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De Sfroos

I De Sfroos e Manicomi "rimasterizzàa"

L’uscita di un nuovo album a firma Davide Van De Sfroos è sempre un evento da seguire con attenzione, ma questa volta c’è qualcosa in più. C’è che Davide ha voluto condividere in maniera ampia quel ‘magico’ album chiamato Manicomi, uscito nel 1995. Prima ancora c’era stato Ciulandàri!, uscito tre anni prima e che in parte riempirà la scaletta dell’album successivo, ma qui siamo davvero nella prei-storia di Davide. Abbiamo quindi usato l’aggettivo ‘magico’ citando Manicomi perché è da lì che dobbiamo partire per capire e comprendere appieno la portata di questo artista, un personaggio unico nel panorama della musica italiana. I suoi esordi raccontano i luoghi a lui cari e lo fa usando il dialetto, una sorta di cordone ombelicale da cui trae giovamento per scrivere e cantare, dapprima nei prati e nelle piccole piazze per poi arrivare a calcare i palchi più importanti del Nord, e via via conquistando il Centro Italia, il Sud e Isole comprese (specialmente con la Sardegna, con cui Davide ha un rapporto speciale). Arriveranno le prime tournée e il successo diventerà anche commerciale, con la consacrazione in termini di visibilità nel 2011, quando sul palco del Festival di Sanremo si porta dietro Yanez, brano in dialetto che per quel tipo di manifestazione era una novità mica da poco. Gli anni successivi saranno quelli delle lunghe tournée da tutto esaurito, ci sarà la grande (e per certi versi controversa) avventura allo Stadio di San Siro nel giugno 2017, e arrivano le collaborazioni con musicisti importanti. Ed ora, in un momento segnato in maniera indelebile da un virus maledetto, Davide ha voluto consegnarci un tassello mancante della sua storia. O meglio, come dicevano la “cassetta” di Manicomi era uscita nel 1995, ma solo in pochi erano riusciti ad averla e bisognerà aspettare il 1999 perché la sua musica fosse prodotta su scala più ampia attraverso il bellissimo, primo cd, Brèva & Tivàn (un titolo che evocava i due venti che spirano sul lago di Como). Il resto lo sapete.  Il 30 settembre a Milano, i “nuovi” De Sfroos (questo il nome del gruppo usato fino al 1998) hanno presentano alla stampa la versione 2020 di “Manicomi”. Per L’Isola c’era Rosario Pantaleo, che ha raccolto le voci dei musicisti che hanno risuonato quell’album. Ma lasciamo che sia Rosario a farci un cappello introduttivo e a riportare poi il racconto dei protagonisti.   -----------------------------------------------------  

 

La presentazione dell’album Manicomi, rimasterizzato per il 25° dalla sua pubblicazione, con lo show case allo spazio ‘Ride’ di Milano, è stata l’occasione per incontrare i De Sfroos ricostituiti per l’occasione. Una bella serata fatta di musica e di chiacchiere, in rilassatezza, sul palco e fuori dal palco, con la presenza di un folto pubblico che ha apprezzato sia la parte musicale che le parole che intervallavano i brani, perché attraverso le parole si sono comprese meglio le ragioni di quell’album, la sua storia, i personaggi presenti nelle canzoni. Un album che suona ancora fresco con le sue puntate folk, punk, rock, reggae, blues, rock. Un album osservato con distrazione dalla critica dell’epoca che oggi, magari, ha la possibilità di riscattare quella mancata attenzione. Proviamo ad inquadrarlo come faremmo per scattare una fotografia…

Ringraziamenti
Si inizia ringraziando chi non c’è più partendo da Umberto Savolini, voce storica per circa 30 anni del Corriere del Ticino e scomparso un mese fa (qui in una sua foto di repertorio). La persona che, dalle parole di Davide Van De Sfroos, ha rappresentato una sorta di mecenate che ha accompagnato i primi passi della band denominata De Sfroos. È lui che li ha fatti conoscere innanzitutto in Ticino e poi nell’area del lago di Como. Che ha creduto in quei ragazzi, ora adulti, e ne ha caldeggiato l’ascolto dal vivo arrivando ad aiutarli nel comporre anche scalette di 15 concerti al mese. Non poco per dei giovani sconosciuti. Inoltre, un altro dovuto ringraziamento è andato per il loro amico e collega di scena, il polistrumentista Marcu De La Guasta (Marco Pollini), scomparso prematuramente nel 2017 e a cui è dedicato il disco.

