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Canzoni&Parole - Festival di musica italiana ...

  di Annalisa Belluco  ‘Canzoni & Parole’ il festival della canzone d’autore italiana organizzato dall’Associazione Musica Italiana Paris che ha esordito nel 2022 è pronto a riaccendere le luci della terza ...

Vincenzo Incenzo

Cogito ergo sum. E ve lo dico in musica.

Prima di incontrare Vincenzo Incenzo ho messo in fila i punti salienti della sua lunga carriera e devo dire che ben pochi personaggi come lui stanno lasciando un segno nelle varie discipline su cui può cimentarsi un musicista. Un lavoro quasi sempre “dietro le quinte”, come nel mondo dei musical, per esempio, dove ricordiamo almeno ‘Dracula Rock’ scritto per e con la PFM e ‘Zerovskij’, un’opera monumentale portata in scena da Renato Zero tre anni fa (qui sotto nella foto i saluti finali in una delle tante repliche) o le colonne sonore di fiction per la tv, per il cinema, senza contare che ha messo la sua firma sui successi di decine di artisti, con centinaia di migliaia di copie vendute come Cinque giorni, L’elefante e la farfalla, L’acrobata con Zarrillo (e ancora prima Strade di Roma nel 1992).
Per non parlare delle molte collaborazioni tra cui quelle con Tosca, Lucio Dalla, Venditti, Sergio Endrigo  - di cui Incenzo ha scritto Altre emozioni, l’ultimo brano inciso dall’indimenticato artista istriano scomparso nel 2005 – e ancora Ornella Vanoni, Di Cataldo, Maurizio Fabrizio, Ron, Ranieri, Armando Trovajoli, Califano, Patty Pravo, PFM nell’album “Ulisse” e, fa piacere ricordare, un suo brano portato a Sanremo nel 2002 da una giovanissima e talentuosa Valentina Giovagnini. E come se non bastasse ha scritto una manciata di libri, dipinge, si è cimentato con successo nella regia teatrale (segnaliamo alcuni lavori fatti con la bravissima Serena Autieri, come ‘Rosso Napoletano’ e ‘Diana e Lady D’), ha curato una mostra dedicata all’amico di sempre Renato Zero. Insomma un artista a tutto tondo, che da qualche anno ha cominciato anche il suo personale percorso come “cantautore”. Anzi, sarebbe più corretto dire che si sta chiudendo un cerchio, perché i suoi esordi li hai vissuti da “cantautore” classico, presentandosi in solo davanti al pubblico del mitico Folkstudio di Roma qualche decennio fa. Poi la vita ha preso una piega diversa ed il resto è storia.
E così, oggi, parlare con Vincenzo Incenzo significa oggi avere di fronte un uomo, un artista, con una cultura e un’esperienza musicale enorme, un caleidoscopio di suoni e di colori che magicamente diventano emozioni ogni volta che ci mette mano. E oggi anche la voce.
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Per un artista come te che nelle sue canzoni usa le parole in modo preciso, quasi chirurgico nel loro essere efficaci, scegliere “Ego” per intitolare un album non è un rischio? Il rischio di essere frainteso per eccesso di Ego, intendo, specie in questi anni in cui tutto è veloce, dove c’è poca voglia di approfondire.
Sono consapevole del “rischio” come dici tu, ma credo che sia arrivato il momento di dare un valore preciso alle parole che usiamo, al senso vero che hanno i vocaboli e non all’uso distorto che nel tempo possono aver subìto. Ego vuol dire “ponte” tra istinto e sociale ed è questo il senso ultimo che ho voluto dare a questo lavoro e man mano che prendeva forma mi sono convinto che quello era il titolo giusto.

E allora addentriamoci nelle nove tracce dell’album. Una delle prime cose che mi ha colpito è l’uniformità degli arrangiamenti, pur nella varietà di stili che si riscontrano nelle canzoni. Ritmi, atmosfere, sound che portano verso il Sudamerica e nel brano dopo ti trovi invece nei locali più cool di New York o San Francisco, così come non manca qualche ballata più vicina al sapore mediterraneo di scuola cantautorale pura. Su questo credo che il merito principale vada riconosciuto a Jurij Ricotti (nella foto in una pausa dei lavori in studio), che oltre alla produzione e al missaggio, ha curato gli arrangiamenti. Nonostante tu sia un polistrumentista e un ottimo arrangiatore, gli hai lasciato però una sorta di “direzione artistica”. Come nasce questa scelta?
Beh, partiamo con il dire che Jurii è un grande professionista. Ha una spiccata capacità nel manipolare i suoni fino a crearne di nuovi e questo gli ha consentito di affinare una sua personale tecnica, un bagaglio musicale che gli ha permesso di lavorare con molti artisti del pop e del rock italiani ma anche e soprattutto con nomi di caratura internazionale dall'estrazione più varia (da Ariana Grande a Bocelli, da Pat Metheny ad Ennio Morricone, ndr). Per quanto riguarda me, la cosa è nata quasi per caso. A metà del 2019 avevo scritto molte delle canzoni poi finite nell’album, ma è successo che sono partito per la Colombia per un concerto e lì ho respirato un’onda musicale che mi ha colpito favorevolmente. C’era un mix di suoni, di musicisti, di cultura musicale che mischiava il sound di Miami con i profumi caraibici. Mi sono avvicinato pian piano fino a lasciarmi contaminare e decidere che nel mio nuovo album volevo far respirare all’ascoltatore quel mondo.

