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Massimo Germini

...con i segni di chitarra che mi rigano la vita

Massimo Germini è un artista completo: musicista e compositore, arrangiatore e produttore discografico, insegnante e - anche se non è la sua vocazione principale - in qualche occasione perfino cantante con più che discreti risultati. Collabora stabilmente con alcuni dei nomi più importanti della scena musicale nazionale. Stimato tra gli addetti ai lavori e molto richiesto nel mondo cantautorale per quella sua ecletticità nell’usare gli strumenti a corda, accendiamo il registratore e lasciamo che sia lui a raccontarci le tappe fondamentali della sua carriera artistica. (foto di Luca Carcano)

Da dove cominciamo Massimo, per esempio da come nasce il tuo amore verso la musica?
Suono diversi strumenti a corda (chitarra, mandolino, bouzuki, charango) e come tutti ho cominciato con una lunga gavetta suonando nei locali. La svolta ‘pop’ - nel senso più bello e ampio del termine - è avvenuta circa vent’anni fa grazie all’incontro con Lucio Fabbri all’Entropia di Milano, divenuto poi compagno di viaggio insostituibile (famoso violinista, ma sarebbe più corretto chiamarlo polistrumentista tra i più conosciuti in Italia, oltre che produttore, che ha collaborato con decine e decine di artisti di cui ricordiamo almeno il grande lavoro - che ancora svolge - con la PFM, ndr). Sono iniziate così le prime collaborazioni importanti, come quella con Grazia Di Michele nei primi anni Novanta.
Nel 2002 sono stato chiamato da Roberto Vecchioni a suonare per tutto il tour estivo legato alla pubblicazione dell’album Il lanciatore di coltelli e, dopo una breve interruzione, i nostri rapporti umani e artistici hanno ripreso e proseguono tutt’ora. Nella mia giovinezza, oltre ad ascoltare i mostri sacri internazionali quali i Genesis e i Jethro Tull, ho sempre seguito anche i cantautori nostrani, tra i quali appunto Vecchioni di cui adoro album come Elisir, Samarcanda, Ipertensione e ora… mi ritrovo a suonare con lui. Insomma, è davvero una grande emozione.

 

Nella presentazione che facevamo all’inizio si diceva “artista completo”, visto che oltre alle collaborazioni importanti che hanno attraversato la tua carriera ci sono anche produzioni a tuo nome.
Sì, è vero, mi sono tolto anche la soddisfazione di pubblicare due dischi: Fuoco nel 1997, allegato ad una rivista new age, che ha venduto 30.000 copie (qui il link al brano che da il titolo all’album  https://www.youtube.com/watch?v=iUtK2d89auQ ) e Corde e Martelli, la storia di un incontro tra le corde di una chitarra, la mia, e i martelli di un piano, quello di Diego Baiardi (musicista di stampo jazzistico, di lui ricordiamo almeno il suo ultimo lavoro, ‘Bonne Nuit’, progetto editoriale e discografico dedicato ai racconti per bambini - principalmente “ninne nanne” di tutto il mondo - e che vede unire disegni di Guido Crepax con musiche originali composte principalmente dallo stesso Baiardi, ndr).

 

Visto che lo hai citato e che rappresenta sicuramente la tua collaborazione più autorevole e duratura, parliamo di Roberto Vecchioni, da poco uscito con il suo ultimo album 'Io non appartengo più', che ha ottenuto un ottimo riscontro di critica e pubblico. Un disco che sottolinea il disincanto per la società contemporanea e un distacco da essa. Un allontanamento che però non è disinteresse e superficialità, bensì segna un ritorno all’umanesimo e alla ricerca del sé. Un lavoro nel quale il tuo apporto è stato fondamentale e tale continua ad essere, visto che avete appena concluso il tour invernale che ha toccato tantissime città e teatri.
Lavorare con Roberto Vecchioni mi dà molte soddisfazioni da un punto di vista professionale e chitarristico, perché il suo modo di cantare ti concede la possibilità di suonare in modo diverso, attaccandosi al labiale. Non a caso è stato definito “il poeta che canta”... Con lui si crea un rapporto molto intenso e nasce un affiatamento che rende tutto magico e questa non è solo una considerazione mia, ma l’ho verificata anche con tutti quelli che lavorano o hanno lavorato con lui.
Venendo invece all’ultimo album è vero, in questo lavoro Lucio Fabbri, io e Roberto Gualdi (giovane e talentuoso batterista ma già con molta esperienza alle spalle, anche con collaborazioni importanti) abbiamo contribuito in modo rilevante per tutto ciò che riguarda l’aspetto musicale. Il tour poi è costruito attorno alla chitarra, che fa da strumento portante e che non compare in un solo brano.
Sempre parlando di quest’ultimo lavoro/tour, sono legato in particolare a due canzoni: Wislawa Szymborska, (brano dedicato alla famosa poetessa polacca morta a novant’anni nel 2012 (http://www.youtube.com/watch?v=k30l41M3JaA),  dove l’aspetto solistico della chitarra è connotato fondamentale del pezzo e Ho conosciuto il dolore, brano di struggente bellezza, che è nato in una maniera che mi piace ricordare. Recitato a Gaeta in una serata per sola chitarra e voce, si è deciso poi che dovesse essere anche arrangiata musicalmente. E per farlo ci siamo affidati all’idea di una canzone stupenda di Leonard Cohen, Show me the place, dove la voce narrante si adagia su un tappeto melodico asciutto. Il risultato è stato di grande impatto emotivo e Ho conosciuto il dolore raccoglie ogni volta che la proponiamo dal vivo applausi a scena aperta e grande commozione.

