impronta per mettere l'apparecchio, le sbiancarono i dentini e da qui nasce il titolo Gli angeli hanno i denti bianchi. Lei fu fortissima e bravissima e alla fine mi disse una cosa che forse mi doveva dire da qualche giorno: “Senti papà” (e al telefono Fogli fa la vocina, imitando la bimba piccola) "tu hai scritto una canzone per la mamma, quella delle rondini che hai cantato con lo zio Roby e poi hai scritto una canzone per il Dado". E lei che è una furbetta: "ma una canzoncina per me quando me la scrivi, papà?" E in quella notte fortunata e illuminata, ho scritto la sua canzone, anche se la sua preferita resta sempre Piccola Katy, che quando viene ai concerti canto sempre tra le prime perché so che poi regolarmente si addormenta.

Comunque, in generale, il discorso sui figli e il tempo che passa tocca corde sensibili di ognuno di noi.
Quelli della mia generazione hanno avuto tutto. Certo, siamo figli della guerra, abbiamo passato i primi 15 anni a pane e olio e una braciolina la domenica ogni tanto, però poi in realtà per noi si è aperto il mondo, soprattutto per chi come me si è innamorato della musica. Io ho girato il mondo mille volte, ho conosciuto tante persone, tante ragazze, eravamo “figli dei fiori”. Porto nel cuore gli anni ‘60 e ‘70 perché eravamo liberi, non avevamo una lira in tasca ma respiravamo questo vento di novità. Io arrivavo dalla campagna, e c’era questo concetto di “amore libero”: senza offesa per nessuno, era molto facile avere quest'approccio tenero con le ragazze, io son sempre stato tenero. Oggi in casa mia ci sono appesi dischi d'oro, coppe, gondole, foto, Sanremo… e quando ne parlo con mio figlio, lui mi fa capire che è contento di queste mie vittorie, però ogni volta mi riporta un po’ con i piedi per terra e mi dice di aprire gli occhi perché le cose sono cambiate. Come dargli torto, tutto quello che abbiamo vissuto e consumato noi, adesso non c'è più. Non ci sono più le chances che noi avevamo, le libertà; certo, si può lavorare ancora, però le vere speranze, il boom economico, i sogni che erano alla portata di tutti, sono finiti.

 

Tutto è cambiato e anche la musica non poteva rimanerne immune. Probabilmente è cambiato anche l'approccio del pubblico nei confronti degli artisti e degli artisti che i nostri figli ascoltano nei confronti del loro pubblico.
Sai, noi facevamo una gavetta tale che quando diventavamo famosi lo eravamo perché bravi, e aldilà di vendere i dischi eravamo davvero conosciuti. Quando noi andavamo a suonare in una discoteca c'erano 500 ragazzi e ragazze che venivano soprattutto ad ascoltarci, più che a "vederci". Se poi succedeva che facevi un disco di successo, non cambiava niente perché tu non diventavi ricco, diventavi un pochino più popolare e magari andavi in televisione. Premetto, ci sono stati anni in cui in televisione i gruppi non li volevano, e quindi era più complicato per noi diventare famosi. Eravamo più bravi che famosi, ecco, ed eravamo anche più umili evidentemente perché eravamo continuamente immersi nella gente. Quando arrivavamo col camioncino c'erano almeno 5 ragazzi che ci davano una mano a scaricare gli strumenti per affetto, per simpatia... però, cosa vogliamo dire? Il mondo cambia!

Da “gommista capellone” a “bassista cantante” di successo il salto quindi non è stato proprio breve.
Certo, quando siamo arrivati noi abbiamo sbaragliato la concorrenza, ci chiamavano capelloni, sporchi, perfino drogati. Noi non eravamo assolutamente drogati, eravamo acqua e sapone e ci lavavamo i capelli (ride), però eravamo un po' contro tendenza, quindi la mia mamma si è sforzata a capire che cosa volevo fare. Il grande pubblico è entrato in sintonia con la musica che proponevamo, che era diversa da quella che si ascoltava allora, ed è un po’ quello che io sto facendo con la musica di oggi, anche con la guida di mio figlio. Anche i ragazzi d'oggi parlano d'amore, ma sono incavolati, e quando usano quello che hanno dentro il cuore, hanno tutta la mia stima. Quelli che però esagerano e parlano di droga o di violenza non li ascolto, ma forse capiranno anche loro...Ci vuole pazienza con i giovani!