Prima di arrivare a Jurii, fammi capire come eri finito a fare un tour in Colombia?
In realtà non sono partito con l’idea di fare un tour. Ero stato invitato ad un grande festival internazionale a Pasto (una sorta di Primo Maggio, giusto per inquadrare l’evento). Come ti dicevo è stato bellissimo sentire attorno a me una contaminazione di suoni, oltre ad aver vissuto sulla mia pelle il grande rispetto e disponibilità che hanno per l’artista che arriva da “fuori”. Riponevo molta fiducia nel mercato sudamericano, avevo anche tradotto l’album in spagnolo, ma ero partito per fare solo quell’ospitata o poco più e invece ho messo in fila undici concerti! Ma sono nati quasi tutti sul posto, non li avevo preparati in Italia.

Diciamo che seppur i brani del futuro album erano ormai quasi pronti, perlomeno in termini di scrittura, quell’esperienza ti ha segnato in maniera talmente positiva da averti dato il “La” per un arrangiamento globale che si avvicinasse a quell’onda musicale. E il risultato, a mio parere, sono nove tracce avvolte da un uso dell’elettronica ‘intelligente’, mai invasiva ma sicuramente presente e capace di dare un suono omogeno a tutto l’album.
In un certo senso è così. Sentivo che le parole che stavo utilizzando nelle nuove canzoni avevano bisogno di un suono il più contemporaneo possibile, almeno nelle intenzioni. E così, una volta tornato in Italia, ho reincontrato Jurij Ricotti che non vedevo da qualche anno, e grazie alla sua esperienza in quel mondo ho capito che era la persona giusta con cui condividere questo nuovo lavoro. Lui ha un osservatorio meraviglioso e per ogni canzone cercava prima il suono che voleva creare e poi il musicista a cui farlo suonare. Così, se in un certo brano sentiva che il basso doveva avere un certo groove, ecco che chiamava magari un bassista brasiliano. Quindi direi che non si è trattato di avere a fianco 'solo' un arrangiatore ma anche un produttore che sceglieva la squadra migliore con cui lavorare.

Anche se non c’è scritto da nessuna parte che in un nuovo disco debba per forza esserci un featuring, un duetto o la voce di un/una collega, negli ultimi anni siamo abituati a trovare questo tipo di situazioni. Nell’album non c’è invece nessun 'ospite', pur avendo tu collaborato con decine e decine di grandi nomi della musica italiana e non solo. Una scelta precisa?
Mah, guarda, provo a risponderti in maniera sincera. Ci ho pensato, ma alla fine credo che nella mia veste di “cantautore” io debba mettere ancora molti mattoni nella mia casa. Ho avuto molte soddisfazioni in altri ruoli della mia vita artistica, nel teatro, nella scrittura di canzoni per altri, ma diciamo che non amo le scorciatoie e in questo senso mi piace pensare che come cantautore avevo una strada da inventare. Ho cominciato quasi da zero con Credo, l’album precedente uscito a ottobre 2018 e che con Ego penso di aver aggiunto un mattone importante nella mia proposta cantautorale.

Chissà, magari in un futuro prossimo potresti fare un bel live e invitare sul palco un po’ di amici con cui hai collaborato... Sarebbe un gran bel concerto, no?
Ma anche solo un disco di duetti potrebbe essere un’idea, ma sicuramente più avanti. Ora voglio coltivarmi questo mio giardino che sto vedendo crescere giorno dopo giorno. Credo che questo mio presentarmi in veste di cantautore puro sia anche una sfida con me stesso.

