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Canzoni&Parole - Festival di musica italiana ...

  di Annalisa Belluco  ‘Canzoni & Parole’ il festival della canzone d’autore italiana organizzato dall’Associazione Musica Italiana Paris che ha esordito nel 2022 è pronto a riaccendere le luci della terza ...

Paola Rossato

Ho un solo obiettivo: la musica

Finalista a L'Artista che non c'era nel 2013 e nel 2018, dopo una decina d'anni passata a stupire nelle finali dei concorsi artigianali del Paese, Paola Rossato ha deciso di raccogliere le sue canzoni e pubblicare un disco, Facile, che è arrivato nella cinquina finale delle Targhe Tenco 2018 per la Migliore opera prima. Noi l'abbiamo raggiunta al telefono per parlare del suo esordio discografico, del Collio, dei caffè e di Francesco Guccini.

Partiamo da L'Artista che non c'era. Sei stata finalista nel 2013 e nel 2018. Che ricordi hai delle due finali?
In entrambe mi sono sentita accolta, coccolata, seguita. Nel 2013 è stato più divertente perché ero in finale con la mia amica cantautrice Rebi Rivale, con cui ho messo in comune i musicisti. Con noi è venuta anche Elsa Martin, che ha fatto da corista a entrambe. Durante l'esibizione io ho fatto da corista a Rebi, e lei l'ha fatta a me; la giuria era incredula (ride, ndr). Questa volta invece mi sentivo male, non sapevo se sarei rimasta in piedi durante l'esibizione. Non mi è mai capitata una cosa simile, ma ho portato a casa tutto.

Rimaniamo all'interno dell'Isola per un attimo. Nella recensione che ha scritto del tuo disco, Rebi Rivale ti ha definita «drammironica», citando Nino Rota. Ti riconosci in quest'aggettivo?
Mi ci ritrovo perfettamente. Nel mio disco ci sono canzoni ironiche ma anche canzoni impegnate molto serie, come Non dormo. Sono tripolare, quadripolare, pentapolare (sorride, ndr). 

L'esempio più giusto per rappresentare questa tua caratteristica e l'aggettivo di Rebi Rivale è l'ultima canzone, Emmi (Gr.), che oppone strofe dolcissime a un ritornello dissacrante. Mi ha ricordato, per la struttura, Adius di Piero Ciampi. Sia dal punto di vista testuale che compositivo, com'è nata l'idea?
Chissà se l'ho presa da lì, perché c'è stato un periodo in cui lo ascoltavo. Ho fatto fatica a scrivere quelle strofe, perché sono un'antiromantica. Ho preso un pezzo di carta e ho tirato giù tutte le cose che non sopporto del romanticismo, accostandole nel modo più melenso possibile. Nel ritornello poi mi sono divertita. Diciamo che malsopporto le parole sdolcinate, soprattutto se accompagnate dalla falsità. Amo i contenuti e le emozioni vere. Emmi (Gr.) rispecchia il mio punto di vista su queste cose. 

Il disco contiene canzoni molto datate, che hai presentato in vari concorsi. Lo consideri più un punto d'arrivo, almeno di una fase della tua vita, o è comunque un punto di partenza?
Lo considero un punto di partenza, assolutamente. Da qui voglio continuare a costruire un percorso artistico ben definito che mi porti poi anche alla scrittura di nuovi brani. Non sento più la paura di mettermi di fronte a un album, perché l'auto-produzione mi ha dato modo di sentirmi più sicura di me e mi ha reso una briciola più competente sotto vari aspetti.  

La collina è un topos letterario. Nella canzone Io e la collina sembra che la identifichi come un rifugio dal quotidiano frenetico. È così?
Sì, assolutamente. Sono una persona che ama la quiete: ne ho parecchio bisogno, essendo già abbastanza agitata di mio. Vicino a dove vivo c'è il Collio, che è pieno di colline e vigneti. C'è stato un periodo in cui andavo in una trattoria in collina, prendevo il caffè e mi incamminavo verso questo prato, in realtà privato (sorride, ndr), e mi godevo la vista spettacolare. Un giorno ero a casa, si sentivano i rumori del traffico, ho iniziato a strimpellare ed è venuta fuori Io e la collina. Ho visto un grosso contrasto tra quelle camminate e il traffico per strada, la frenesia della città. Ci si chiede «come va?» ma è solo una cortesia, una forma. Spesso vado in un bosco di Nova Gorica: addentrandosi nel bosco non si sente più il rumore delle auto. È uno dei posti in cui mi rifugio spesso per staccare dalla frenesia, godermi la natura e lasciare andare la mente. Un altro posto che amo sono le Dolomiti dell’Alto Adige: appena posso ci vado. La natura e le montagne mi danno quel senso di pace che qui fatico a trovare. 