Personaggi ed interpreti
La formazione odierna dei De Sfroos vede la presenza di Davide Van De Sfroos (Davide Bernasconi) chitarra e voce, Alessandro Frode (Alessandro Giana) al basso e cori; Didi Murahia (Arturo Bellotti) batteria; Lorenzo Mc. Inagranda (Lorenzo Livraghi) chitarra resofonica (dobro), banjo, mandolino, violino. Non visibile sul palco ma sempre attivo Gianpiero Canino, amico e collaboratore di vecchia data, per lunghi anni infaticabile locomotiva alla ricerca di date e supervisore nella comunicazione, che dopo varie vicissitudini oggi, anzi da un paio d’anni, è manager di Davide. Ed è proprio lui l’ideatore della proposta della reunion per la rimasterizzazione dell’album. Ringraziamenti che comunque si allargano a tutti coloro che, da anni, sostengono il progetto di Davide Van De Sfroos con un supporto pratico, spesso senza apparire e senza condizioni.  Ospite di riguardo, nell’album, la chitarra di Python Lee Jackson al secolo, Marco Fecchio.

 

Registrazione
Avvenne che questi ragazzi, acerbi e a digiuno di sale di registrazione, si ritrovarono nel 1995 a incidere il loro album di esordio alle ‘Officine Meccaniche’ di Mauro Pagani. Uno studio di registrazione molto famoso nel quale è passato il meglio della discografia italiana e dove, al tempo in cui si chiamava ‘Regson’ registrò i suoi primi album Franco Battiato. Tralasciamo il resto della lista (Adriano Celentano, Vasco Rossi, Enzo Jannacci) perché lunghissima anche in lingua straniera (Leo Ferrè, Quincy Jones, Duke Ellington).  

Divertirsi
Suonare dal vivo. Registrare. Divertirsi. Null’altro che queste le intenzioni fondamentali della band ora “ritrovata”. Giovani virgulti appassionati di musica, che dopo tanti anni si trovarono a ri-girare per i paesi della loro zona assistiti dalla passione e lo fanno portando nuove modalità di presentazione per temi legati a figure epiche, reali o inventate, presenti nella porta accanto, nel paese, nelle storie raccolte dagli anziani nei bar, sulle panchine di fronte al lago. Quelle storie, diciamoci la verità, in cui pochi scommisero che potessero interessare a qualcuno…

La lingua
Mai sentito, da parte di chi scrive, cantare in ‘Laghee’, una lingua musicale come il milanese ma apparentemente più chiusa e, per certi versi, gutturale. Ma col tempo l’orecchio si abitua all’incedere delle parole cantate in quel dialetto e le storie raccontate si comprendono appieno proprio accompagnandole nel canto (cercando di non fare troppi, inevitabili, errori di dizione). Un dialetto che restituisce la parola a chi l’aveva tenuta celata, complice la preminenza di presunte scuole musicali che, nel tempo, sono state predominanti in funzione dei musicisti coinvolti ma non dei personaggi raccontati.   

Ticino
Il Vangelo, in tutte le quattro versioni, ci ricorda “che nessuno è profeta in patria”. Infatti, anche i De Sfroos per farsi conoscere dovettero emigrare, artisticamente, nel Canton Ticino dove anche grazie alla RSI (Radiotelevisione Svizzera Italiana) e al già citato Savoini, ebbero una visibilità ancora sconosciuta nel nostro Paese, anche nella stessa Lombardia. A volte si riesce a sembrare “provinciali” anche quando, al contrario, si potrebbe capovolgere l’assioma sostenendo, invece, realtà “provinciali”. Tipico vezzo italico che non riesce a promuovere i diversi ed atipici, nuovi orizzonti artistici.  