 

Da tanti anni sei anche il chitarrista di Giovanni Nuti, artista sensibile e raffinato di grande spessore artistico che ha musicato, tra le altre cose, alcune tra le più belle poesie di Alda Merini. Proprio recentemente avete debuttato al Teatro Trianon di Napoli con lo spettacolo “Mentre rubavo la vita. Monica Guerritore & Giovanni Nuti cantano Alda Merini” e che speriamo possa avere un seguito. Vuoi accennare qualcosa a riguardo e raccontarci brevemente com’è lavorare con Giovanni? E quale eredità umana ti ha consegnato il privilegio di poter stare a contatto con Alda Merini?
Giovanni Nuti, oltre ad essere uomo di estrema sensibilità, è anche un grande professionista. Quando registriamo in studio, con lui è sempre buona la prima. Ha un talento naturale come melodizzatore e potrebbe cantare, come si suol dire, anche l’elenco telefonico rendendolo poesia. Tra l’altro, tutte le sue canzoni sono una più bella dell’altra. Lo spettacolo che abbiamo portato in scena a Napoli con Monica Guerritore avrà senz’altro un seguito e presto ne risentirete parlare.
Mi chiedevi di Alda Merini… beh, è stata sicuramente una persona con una marcia in più. Era impressionante anche solo lo sguardo, tanto era comunicativo. Alda aveva la capacità di dire sempre qualcosa di profondo e intelligente, e non risultare mai scontata e banale. Sicuramente il fatto di averla conosciuta è stato un dono prezioso.

 

Il tuo percorso artistico e le tue esperienze e collaborazioni con artisti come Susanna Parigi, Mario Incudine, Kaballà (qui nella foto) e molti altri, ti hanno reso un cultore appassionato della musica d’autore e da qualche anno partecipi come giurato alle più importanti rassegne musicali italiane (Premio Bianca d’Aponte, L’artista che non c’era, Premio Andrea Parodi). Da ascoltatore e testimone diretto, come valuti la situazione attuale della musica d’autore in Italia? Sbilanciati un po’, segnalaci qualcuno che ti ha colpito favorevolmente…
Guarda, io a questi concorsi ascolto voci e testi davvero pregevoli, ma spesso mi accorgo che in pochi hanno una struttura dietro. E per struttura intendo un mondo musicale e una progettualità che non si restringano a quei due o tre brani musicali che propongono ai concorsi; background che per esempio ha Rebi Rivale (qui nella foto), tanto per citarne una.
È comunque vero che molti di questi giovani hanno talento e meriterebbero più seguito, ma anche il contesto in cui si muovono non aiuta. Per esempio, una volta i vari Vecchioni, Dalla e così via,  avevano la possibilità di uscire con uno o due album e testare quanta presa avessero sul pubblico. Ora questa possibilità non esiste più, o forse era possibile allora perché comunque c’era meno offerta, non so. Nel panorama musicale attuale non c’è posto per tutti, questa è la dura legge, e forse è sempre stato così, ma oggi questa situazione è ulteriormente penalizzante. Per fortuna esistono spazi e situazioni, anche se di nicchia,  dove la musica d’autore può trovare un luogo ideale di ascolto e diffusione e questi concorsi ai quali partecipo come giurato ne sono un esempio vivo e stimolante.

 