Tornando alla vittoria a Sanremo del 1982, pensa che i brani che si sono imposti nelle ultime edizioni del Festival potranno essere ricordati universalmente come la sua Storie di tutti i giorni anche tra 40 anni?
Forse fra 40 non so, però i Måneskin ma anche Mahmood e Blanco sono ragazzi molto originali, preparati, bravi e quindi …chissà!  Ora con il web ogni tre o quattro mesi si rovescia tutto, la moda cambia, è difficile essere fedeli per così tanti anni allo stesso artista, o allo stesso genere, c'è una proposta altissima. Io mi auguro che fra 40 anni loro possano fare la versione del quarantennale come ho fatto io, con questo libro e questo progetto, glielo auguro, ma non sarà facile. Magari faranno tutti i registi o gli attori, o chissà che altro. I Måneskin sono un fenomeno musicale perché sono bravi e anche intelligenti, potrebbe succedere loro qualcosa di grandioso ovunque nel mondo, potrebbero anche essere i Rolling Stones degli anni 2050, per dire!

Torniamo ancora un po' indietro nel tempo (qui sotto due foto... indietro nel tempo): nel giugno del 1966 al 'Piper' di Milano avviene uno degli incontri determinanti per la sua carriera, quello con i Pooh. Ci racconta come andò?
Allora io facevo parte di questo gruppo di metalmeccanici, ci chiamavamo Sanders (Smilzi) perché eravamo tutti magri come dei chiodi, e fummo ingaggiati per due settimane e poi fummo riconfermati per altre due. I Piper avevano due palchi su cui due gruppi si alternavano, non c'era un attimo di silenzio. Tutti si suonava dal vivo e tutti più o meno con formazioni simili, quindi alla terza settimana nell'altra pedana arrivarono questi Pooh che avevano già inciso un 45 giri ma non erano ancora famosi. Noi guardavamo loro e loro guardavano noi, e dopo qualche giorno Roby Facchinetti e Valerio Negrini mi vennero a parlare. Dissero: “Sai, noi avremmo bisogno di un cantante bassista come te, ci piaci.” Io dissi che un gruppo ce l’avevo, però loro sapevano (perché ne avevamo parlato) che noi stavamo tornando a casa delusi, mortificati perché i ragazzi lavoravano in fabbrica. Io facevo il gommista, ma col mi' babbo e mio fratello, mentre loro avevano una media di 1 o 2 figli piccoli a testa e avevano terminato il permesso, e quindi il sogno era finito. Eravamo pieni di debiti, con un camioncino del quale avevamo pagato 4 o 5 cambiali, quindi facemmo una grande riunione, Pooh e Slanders insieme, e decidemmo che i Pooh potevano prendere Riccardino ma si dovevano accollare anche le cambiali del pulmino!

E quando 43 anni dopo aver lasciato i Pooh, le chiesero di tornare a suonare insieme in una inedita formazione a cinque per celebrare i 50 anni della Band, quale fu la sua prima reazione?
Dissi subito di sì! Ci incontrammo con Dodi e suonammo insieme una sera, e la settimana dopo vidi Facchinetti, ma loro avevano già preparato il momento in cui parlarmi, però non avevano ancora le idee chiare di che tipo di tour avrebbero voluto fare. Volevano andare a salutare tutti gli amici di tutte le città che li (e ci) avevano accompagnati negli anni, e quindi io dissi sì senza condizioni. In realtà me lo chiedevano da molti anni ma la vita è così strana, è piena di sorprese belle e brutte e il momento era stato sempre rinviato. Ora era l’occasione giusta, e quindi da lì a qualche mese cominciammo a provare. Abbiamo provato tanto, specialmente io che ho dovuto studiare molto per suonare con loro, e poi alcune canzoni le conoscevo e le amavo attraverso la radio, ma magari sbagliavo le parole, e quindi ho dovuto fare un grande lavoro. Dodi mi ha insegnato gli accordi per suonare insieme, perché Dodi Battaglia da solo vale 10 chitarristi, e quindi mi ha guidato piano piano e io suonavo un po’ di chitarra qua, un po' là e un po’ cantavo, e mi sono divertito molto.