Yodel Punk
Visti i tempi (metà anni ’90) ci si poteva mettere in conto di ascoltare, da un gruppo nuovo come i De Sfroos, dei brani blues, reggae, folk, punk o rock. Ma ascoltare uno ‘Yodel Punk’ non era previsto. Il brano De Sfroos, in fondo, per come inizia e per come si sviluppa, rappresenta, visto l’incipit, una sorta di Yodel tirolese virato al punk per la potenza del ritmo e, inevitabilmente, per l’esito sotto il palco da parte dei pogatori inossidabili, che chiedono sempre questo brano. Oggi così come ai tempi dei primi live.

Rimasterizzare
Manicomi secondo lavoro dei De Sfroos - ma il primo registrato in uno studio - è stato rimasterizzato in questo 2020 presso gli studi della RSI (Radiotelevisione Svizzera Italiana), consegnandoci un album meglio rifinito dal punto di vista acustico e sonoro (dal 1995 molto è cambiato nella tecnologia degli studi di registrazione…). L’operazione è certamente coraggiosa, al tempo di una discografia asfittica nelle vendite e nei concerti (quest’ultima situazione per il motivo che ben conosciamo e non nominiamo), ma che fa giustizia alle finanze di molti fan, vista la mancanza di questo lavoro ‘sul mercato’ fruibile al solo al giro di collezionisti o venditori che richiedevano cifre pesanti (basta andare su e-Bay per rendersene conto). Ora tutti i fan di vecchia e nuova data potranno avere il piacere di un ascolto “come si deve” di un album che avrebbe dovuto, a suo tempo, fare il botto ma non sempre la storia segue percorsi logici. Comunque, la versione vinile, doppio album, è davvero bella nel packaging e suona bene e anche quella in versione CD fa la sua bella figura. Certo, la confezione che li include entrambi è ancora più suggestiva.    

Critica musicale
Una domanda semplice è sorta in molti: ma la critica musicale di allora si accorse di questo album oppure venne inserito nella categoria “folklore locale”? Chi scrive non possiede elementi documentali certi per rispondere in maniera adeguata, però, visto che non ci fu un boom di vendite, certamente l’album non fu veicolato, o addirittura notato, dalla critica più blasonata. Sappiamo bene che non era ancora esplosa la Rete che tutto cerca, tutto trova e di tutto scrive, però qualche recensione, anche piccola, anche interrogativa avrebbe potuto starci.

Protagonisti
Forse una delle condizioni che rese difficile la diffusione dell’album oltre le terre lacustri, fu il fatto che non solo il dialetto remava contro, ma anche la tipologia dei personaggi che facevano parte delle storie raccontate non è che aiutassero… Pensiamoci bene: c’erano la Zia Luisa, El Diavùl, un Kamell, Nonu Aspis, uno Spara Giuvànn, La Furmiga, Anna… tutti personaggi estremi portati a spasso in una curiera che avrebbe potuto essere il Magical Mistery Tour intorno al lago di Como e dintorni. Personaggi reali ma al limite del sur-reale. Personaggi riconoscibili e fattibili nel loro incedere nella vita di luoghi che si trasformano in spazi da film, con sprazzi di epica, di simpatico umorismo, ma anche di pena e malinconia. Una raccolta di perdenti alla ricerca del riscatto. Comunque, tutti vivendo un po' “de sfroos”.

Spiritualità
Per superare le proprie paure interiori bisogna affrontare l’ignoto, dove regnano gli elementi che governano il Pianeta, andando anche al di sopra di essi. Su tutto regna El teemp, il Tempo. Apparentemente immobile ma, invece, sempre in movimento. Nel tempo c’è lo spirito della Storia che si muove, agisce, nel bene e nel male, affinché tutto sia in divenire. Un divenire che si spera sempre sia positivo, ma che troppo spesso è negativo. Qualcosa di insondabile, magico e misterioso. Spesso, per non soccombere alle ingiurie della vita, è normale rivolgersi “a chi è al di sopra di tutto e tutti” e così, la pietà popolare rivolge lo sguardo verso l’Alto, incontrando magari l’immagine, la statuetta, un ritratto della Madonna, per una richiesta di grazia e misericordia. Così è naturale ritrovarsi a recitare un’Ave Maria, come spesso si faceva da bambini, per evitare di cadere nella dimensione della irrevocabile disperazione.            

