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Canzoni&Parole - Festival di musica italiana ...

  di Annalisa Belluco  ‘Canzoni & Parole’ il festival della canzone d’autore italiana organizzato dall’Associazione Musica Italiana Paris che ha esordito nel 2022 è pronto a riaccendere le luci della terza ...

Domenico Fiumanò Violi

Il passo dell'uomo

Domenico Fiumanò Violi, per gli amici Mimmo, è uno strano musicista che partendo dalla musica colta si è via via imbevuto di jazz, canzone d’autore, sapori etnici. È un artista-artigiano che cesella i suoi lavori con pazienza e dedizione, fuori dalle logiche di un mercato impazzito e frenetico che non può amare. Ama invece il suo pubblico, lo rispetta, gli regala canzoni scolpite nel tempo. Chi scrive ha avuto modo di recensire, tempo fa, il suo ultimo lavoro, ”9minuti9”. Chi volesse riscoprirlo può quindi cominciare, se vuole, da quell’articolo (clicca qui). La recentissima uscita dello straordinario cortometraggio animato ‘Ad ogni alba’, legato a un brano di quell’album, è stata la ghiotta occasione di incontrare e intervistare questo singolare artista. Il corto animato, firmato da Simone Massi (regia, nonché sceneggiatura con lo stesso Fiumanò) e da Pietro Elisei (disegni) è visibile al sito dell’artista: https://fiumanodomenicovioli.com/artista/ Ecco dunque cosa è venuto fuori da una mezzora buona di chiacchiere in amicizia.
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Senti, Mimmo, “9minuti9” è al momento il tuo ultimo lavoro: un disco importante, intenso, curato nei minimi dettagli. Ecco, riascoltandolo a distanza di qualche tempo, che impressioni ti lascia quel lavoro?
Guarda, sono fasi che ho già passato più volte perché questo è stato un disco messo lì in caldo, con il lievito madre. Ai tempi della Sony [per cui erano usciti i primi due album, ndr] facevo altro, anche se non era poi molto distante da questo concept. Non ascolto spesso ciò che incido, se non dopo mesi e mesi. Poi i fatti della vita, anche quelli quotidiani che stiamo affrontando ora con ciò che succede fuori dall’Italia, mi avvicinano sempre di più a ciò che ho dentro, senza erigermi a messaggero di chissà cosa. Sono cose, la prigionia, la pena di morte, che ti toccano. Tu le scrivi e le metti lì. Erano in lievitazione, ma allora evidentemente non era ancora tempo. Poi quando è uscito l’album si vede che era arrivato il tempo giusto. L’ho presentato ad Opera, una di queste super-carceri, dove ci sono attività di recupero, senza azioni punitive, ma rieducative. C’è chi si è dedicato alla liuteria facendo violini eccelsi, chi fa il pizzaiolo, il saldatore, il sarto, il falegname… Ecco, sentirsi dire da queste persone: “Se esco, so cosa fare”, è molto bello. Quindi questo album è anche una metafora: quando parlo di pena di morte non mi riferisco soltanto alla sedia elettrica, o quella per endovena, ma le pene di morte che quotidianamente tante persone devono affrontare: la morte sul lavoro, quella dei migranti che navigano il mare portati da una speranza. È anche Bruno e la giberna, una delle tracce dell’album, che si riferisce a una storia della Prima Guerra Mondiale; basta andare a uno dei sacrari vicino a Trieste: una montagna di anime morte in quel conflitto. Tutte vicende che hanno segnato il nostro secolo e che non fanno onore al passo dell’uomo.

Come collocheresti il tuo lavoro, un disco molto eclettico negli stili, nelle lingue, negli approcci?
Mah, a volte si dice ‘canzone d’autore’, ma anche Nel blu dipinto di blu aveva un autore. I contenuti sono un’altra cosa: ognuno è autore e responsabile di ciò che scrive. Io sono uno di quelli che si è cibato, fortunatamente, anche di coloro che hai visto dietro di me [Domenico si riferisce a un quadro che ha in casa con la storica foto che ritraeva insieme Brel, Ferré e Brassens, ndr], e di autori di musica classica, operistica. E quindi ben venga questo linguaggio universale che quando ci accoglie, ci sceglie… dobbiamo accettarlo, darsi a lui. Io sono grato a chi mi ha impollinato di questo linguaggio.

 

Tu sei uno che pensa bene alle cose che fa: “9 minuti9” era uscito a ben 11 anni dal tuo precedente lavoro, “Il biciclettista”. Questo tuo ultimo lavoro appare un po’, a mio vedere, come la tua summa artistica. C’è il jazz, la canzone d’autore, le radici, il dialetto, l’impegno (o meglio lo sdegno) civile. C’è forma e sostanza. E la scelta di un tema portante, quello della pena di morte, per niente facile, per niente popolare oggi.
Beh, considera che ho cominciato a scriverlo 24 anni fa questo lavoro, era lì nel cassetto…Nel frattempo sono successe cose, corrispondenze importanti. Poi l’incontro con un amico, Marco Cinque [scrittore, poeta, fotografo e musicista, attivamente impegnato nel campo dei diritti umani attraverso progetti no profit itineranti, ndr - qui a fianco nella foto], che ha dedicato e dedica tuttora la sua vita a questo scempio disumano che è la pena di morte, e non solo. È stato per me un bellissimo incontro, mi ha dato una grande mano. Abbiamo parlato con dei nativi americani, con qualcuno che ora non c’è più, che è stato “giustamente” giustiziato. Potremmo parlare delle “pene di morte”, della varietà di questa disumana disattenzione consapevole, diciamo così…