In Che oggi no e Il mio tempo perfetto invece rifletti sulla necessità di rallentare, di frenare.
Il mio tempo perfetto è nata quando facevo pianobar. Ero in un bar a Gorizia, mi impegnavo a cantare davanti a poche persone, ma nessuno mi considerava: per questo nella canzone dico che ero un «rumore invisibile». Di fronte a quel bar c'è il civico 7 che compare nel brano. L'idea del brano è nata quando ho smesso di preoccuparmi della gente e ho continuato la serata cantando per la gioia di cantare, rendendolo “il mio tempo perfetto”. Tornata a casa ho nuovamente preso la chitarra e ho scritto il brano.

«Il fiore col codice a barre è natura innaturale». La metafora che metti in piedi in questa canzone, sicuramente riferita alla società che mercifica qualsiasi cosa, anche i fiori al supermercato, si può applicare anche alla musica?
Certo! Da quando c'è il digitale non ho la televisione, non ascolto la radio, se qualcuno mi segnala un album lo cerco e lo ascolto. Quando vado al bar a prendere il caffè purtroppo c'è la radio, che a volte passa qualcosa che mi piace, altre volte invece bevo il caffè in fretta ed esco perché passa quelle che chiamo canzoni kleenex, usa e getta. Ciò che mi infastidisce è il livello di curiosità della persona comune: mi sembra ci si stia rincretinendo, ma magari è dettato dal fatto che si è sempre di corsa, e per cercare di far tutto si finisce per essere superficiali. È una cosa che però mi spaventa, e la vedo nella gente per strada e nella musica. Quando avevo 14 anni e strimpellavo le canzoni dei cantautori, mio fratello più grande mi diceva «i cantautori sono morti!», ma per fortuna non è così: ci sono moltissimi artisti che scrivono brani davvero interessanti. Non riesco a capire perché continui a esserci questa malefica tendenza da parte delle major e del mainstream a tirar fuori sciocchezze. Si va verso un appiattimento generale preoccupante nel mondo dell’arte e non solo. Mi vien da pensare che ci sia un collegamento tra questo ed il fatto che un popolo ignorante è molto più facile da governare e da pilotare. Spero non sia così, ma anche il livello culturale di molte persone in Italia mi risulta scarso e preoccupante. Le canzoni “impegnate” richiedono tempo e attenzione. Viviamo in un presente in cui scarseggiano l’una e l’altra cosa. Prevale la superficialità.  

Tra quelli che scrivono bene ci sono anche cantautrici?
Certo che sì. A me piacciono molto Rebi Rivale, Erica Boschiero, Roberta Gulisano, anche se ora la seguo meno. Mi è piaciuta molto Gabriella Martinelli, che ho incontrato in finale a L'Artista che non c'era 2018.  

Ballata piccola potrebbe essere il centro poetico di tutto il tuo disco? Anche in riferimento al racconto che c'è nella seconda di copertina.
Credo che in realtà non ci sia un centro ben definito nel disco, ogni brano è un mondo a sé stante sia dal punto di vista dei contenuti che delle intenzioni e delle forme. Sicuramente Ballata piccola esprime un mio punto di vista sull'importanza delle cose e dei gesti quotidiani a cui spesso si dà poca importanza. Nella seconda di copertina ho dedicato ampio spazio all'incontro con questa bimba mai vista che mi ha davvero colpita e che ha fatto luce su una giornata davvero buia e su un periodo di grande incertezza, tanto da decidere che il sasso regalatomi da questa bambina sarebbe entrato a far parte della copertina del disco. Dal punto di vista espressivo e creativo in realtà ultimamente preferisco la parte di me più cinica e disillusa: in questo momento mi rivedo di più in Non dormo ed è ancora casa. Riferendomi sempre a Ballata piccola, credo che oltre al fatto di apprezzare le cose quotidiane e saperne godere sia fondamentale prima di tutto avere degli obiettivi che servano da bussola per avere una direzione e una motivazione per andare avanti. Io ne ho uno importante.