Manicomi
Aperti o chiusi che siano, ciascuno si deve interrogare sia sulle persone che sulla realtà che ci circonda per comprendere meglio noi stessi e ciò che le nostre moltitudini interiori contengono. Tutti abbiamo incontrato situazioni difficili e lottato contro demoni imprevedibili, invisibili, imprendibili. Demoni suadenti e sfuggenti, invadenti e destabilizzanti. Demoni che, apparentemente, allontanano dai problemi del quotidiano ma spesso trasformano in prigionia i pensieri, le parole, i gesti, gli atti, le relazioni, il futuro. Sono i momenti in cui la luce del sole è assente e la luna si è persa nell’oscurità. La confusione regna sovrana ma, alla fine, rimane forte la consapevolezza di resistere ad ogni tentativo di farsi forzare nella propria dignità. I manicomi, come li conoscevamo, sono stati chiusi ma quello che dobbiamo imparare a (ria)aprire è la mente. “E camminare senza sosta su un sentiero che possiede un cuore” (Don Juan Matus)  

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Giornata importante quella di oggi, partiamo quindi dalla domanda più banale: quale la molla che vi ha fatto ritrovare per ricominciare l’avventura di “Manicomi”? Cominciamo da te Gianpiero Canino, scintilla e pro-motore dell’idea.
Gianpiero: L’idea era già in ballo da tempo, e oltre che Davide conoscevo anche Alessandro con cui ero già in contatto. L’idea però non era andata in porto ma quest’anno, che è una sorta di anno zero per tante cose, ci ho riprovato nel periodo di lockdown e ho sottolineato ad Alessandro che se l’album doveva uscire era per quest’anno, per il 25° anniversario, altrimenti non avrebbe avuto più senso in seguito. Lui era d’accordo e ne ho parlato a Davide, e così ci siamo ripromessi di trovarci appena possibile. Questa uscita ha comunque dato la possibilità a molti di ritornare indietro nel tempo, ricordando il bambino che ci portiamo dentro e, inoltre, di rendere accessibile un album ormai mitizzato, quasi introvabile.
Didi: Questa reunion ha il sapore delle cose semplici. Per me, a cinquantotto anni, andare a suonare al teatro sociale di Como, dopo quattro giorni di prova, è stato un sogno al limite dell’impossibile. Oppure andare in televisione… Però poi è venuta fuori la passione e la freddezza che ci vuole per stare sul palco. Ed è stato bello ritrovare gli amici di un tempo.
Alessandro: Infatti, viviamo questo tempo come una sorta di vacanza….
Didi: A quei tempi, come De Sfroos, provavamo a casa mia ed è da lì che abbiamo ricominciato. Con grande semplicità e così sono accadute delle cose che si sono legate tra loro. È stato un colpo del destino che Gianpiero ha saputo guidare nella maniera più opportuna. Con l’aria che tira per il Covid tutto è più difficile, però mi pare che la nostra bella figura la stiamo facendo. Davide tirava il gruppo già a suo tempo ed è molto sicuro di sé, così sul palco ci sentiamo tranquilli.

Davide da anni è musicista di professione mentre gli altri che cosa fanno o facevano nella vita?
Alessandro: Ero grafico pubblicitario e avevo uno studio di registrazione.
Didi: Sono un odontotecnico
Lorenzo: Sono pensionato di poste italiane