Durante quei concerti lei suonava la chitarra e Red Canzian il basso. C'è stato un momento però in cui vi siete scambiati gli strumenti per suonare i brani della sua storia con i Pooh.
In realtà è successo solo in un brano, In silenzio. Red è stato carinissimo, ha detto che il basso in quella canzone me lo dovevo suonare da me, e quindi durante il concerto a un certo punto lui mi bussava alla spalla e io facevo un po' l'indiano, poi mi passava il suo basso e io suonavo. Davvero un'emozione dopo l'altra in quel tour!

Immagino che la maggior parte del suo pubblico non immaginasse che potesse mai accadere una situazione del genere. Cosa ha significato per lei il tour ‘L'ultima notte insieme’?
Prima di entrare in scena avevo un'emozione che mi prendeva allo stomaco. Era un evento che anche il mio pubblico sognava, lo desiderava proprio. Invece c’erano fan dei Pooh che neanche sapevano che io un tempo facevo parte della formazione; infatti, all'inizio più di qualcuno si chiedeva cosa c'entrasse Riccardo Fogli con i Pooh. Quindi ho dovuto anche un po' lavorare intorno a questo fatto per non sentirmi un intruso, ma poi hanno imparato a volermi bene, tutti, ed è stato indimenticabile!

Il apporto con Roby Facchinetti, con il quale lei ha presentato il brano Il segreto del tempo a Sanremo nel 2018, si era mantenuto negli anni o è stato riallacciato con la Reunion del 2016?
È stato sempre mantenuto nel tempo perché io e il fratellone eravamo gli “stranieri” della band. I Pooh nascono a Bologna e quindi noi partivamo e tornavamo a Bologna col pulmino, dopo di che io e “Facchinettone” avevamo una pensioncina dove per 800 lire ci davano due letti e un lavandino, e poi contavamo i soldi e con quello che si metteva insieme mangiavamo, fino ad andare a suonare la volta dopo. Pensa che per andare fuori città a suonare, molto spesso la nonna di Mauro Bertoli (primo cantante e chitarrista dei neonati Pooh) o la mamma di Valerio Negrini ci prestavano i soldi per il gasolio, perché tutto quello che avevamo ce l'avevamo in tasca, e questo per diversi anni finché non arrivò Tanta voglia di lei. Poi la nostra vita cambiò, ma poco devo dire; alla fine frequentavamo gli stessi alberghi, gli stessi amici e anche le stesse discoteche perché avevamo preso degli impegni per l'anno dopo e noi abbiamo mantenuto sempre tutti gli impegni, siamo andati a suonare anche tutti i giorni per una settimana o due rispettando quello che avevamo firmato. Ci siamo fatti le ossa nelle discoteche suonando due ore e mezzo/tre, ma non avendo ancora un repertorio facevamo le cover dei brani di Led Zeppelin, Deep Purple, Jimi Hendrix, Bee Gees e Beatles arrangiati a modo nostro, ed è così che si cresce. Perché facendo le cover, se non sai suonare, o impari o cambi mestiere!

Invece, riguardo al futuro, c'è in programma un nuovo tour?
Sono già in tournée con la mia band storica (che è presente anche in questo disco) e siamo molto felici di suonare! Alcuni dei miei musicisti suonano con me da 45 anni, altri da 20 o da 15, e suoniamo con piacere dove ci chiamano. perché se mi cercano e amano la mia musica per me è un onore cantare, anche per 30 persone. Però capisco anche l'atteggiamento di quei ragazzi che, essendo usciti dai talent, hanno bisogno di un bagno di folla perché magari hanno solo due canzoni ma hanno già venduto tutti i biglietti e si devono far conoscere da più gente possibile.
Quelli come me, che hanno molti successi alle spalle, possono permettersi di fare anche un concerto chitarra e voce, e anche da solo posso raccontarti la mia storia, proprio perché provo un piacere infinito a suonare e cantare. Io ho capito che il mio mondo è quello là, io devo andare a cantare, sto bene quando canto, così mi esprimo e sono felice.



Foto di Mimmo Fuggiano e Valeria Bissacco (dove indicato).
Le due foto di Riccardo da giovane sono tratte dal libro senza indicare l’autore


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