Qual è?
La musica. Sono stata fortunata, perché ho raggiunto sempre gli obiettivi che mi prefiggevo; volevo fare il pianobar e l'ho fatto; volevo iniziare a fare concorsi con dei bei risultati e ci sono riuscita; ho desiderato realizzare questo disco ed è un progetto di cui sono davvero contenta, desideravo arrivare alle Targhe Tenco e sono arrivata nella cinquina finale. È sempre e ancora strada da costruire. Il mio programma è quello di dedicarmi ancora di più al mio progetto. Mi piacerebbe cantare nei teatri, ma ci vuole tempo, perché dovrò lavorare molto sul booking per aumentare il numero di date live e aver modo, forse, di realizzare anche questo desiderio. 

Com'è nata Non dormo?
È nata per un concorso dell'INAIL di Perugia sulla sicurezza e il lavoro. Rebi Rivale mi ha segnalato questo concorso e ho deciso di scrivere un brano sulle  conseguenze psicologiche di stress da lavoro correlato. Mi sono documentata e ho scritto questo brano, avvalendomi poi anche della collaborazione di Doro Gjat, che ha scritto la parte di testo che interpreta nel disco. Di questo brano stiamo preparando anche un videoclip con regia di Simone Vrech per Move11: desidero che questo brano-denuncia arrivi a più persone possibili.  

In quasi tutte le canzoni compare il caffè. Che valore ha per te?
È il mio momento personale, intimo, è una specie di stop alla frenesia della giornata, un po' come la “pausa-sigaretta”. All'inizio avevo avuto l'idea di inserirlo in tutte le canzoni, presentarmi a un'azienda e chiedere una co-produzione.  

In Facile scrivi che «è più facile tenere le distanze/è più facile vestire le apparenze».
Sì, è più facile scappare dai problemi fingendo di non vederli piuttosto che mettersi in gioco per cercare di risolverli. È quello che mi è capitato di fronte all'idea di lavorare a questo album: avevo paura, non mi sentivo all'altezza. È una frase in cui mi sono ritrovata spesso, tanto da scegliere di riferire l'album a questa frase e quindi al titolo del brano che la contiene. In questo brano scrivo di apparenze nel senso che i protagonisti della storia del brano fingono di non accorgersi dello sfacelo che si sta ingigantendo nella loro relazione ma preferiscono nascondere la testa sotto la sabbia, imbellettando il “niente” rimasto. In generale non sopporto le cose vuote, non sopporto l'apparenza fine a se stessa. Facile è una storia inventata, una canzone d'amore, un esperimento da autrice: ho individuato una cantante famosa, ho studiato le canzoni per capire dove arrivava la sua estensione vocale, e ho scritto la canzone; mi sono divertita, ma era una cosa nata e morta in casa mia. La canzone ha rischiato di non essere inclusa nel disco perché non ci piaceva l'arrangiamento, ma poi ne abbiamo cambiato l'intenzione e adesso è forse uno dei brani più belli, e dà anche il titolo al disco.

È molto intrigante il modo in cui hai giocato con le corde, che accompagnano con timbri diversi i vari colori delle canzoni. Un esempio è il passaggio tra A volo lento, Facile e è ancora casa. È un marchio che hai voluto dare sin dall'inizio o è nato man mano?
A volo lento e è ancora casa avevano già un arrangiamento creato con Simone Serafini ed Ermes Ghirardini. Li ho richiamati dopo tanti anni e abbiamo aggiunto Sergio Giangaspero (che già suonava con me da tempo) e Gianpaolo Rinaldi, e abbiamo ripreso in mano i brani e cambiato molto agli arrangiamenti. È stato un lavoro di equipe, in cui ognuno ha messo sia creatività che competenze tecniche. 

 

In diversi brani usi momenti di parlato. Che valore hanno?
Quando scrivo non è tutto premeditato. A posteriori, invece, il parlato ti permette di creare un momento drammatico forte, come in è ancora casa e Non dormo. Viene fuori la teatralità, riesci a esprimere le cose in maniera più diretta.