Fa un po’ impressione considerare che noi in Italia, o meglio nel Granducato di Toscana, siamo stati i primi, nel 1786, ad abolire la pena di morte, ad espellerla dal codice penale, anche se poi purtroppo ci tornerà. E prima ancora c’è stato ovviamente Cesare Beccaria con il suo fondamentale ‘Dei delitti e delle pene’. Ecco dicevo, fa impressione constatare che ancora oggi, a distanza di due secoli e mezzo ancora molti Stati nel mondo, anche qualcuno del civile Occidente, pratichino la pena di morte, no?
E sì, purtroppo è proprio così. Non aggiungo altro.

Ma qui vorrei collegarmi alla stretta attualità, perché da qualche settimana sta girando il mondo, tra festival e rassegne, uno straordinario cortometraggio animato basato su un brano di questo disco: Ad ogni alba. Ci vuoi raccontare come è nata quest’opera?
Allora, io sono rimasto colpito da alcuni lavori precedenti di Simone Massi (qui a fianco nella foto), e dai disegni di Pietro Elisei. Sono rimasto proprio senza fiato, incantato, in autoipnosi. Piccolissimi frammenti, piccolissimi film, ma tantissima forza. Telefono a Torino a Maria Elena Delia [la sua addetta stampa, ndr] e le dico che devo assolutamente incontrarlo perché lì dove le parole non servono basta uno sguardo, lì dove faccio sintesi musicale, armonica, ritmica, poetica… lì basta un tratto, quel tratto graffiato di Simone Massi che veramente m’ha rapito. Ci siamo messi alla ricerca reciproca e ci siamo incontrati, anche se a distanza, visto che eravamo in piena pandemia. Lui ha ascoltato il disco, gli ho proprio mandato il vinile [davvero di alta qualità grafica e cartotecnica, ndr]. Volevo che lo toccasse, lo odorasse, e gliel’ho inviato per mano di un altro amico artista, Lorenzo Fantetti, che aveva curato le immagini del disco. Lorenzo, a mia insaputa, conosceva già Simone Massi, e mi ha confermato che era la matita giusta per il mio brano. Insomma, evidentemente ci sono degli incontri, dicono, “predestinati”. Io non conosco le basi della fisica quantistica, non so il perché, ma quello che mi interessa è il risultato emotivo, e ancora una volta la musica è riuscita a collegare persone che non si conoscevano, ma parlavano lo stesso linguaggio.

                                                       (vedi il video)

 

La cosa incredibile è che dietro c’è stato un lavoro sui disegni davvero pazzesco…
Li ha fatti tutti a mano, sono migliaia di tavole. Considera che se non sbaglio un frame è fatto di 24 fotogrammi, puoi immaginare...

Come diceva Vinìcius de Moraes, "la vita, amico, è l'arte dell'incontro"...
È proprio così, e dio ringrazio Simone che ha fatto suo l'album, ha scelto di lavorare su quel pezzo.

L’impatto è davvero molto forte sullo spettatore, con la storia di questa madre che sta lì, la notte prima dell’esecuzione di suo figlio, a sperare che arrivi qualche miracolo a salvarlo. Che accoglienza ha avuto?
Beh, al momento davvero notevole. In Francia è stato proiettato tantissimo, per esempio all’ARFF Paris/ International Award, poi in Inghilterra, in Australia a Canberra…

 

So anche che ultimamente si sono aggiunti altri riconoscimenti, sia in Italia (Roma Film Festival, Corti a Ponte) che negli USA dove è nella selezione ufficiale del Los Angeles Indie Festival.
Sai, di solito ti dicono “non ci sperare”, ma perché non sperare? Se tu fai un lavoro con amore, la massima divulgazione è il minimo a cui devi tendere, no? Anche in un momento così difficile della nostra vita, in questo momento di grandi interrogativi, di mostri che si rifanno vivi, di paure… È brutto quello che sta succedendo: in ogni guerra perdono tutti.

E poi, mi dicevi, c’è stata la straordinaria esperienza in Corsica…
Sì, ho degli amici lì, ma al di là dell’amicizia, il filmato è stato davvero bene accolto. Sono stato ospitato, sono tornato a casa con 3 chili in più [ride, ndr], perché non si fanno mancare nulla, gli spuntini lì arrivano uno dietro l’altro… Sono venuti a prendermi alla nave e per un attimo mi sono immaginato di essere venuto su un altro pianeta: c’è una tale semplicità, anche in ruoli istituzionali… La cosa ha funzionato forse perché il tema ha colpito, è piaciuta la sua forma. Devo dire che non è avvenuto del tutto inaspettatamente: quando uno partorisce delle pagine poetiche, delle musiche, è già sicuro che a qualcuno piacciano, perché non siamo soli. E, se non altro per empatia, fosse anche solo un quarto di una canzone viene recepito perché fa parte anche della vita di quell’altra persona, almeno in parte. E quindi è stata bella questa accoglienza a “Mare aperto”, a Bastia, e da lì siamo andati tra i mercatini. E poi l’incontro con artisti che mi hanno fatto conoscere i colleghi: è stato bellissimo perdersi in questo incantesimo (come direbbe la buonanima di Franco)!

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