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Emilio Stella

Scrivo per non "morire". Licenza poetica....

Il Premio Stefano Rosso, poi Botteghe d’Autore, infine l’invito del Club Tenco. Per Emilio Stella, giovane cantautore romano, questa appena trascorsa è stata un’estate piena di soddisfazioni. Lo raggiungiamo prima della sua partecipazione ad una serata organizzata dal Teatro Valle di Roma. Parliamo con lui degli inizi, di Roma e del nuovo album.  

Partiamo da quest’estate. Vittoria al 'Premio Stefano Rosso', vittoria nella rassegna 'Botteghe d’Autore'. Qualcuno in questi ultimi mesi si è accorto di te?

Sì, sono state due esperienze interessanti e sono felicissimo di aver vinto. La prima perchè si tratta di un premio che ricorda una persona molto particolare, romano doc, con cui mi sento in sintonia. Stefano Rosso era davvero uno spirito libero e questo mi accomuna a lui, quindi vincere questo premio, a Trastevere... insomma, una grande gioia. Sincera. Di 'Botteghe D'Autore', invece, ho un ricordo bellissimo per l'atmosfera che questo paesino del salernitano offre. Si sente quella sana voglia di difendere una canzone d'autore anche d'estate, anche in mezzo alle sagre delle mozzarelle che ti circondano ovunque....

 

Gratifica comunque portare un brano come Alle case popolari, con un testo così fortemente capitolino nelle intenzioni e vedere che poi ogni mondo e paese e che la gente ci si ritrova....

Hai ragione, infatti quel brano ha una forte connotazione diciamo "romana", da periferia romana, ma ogni volta che lo suono sento che mi sfugge di mano, che quella storia, quelle parole, diventano racconto, diventano condivisione. Anche se poi dopo la soddisfazione grande delle due vittorie, alla fine ho riflettuto su tutto e mi sono accorto che in fondo non cambia nulla, ho ancora più fame di continuare. Più che pensare al fatto che qualcuno si sia accorto di me e della musica che faccio, queste esperienze mi hanno dato una grande carica in più.

 

Il 15 novembre sei stato anche invitato al Tenco a suonare.

Sì, il 15 mi esibisco una mezz’ora a Sanremo, sono stato invitato dal Club Tenco a proporre il mio progetto discografico. È una bella soddisfazione. Da quando ho iniziato seriamente, diciamo da un paio di anni, sono successe tante cose che mi hanno dato modo di capire ancora di più che questa è la strada che davvero voglio percorrere.

 

E questa strada quando ha avuto inizio? Come hai cominciato a scrivere canzoni?

Il fatto di scrivere canzoni nasce molto molto tempo fa, intorno agli undici anni. Come fosse un gioco, c’era chi andava a giocare a pallone e chi, come me, stava a casa rinchiuso, con la chitarra che mi aveva regalato mio nonno, giocando “a scrivere canzoni”. Un gioco che ho continuato anche da grande, anche se poi quando sono cresciuto ho cominciato a guardare tutto da un altro punto di vista, non dimenticando mai il concetto di divertimento/leggerezza quando mi approccio alla composizione.

 

Con che musica sei cresciuto?

Nella mia famiglia la musica ha sempre avuto un ruolo centrale. Casa di mia nonna, per esempio, è piena di chitarre appese al muro perché mio nonno costruiva strumenti musicali, e anche i miei zii spesso suonavano e cantavano. Il mio primo disco, regalato da mio nonno nel 1987 è stato “4 marzo ed altre storie” di Lucio Dalla.

 

Nelle tue canzoni c’è Roma all’ennesima potenza, non solo nel linguaggio. Che vuol dire oggi fare musica qui a Roma? Quali sono le difficoltà che incontri?

Se uno cerca "solo" un palco, allaora la difficoltà nel suonare non c’è, gli spazi ci sono (anche se negli ultimi anni molti hanno chiuso). Purtroppo le difficoltà arrivano quando chi come me decide di farlo per mestiere, o almeno ci tenta. Spesso nell’ambiente romano - ma purtroppo credo che questo sia un problema esteso anche al di fuori di Roma - non tutti i gestori di locali riescono a capire che questo, alla fine, è un lavoro come un altro e che quindi ha una logica di do ut des….

 

Chi gestisce un locale magari si limita a pensare “ti piace suonare, ti diverti, quindi vieni da me, sali sul palco e suona”, che è un ragionamento molto riduttivo…

È vero. Non so se questo possa nascere dal fatto che c’è sempre meno gente che lavora divertendosi; affiancare la parola divertimento a lavoro è qualcosa di sconosciuto a parecchi, quindi magari quando vedono noi musicisti che, grazie al cielo, ci divertiamo ancora quando suoniamo credono ci possa bastare così. Ragionamento alquanto ingiusto, come minimo....

 

Tra poco suoni al Teatro Valle, luogo di cultura ormai occupato da tempo, stessa sorte che sta vivendo l’Angelo Mai da qualche settimana. C’è qualcosa che si muove a Roma?

Credo sia giusto cercare di riappropriarsi di spazi e luoghi che altrimenti sarebbero morti e riempirli di arte, è qualcosa che condivido pienamente. Io abito a Pomezia e spero che possa cambiare qualcosa anche qui. Questa è una zona industriale, piena di capannoni sequestrati alla mafia, abbandonati, spero che questo vento di idee e cultura che viene da Roma possa far capire alla gente che è importante andarsi a prendere i propri spazi quando non gli vengono concessi.

 

Stai scrivendo qualcosa che poi andrà a concretizzarsi in un prossimo disco?

Sì, in realtà pure mo’ che m’hai chiamato (ride, ndr). Direi che il prossimo disco all’80% è finito, le canzoni ci sono. Ho iniziato a lavorare in studio di registrazione, spero che per la prossima primavera possa mettere un punto finale.

 

Stare a casa a scrivere da solo e poi stare su un palco, che sono i due momenti principali di questo mestiere, cosa ti emoziona dell’uno e dell’altro…

Quando la creazione finita ha un pubblico, e questo risponde, si crea quel legame di condivisione che poi è il vero momento in cui si dà un senso a tutto; però il momento della scrittura, quando vieni a capo di un pensiero, dà una sensazione di soddisfazione e di pienezza incredibile. Quando hai finito una canzone, hai una sensazione addosso un po’ come quando ti sei fatto una corsa, sei sfiaccato ma contento. Una signora, che faceva l’attrice, un giorno mi disse “io recito per non morire”. Quando me lo disse stava recitando in una compagna amatoriale, di dilettanti, anche se quando era stata giovane aveva fatto anche dei film, era stata un’attrice ad alti livelli. Quando ascoltai questa semplice frase m’è venuto in quell’istante da pensare che poteva valere anche per me, anche io “scrivo per non morire dentro”.

Foto di Gabriella Vaghini

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