Visto che ci sono tre lavoratori classici e un musicista a tutto tondo, tu Davide come ti sei trovato a lavorare con loro che non suonavano insieme da tempo?
Davide: Nella serata della cena che ci ha rimessi insieme abbiamo mangiato e bevuto e, dopo esserci detto quello che era opportuno dirci, ci siamo ripresentati “al mondo”. I postini, Lorenzo e Marco (Marco Pollini, scomparso nel 2017) ogni tanto li vedevo in giro. Gli altri, come Matteo, che non ha aderito alla reunion per motivi suoi, li vedevo poco. Didi l’ho incontrato solo una volta a Como, ma non c’era più frequentazione. La prima domanda che ci siamo fatti è stata quella di capire se avevamo a voglia di andare in giro mettendoci la faccia. Nel chiedere se gli altri suonassero ancora è saltato fuori che Didi suonava ancora la batteria, Alessandro ha lavorato sempre nella musica e non ha mai smesso di suonare il basso mentre di Lorenzo sapevo che faceva collaborazioni e che non aveva mollato gli strumenti. Ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti: “rientriamo nella sala prove che puzza come le palestre per i pugili? Rientriamo come una volta e proviamo a vedere se stiamo bene insieme”. La prima volta siamo andati a casa di Didi e poi in una sala prove vicino casa. I pezzi non venivano male, sentivo un bel suono e io per primo mi sono trovato bene. La cosa più importante è che i De Sfroos erano un gruppo. La reunion, voglio sottolinearlo bene, parla di un gruppo. Tutti i musicisti che in questi anni hanno suonato con me, alcuni grandiosi e strabilianti, si confrontavano con un solista che scriveva canzoni e che ogni volta prendeva un’equipe funzionale al progetto con cui portare in giro i brani. Quante volte mi hanno chiesto La Curiera oppure El diaùl, ma li suonavo in maniera certamente diversa dal suono De Sfroos del ‘95. Come se Julian Cope ricostruisse i Teardrops Explodes, però chi non c’è più non ci può più essere, ma per chi c’è… si voleva riproporre quella fiamma.

Alessandro, come è salire al volo su questa ‘Curiera’ dopo tanti anni? Per voi i De Sfroos sono stati una parentesi non professionale, non deve essere stato facile rimettersi su un palco a suonare a ricostruire un rapporto tra voi.
In realtà non è stato così difficile, perché il rapporto si era sì interrotto bruscamente ma non in malo modo. Semplicemente ciascuno aveva preso una strada diversa e non ci siamo più sentiti. Dopo esserci incontrati nella sera della cena cui faceva riferimento Davide, abbiamo cominciato a ricordare, ridere e scherzare e poi abbiamo deciso di suonare perché era la cosa che ci riusciva meglio allora e probabilmente anche adesso. Dopo qualche prova in sala ci siamo fiondati sul palco a suonare per alcuni show case. Giusto 5,6,7 canzoni per presentare l’album, intervallando le canzoni con chiacchiere per spiegare alla gente il perché dell’album e della reunion. Alla fine è stata una cosa naturale.

Prendendo il titolo dell’album, a distanza di 25 anni, che tipo di ‘manicomi’ vedete nella prospettiva di musicisti?
Alessandro: basta guardare un telegiornale e vedi che il manicomio ti salta addosso, vediamo quante persone liberano istinti beceri e distruttivi. Noi cercavamo di cantare il manicomio che sta al limite della follia e della genialità, per cui era un manicomio più sano di quelli creati dalla società per rinchiudere ed escludere. E invece magari erano persone che avevano fatto una scelta di vita coraggiosa e che per la loro diversità, perché facevano paura, venivano rinchiusi fisicamente. Per noi questi sono stati degli eroi, perché uscivano da tutto quanto era convenzione ed ovvietà; gente che aveva qualcosa di più da dire e il coraggio di manifestare la propria diversità senza seguire il gregge.
Davide: come sai, visto il tempo che ci conosciamo, sei stato partecipe delle mie crisi in cui si è fatta viva l’ansia e anche la depressione. Nel periodo dei De Sfroos lavoravo guidando e scaricando camion e noi si suonava la notte e poi, di giorno, andavo a lavorare. Insieme a me lavorava una persona che aveva fatto l’infermiere nel vecchio manicomio di San Martino, che mi raccontava molte cose sul quel posto. Vuoi che i miei primi attacchi di panico sono arrivati quando lavoravo (perché avevo tirato un po’ troppo la corda e poi la crepa è rimasta…), mi sono concentrato su questo mondo. Quando abbiamo scritto “Manicomi” c’erano delle frasi un po’ tranchant del tipo “vengono a trovarci, non sanno più chi siamo…siamo figli di un sole nascosto, con la luna mai al suo posto…”.  Io che poi ho visto il muro di là, andando in psichiatria, pur ben curato e cullato da medici e infermieri, sentivo che tutto era sovrapponibile, anche se non c’erano più le teste rasate, gli elettroshock oppure le sbarre. Ma le sbarre ci sono nel momento in cui la pazzia, la follia, il disagio viene considerato qualcosa da nascondere e così peggiora. È quello il momento in cui può accadere di tutto. Poi, dopo un evento nefasto sentiamo le solite frasi tipo “…ma stava bene, era una brava persona…”. Perché a differenza della “la Zia Luisa che se ne frega ed anche se ha una taglia large va a ballare con gli anfibi”, qualcuno potrebbe credere di avere qualcosa di strano o di sbagliato perché portatore di qualcosa che non va bene in sé ed invece è la lucidità di non poter stare bene in un mondo che impazzisce intorno a te.