Parlando dei testi dell’album trovo che ci sia un mix di profondità e immediatezza, non è poco… Fuori fuoco, ad esempio, è un brano che mi ha colpito particolarmente, dove hai usato dinamiche ‘rap’ (che ho ritrovato anche qua e là in altri brani) che se anche non sono un aggancio ricorrente nella tua scrittura, questa volta trovo che ci stiano bene.
Mi piace il codice ‘pseudo-rap’, perché mi consente di dire molte cose in poco tempo (ride…). A parte gli scherzi sì, è un brano che piace molto anche a me, ma non l’ho fatto per scimmiottare qualcosa che sembra funzionare oggi. Infatti non lo considero un rap, ma piuttosto un parlato serrato. I rapper si muovono su altre frequenze, soprattutto nelle nuove produzioni. Ma lasciami dire che negli ultimi anni i rapper hanno perso una grande chance per dire delle cose, per essere incidenti rispetto a quello che succede intorno e dentro ognuno di noi.
Se ripenso a vent’anni fa, anzi di più, nei brani di Frankie Hi-Nrg, per esempio, c’era un suono nuovo che attraversava le nostre radio, è vero, ma soprattutto nei testi c’era spessore, un impegno sociale, c’era una voglia di denuncia che oggi manca. Quelli erano davvero i nuovi cantautori. Per quello dicevo un’occasione persa, perché con il “potere” mediatico che hanno, con l’influenza che riescono ad esercitare sui social, i rapper potevano e potrebbero osare di più. Oggi se vai a sentire quei testi parlano solo di sesso, droga, soldi. Non so, non voglio ovviamente generalizzare, ma credo che il mondo dei rapper – soprattutto per il segmento giovanile - ricopre un ruolo strategico di cui (forse) non sono del tutto consapevoli. Ecco perché dico che è un’occasione persa. La musica ha un potenziale immenso di condivisione, di coinvolgimento, e ritengo che si potrebbe fare di più. Guarda che il mio è un discorso generale, non ne faccio un discorso di genere, ma se guardo la situazione attuale, nello specifico i rapper avrebbero tutti i presupposti per farlo in maniera virale e quindi un senso di responsabilità maggiore non guasterebbe.

Dicevi che non ne fai una questione di genere musicale, e infatti credo che questa riflessione la si può applicare, a maggior ragione, anche al mondo cantautorale, gente che sui testi lavora con cura o dovrebbe lavorarci molto. E non mi riferisco solo agli artisti nuovi, ma anche ai grandi nomi della nostra canzone d’autore.
Mah, guarda, dico che questi sono tempi in cui c’è bisogno di prendere posizione. Vedo e sento intorno me, anche dai “grandi” nomi come dici tu, un senso di equilibrio troppo evidente. C’è quasi una ricerca a fare il brano che vada bene per tutte le stagioni, che possa piacere a Comunione e Liberazione così come al simpatizzante di Alleanza Nazionale. Manca la spinta a fotografare quello che ci gira intorno, alle problematiche profonde che attraversano la nostra società. Sento che manca questo (giusto per rafforzare il discorso di prima sui rapper e alla mancata consapevolezza della loro evidente influenza sui giovani), mi manca quel ruolo che per anni hanno avuto i cantautori con le loro canzoni, con i loro testi. Oggi ce ne sono pochi che hanno voglia di entrare in urto con lo status quo, ed è un peccato. E invece credo che questo sia il tempo di prendere posizione. Di dire come la pensi su certe storture che questa società sta prendendo in maniera quasi irreversibile. Dico "quasi" perchè sono un inguaribile ottimista. A patto però che ognuno faccia la sua parte ed io, che scrivo canzoni, questo cerco di fare. Cerco di tener viva la mia coscienza di uomo e di cittadino, così dove vedo una piaga, nel limite del possibile, cerco di metterci il dito.

Per chiudere, parlami dell’ultimo brano, L’indifferenza, perché anche quello, per motivi diversi, ha catturato non poco la mia attenzione.
Faccio un passo indietro, perché quel brano è stato messo in chiusura per un motivo preciso. Ho pensato al disco come una sorta di piano sequenza, un percorso che vada dal sociale all’intimo. E se provi a sentire l’album in questo modo vedrai che si parte con Allons enfants!, che è una visione totale del paese e si va a stringere, traccia dopo traccia, e come in un imbuto arrivi a L’indifferenza, l’ultimo brano, quello dove mi metto a nudo presentando tutta la mia inadeguatezza in questo momento storico. Un senso di spaesamento che viene voglia quasi di essere meno sensibile. Certe volte invidio chi si lascia portare dalla corrente senza nessuna resistenza, dal negare tutto, da chi prende le cose a cuor leggero per soffrire meno. Chissà, forse è una fortuna, ma io non riesco e nel disco spero che questa determinazione esca e arrivi a chi ascolta.



 

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