Le occasioni alle quali abbiamo fatto riferimento ti hanno permesso di entrare in contatto con cantautori cosiddetti - e non a ragione - “emergenti” per poi sviluppare collaborazioni che si sono rivelate preziose sia a livello artistico che umano. Con Patrizia Cirulli, ad esempio, cantautrice di lunga gavetta della scena milanese, che ha portato di recente a compimento una rilettura di ampio respiro dell’album ‘E già’ di Lucio Battisti del 1982. Per consegnare al suo progetto intitolato ‘Qualcosa che vale’ una sonorità inedita, si è affidata alla collaborazione di 14 grandi chitarristi, tra cui ci sei anche tu, ciascuno dei quali ha arrangiato, ognuno con il proprio stile e background musicale, un brano dell’album (che gli è valso la fase finale del prestigioso Premio Tenco).
Esattamente. Nello specifico nell’album io mi sono occupato della canzone Windsurf Windsurf. Patrizia Cirulli (in alto nella foto) è un’altra bella realtà dell’universo musicale al femminile. Ha una voce importante e una presenza scenica altrettanto forte. Di lei poi mi piace molto il fatto che, nonostante le difficoltà che il fare musica comporta, sia molto serena con se stessa. So che ora sta lavorando ad un nuovo progetto e sembra abbia trovato la sua dimensione ideale nel musicare le poesie di grandi poeti italiani e internazionali e quindi è auspicabile che ci si ritrovi presto a collaborare di nuovo insieme.
Sto inoltre lavorando con Icio Caravita, un caro amico oltre che un bravo cantautore, non certo nuovo della scena musicale e noto soprattutto come busker e dj, di cui sto producendo ed arrangiando un disco in uscita e con Helena Hellwig, cantante che vanta collaborazioni altisonanti. Con lei e con Paolo Jachia (tra i più autorevoli scrittori e conoscitori della canzone d’autore italiana ndr), abbiamo messo in piedi uno spettacolo dedicato al grande Giorgio Gaber. Una cosa semplice ma d’impatto, che ha girato un po’ per l’Italia. Devo dirti che “funziona”, riconsegna un Gaber rivisitato con rispetto ma anche con una giusta dose di ironia che il pubblico apprezza: Jachia racconta, io suono ed Helena canta, e lo fa con una voce potente e morbida al tempo stesso, una vera forza della natura.

 

Veniamo ora ad un altro incontro recente e molto importate, quello con il cantautore abruzzese Paolo Fiorucci, che un paio di mesi fa ha realizzato con tenacia il cd ‘Il cielo degli orsi’, che si compone di sedici brani a tematiche ambientaliste ed animaliste, scritti ed interpretati da artisti di grande sensibilità artistica, tra i quali Alessio Lega, Tetes De Bois, Max Manfredi, Emanuele Bocci, tanto per citarne qualcuno. Tutto è nato dal brano che dà il titolo al progetto, Il cielo degli orsi, scritto da te (per la parte musicale, mentre per gli arrangiamenti è presente anche Stefano Cisotto) e da Paolo Fiorucci (testo), ispirato alla vicenda drammatica di M13, un orso bruno abbattuto in Svizzera e presto diventato un progetto ambizioso grazie anche al sostegno dell’Associazione Salviamo l’Orso.
Con Paolo Fiorucci c’è stato feeling umano e artistico fin dal primo contatto telefonico. Umano perché lui è un ragazzo più maturo della sua età: per dirla alla Gino Paoli, è “un vecchio bambino”. E artistico, perché ritengo che con lui io abbia trovato le parole che mancavano alla mia musica e lui la musica che a volte non riusciva a cucire per i suoi testi. Oltre ad aver arrangiato il brano che dà il titolo al progetto, in questo album accompagno anche la voce di Rossella Seno, una cantante e attrice molto interessante, per la quale io e Paolo stiamo componendo. Paolo ha voluto a tutti i costi che nel progetto poi rientrasse anche un mio pezzo strumentale e così sono andato a ripescare nel cassetto una mia vecchia composizione, che ha preso il titolo di Addio a Muskva, liberamente tratto dal libro “L’orso” di James Oliver Curwood.

 

E per finire con il presente più prossimo, segnalaci gli eventi in cui avremo il piacere di sentirti suonare.
A fine febbraio/marzo dovrei essere in scena con Giorgio Faletti, per riproporre lo spettacolo “Da Quando a Ora in scena” tratto e ispirato dal suo omonimo libro, in cui l’autore torna al suo vecchio amore, la musica. Un libro corredato di due cd: nel primo, Quando, Giorgio interpreta alcuni suoi brani portati al successo da altri artisti, mentre nel secondo, Ora, propone dodici canzoni inedite. Faletti non nasce certo cantante, ma è comunque dotato di straordinarie doti interpretative. Tutto quello che fa, gli riesce bene: è tra gli scrittori più letti al mondo, va a Sanremo per gioco e arriva secondo (memorabile il suo brano Signor Tenente, così come la performance sul palco dell’Ariston nell'edizione del 1994, ndr). Nello spettacolo è istrionico e trascinante e alterna momenti di giocosa vivacità a lunghi parlati, intensi e toccanti. Da vedere.

 

Lasciamo Massimo Germini (qui sotto nella foto finale in un bel primo piano di Luca Carcano) con la consapevolezza che è grazie a persone come lui, capaci di attraversare questi decenni convulsi e complicati con grazia e professionalità, la musica italiana saprà regalarci ancora canzoni e spettacoli unici. E poi un'ultima cosa. Quando finisce il concerto di un grande cantautore, blasonato, famoso, spesso nel finale sentite dire: “ringrazio i miei musicisti, senza di loro tutto questo non sarebbe stato possibile”. Ecco, credetegli, perché quella non è una frase fatta, ma la verità che si trasforma in applauso….

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