‘Anna’, ‘zia Luisa’, ‘Lo Sconcio’, ‘Kamell’, ‘La furmiga’, ‘Nonu Aspis’, il protagonista di ‘Spara Giuvànn’, sono proprio personaggi da pseudo-manicomio. Come sono nati e quale attinenza a soggetti del mondo reale?
Davide: Basta guardarsi in giro: magari hanno cambiato vestito, però vale la pena chiederci ma sono spariti i bambini soldati come Giuvànn? No, questi sono come la donna, il fante la regina, il re. Sono sempre presenti nelle carte da gioco. Sono forse sparite le violenze sulle donne di ‘Anna’? No. È forse sparita una persona come ‘Nonu Aspis’? No. Basta guardare Mauro Corona che rappresenta chi vive ai confini.
Alessandro: le frontiere non sono scomparse e ne compaiono sempre di nuove, non solo fisiche ma anche psicologiche. ‘El diavùl’ è sempre attuale perché parla del male che arriva e si insinua con molta delicatezza e non riesci a riconoscerlo subito. Abbiamo riascoltato il disco anche noi, che da tempo non l’ascoltavamo, e ci siamo accorti che è un disco ancora attuale, vivo nelle tematiche affrontata. Aggiungo che è stato piacevole vederlo in una veste migliorata dal punto di vista acustico ed elegante dal punto di vista della confezione. Soprattutto nella versione del vinile, che ti permette di avere in mano un oggetto dal valore quasi feticistico. Una sorpresa per noi così come è stata una bella sorpresa vederlo secondo in classifica il giorno della sua uscita.

Ave Maria inserisce una chiave religiosa in un album che parla di perdenti o, perlomeno, di persone fuori dall’ordinario. È una sorta di richiamo alla religiosità popolare, presente nella vita di chi guardava ‘El teemp’ per uscire in barca o per chi pregava che tutto andasse bene se andava ‘de sfroos’ augurandosi che nessuno spostasse ‘La fruntera’…
Davide: Personalmente ho portato avanti nel corso del tempo una spiritualità basandomi su ciò che in paese c’era e c’è. Già in “Manicomi” avevamo inciso Ave Maria, benché condita con ritmi caraibici che ci stanno bene perchè Bob Marley, in fondo, ha sempre fatto canzoni religiose. La nostra Ave Maria è fortemente popolare e si basa su una Madonna che sembrava cadere da un quadro che si trovava nella casa di un’amica di mia zia. Osservandola veniva spontaneo dire “guarda giù Madonna del Rosario” perché in fin dei conti “siamo tutti lampadine di uno stesso lampadario”. Ecco che nel disco, così pieno di immagini strane alla Spoon River, questa canzone fa da benedizione totale. Per dire che dopo avere presentato tutti questi personaggi strani ci dobbiamo sentire tutti appartenenti a questo lampadario infinito che è il cosmo, la vita. Al di là del credo personale di ognuno, portavamo avanti qualcosa che rappresentava ciò che è presente in ogni paese: El Diaùl e l’Ave Maria. Ci sono credenze profane e sacre, credenze antropologiche e la preghiera religiosa nel senso classico del termine. Religione, secondo me, è anche il cercare di preservare quello che noi chiamiamo spirito al di là del credo di ognuno.
Alessandro: se guardi il retro del disco troverai una fantastica immagine di un ex voto che c’è al santuario della Madonna del Ghisallo. Quella era la religiosità terra terra, contadina, mitizzata e trattata con autoironia e freschezza. Niente ragionamenti troppo pesanti ma una religiosità che ha che fare con lo spirito. Come c’era in effige, questo tipo di religiosità era anche presente nella vita quotidiana delle persone.
Davide: Nel mio caso la parola religione è mettersi a confronto ogni mattina, con il rischio di farsi un po' male, per capire che possiamo ogni momento fare del male a qualcuno. Lo sforzo è quello di medicare oppure che, anche nello sbaglio compiuto, c’è la consapevolezza che non si voleva ferire qualcuno.