L'inserimento della parte rappata è uno dei punti di forza di Non dormo, è stata una piacevole sorpresa.
Sì, ho chiesto a Doro Gjat di scrivere e di interpretare una parte di testo per far in modo che il messaggio della canzone arrivasse con una certa forza. Ci siamo riusciti.

Chi è L'uomo delle parole?
L'uomo delle parole è quello che promette e poi sparisce, sia nelle situazioni amorose sia in quelle musicali, in cui magari ci sono personaggi che vogliono solo fare i gradassi e spillarti denaro.  

Domanda quasi off topic. In un'intervista in cui citavi alcune canzoni che ti hanno ispirata, hai inserito anche L'ubriaco di Guccini. C'è un motivo particolare?
Vado a periodi, quindi in quell'occasione ho elencato le canzoni che mi scuotono di più quando accendo l'autoradio, e tra queste c'è L'ubriaco di Guccini, ma anche Il compleanno. Mi piace il modo che ha Guccini di descrivere la realtà, le emozioni. Io quell'ubriaco lo vedo, e mi emoziona in modo spaventoso. Il compleanno mi fa impazzire perché a un walzer quasi allegro si affianca un testo che ti tira cazzotti nei denti, è un contrasto che mi piace molto. Il pensionato invece mi fa sentire l'odore della minestra, che per me è di fagioli: sarebbe bello chiederglielo, un giorno (sorride, ndr). Tra quelle che mi emozionano di più c'è anche Il vecchio frack, che ha una storia semplice, ma il modo in cui il fiume scorre con le parole dà i brividi. 

Senza citare Ungaretti, ma citandolo: nelle tue canzoni ci sono l'Isonzo e Gorizia?
La passeggiata immaginaria di A volo lento è pensata in due zone precise di Gorizia. Era una notte d'estate, l'aria era fresca, e ho avuto la mezza fantasia di uscire a fare una passeggiata, solo che in realtà non ne avevo voglia, e quindi la passeggiata l'ho scritta invece di viverla; facevo meno fatica (ride, ndr). Prima di fare il disco ero molto pigra, adesso sto prendendo abitudini diverse. Gorizia è un po' lì e un po' in Io e la collina, nel resto del disco no. In me stessa invece c'è parecchia rabbia per il fatto che è difficile, se non improbabile, che riesca a entrare nel giro proprio perché vivo a Gorizia, e ci sono meno possibilità di conoscere persone. Da questo punto di vista internet è estremamente positivo, perché si riesce a comunicare. Prima qui ti dicevano «vai a Milano», che non era un consiglio sbagliato e non lo è neanche adesso.  

Abbiamo parlato di obiettivi. Ci sono anche i sogni?
Ci sono i sogni e ci sono i progetti; il sogno è essere prodotta da Ivano Fossati, ma quasi sicuramente rimarrà tale. I progetti riguardano la scrittura di nuovi brani, di organizzare altre date live, di migliorare le mie competenze musicali... La meta è il teatro. Non so se ci arriverò, ma sicuramente il percorso è molto bello. Finora abbiamo fatto molto e andremo avanti in questa direzione e con questo mood. Una cosa per me molto importante è non guardarmi mai indietro bacchettandomi per quello che avrei potuto fare e che non ho fatto. Non voglio che accada. Per fare questo disco e questo percorso utilizzato tutte le mie risorse, la mia passione ed il mio impegno sia perché è questo ciò che desidero fare nella mia vita, sia per non avere rimpianti in futuro. Se i desideri si realizzeranno sarà bello; se i sogni si realizzeranno sarà anche più bello... Ma intanto comunque vada sarò in pace con me stessa, certa di aver fatto tutto ciò che è in mio potere, e sono davvero felice di quello che ho fatto e che sto facendo, in ogni caso.

Foto in alto di Raffaella Vismara;
Foto al centro e qui sopra di Dean Zobec;
Foto in homepage di Valeria Bissacco

P.s: dopo l'intervista l'intervistatore ha riascoltato L'ubriaco e Il compleanno di Francesco Guccini, e conferma e sottoscrive quanto detto dall'intervistata.

 

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