Stiamo uscendo (lentamente) dal Covid, come avete visto il fuori dopo tanti mesi? come avete percepito ciò che vi sta intorno?
Didi: c’è voglia di ricominciare a vivere, perché la gente non vuole tornare a dove eravamo prima. Per esempio, prima sentivi l’ambulanza e non ci pensavi. Ora quando senti la sirena di un’ambulanza viene la pelle d’oca pensando a chi è morto senza avere potuto salutare i propri cari. Penso ai medici e agli infermieri. Credo che anche i giovani abbiano sofferto per questa situazione, ma tanti di loro, e vedo l’esempio di mia figlia, si sono comportati molto bene forse anche meglio di molta gente adulta.
Lorenzo: questa nuova avventura musicale la vivo per quella che è, una bella parentesi che mi sta aiutando molto a convivere con questo tempo amaro. Il poter tornare a suonare mi fa star bene, mi diverte. Ricordo che con loro ho sofferto molto ai tempi, perché avevano un tiro sonoro più rock mentre io amo e amavo il suono acustico e ho sempre cercato di inserirlo nei nostri brani. Allora non ci sono riuscito ma ora sta andando meglio…
Davide: per completare quello che diceva adesso Lorenzo, ci siamo disciplinati un po' e quindi i suoni vengono meglio. Una volta c’era sax tromba chitarra elettrica, fisarmonica…insomma, tanta roba...mentre Lorenzo era ed è abituato a sonorità acustiche e blue grass.

Una cosa è sicura… avete una serenità contagiosa che si riversa nel suono.
Davide: Vero, ma aggiungo anche che non è che tutti quelli che non sono professionisti non siano poi bravi musicisti. Ci sono tanti hobbysti che suonano davvero bene. Io per esempio non so una nota. Se ho bisogno di leggere uno spartito devo chiederlo a qualcuno, che lo faceva come dopolavoro da postino…
Didi: C’è stato un periodo in cui provavamo anche due volte alla settimana e facevamo 15 concerti al mese. Era una follia.
Davide: se ci fossimo svegliati prima, ci si poteva divertire un po' di più. Ma non abbiamo la bacchetta magica né la macchina del tempo, per cui prendiamo quello che arriva e godiamocelo. Il cruccio è che se ci fossimo ritrovati prima, poteva farne parte anche Marco, che anziché andare da solo a suonare sfidando il suo male, poteva stare insieme a un gruppo e vivere meglio. Sentiamo la mancanza di Marco, non solo per la sua voce gutturale di cui sentivi la presenza insieme ai suoi strumenti, ma ci manca perché era un vento che ti spronava a fare bene e fare meglio

Chiudiamo tornando ancora su voi quattro. Possiamo dire che vi siete addormentati una sera e vi siete svegliati di nuovo insieme e un po' agè…?
Tutti: se nasci De Sfroos rimani un De Sfroos…

 

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Il lockdown e la pandemia hanno lasciato segni indelebili sulla vita di ciascuno. Anche di coloro che ancora non si sono resi conto, per vari motivi, di quello che è accaduto e che ancora sta accadendo. Tanti lavoratori hanno sofferto e subito situazioni negative dal punto di vista professionale e non sempre gli ammortizzatori sociali hanno potuto intervenire a sollevare situazioni difficili. Anche i musicisti hanno sofferto, e soffrono, per i mancati concerti, per album rimasti nel cassetto, per tutto quanto non è stato possibile portare avanti. Inoltre, per chi è abituato a stare su di un palco, la “prigionia” casalinga non deve essere stata semplice. Ci auguriamo che questa situazione passi il prima possibile e che la vita, anche quando difficile, torni a pulsare con ritmi di normalità, di una nuova normalità che metta al centro le cose che contano veramente. La musica è un grande toccasana per l’animo, è un amuleto prezioso per l’umore, è la manna dello Spirito. Ma deve poter risuonare per raggiungere più persone possibile. Se è solo su disco, ascoltata in casa, fa la sua parte, certo, ma è come un’aquila con un’ala sola…

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