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Palasharp, Milano

Davide Van De Sfroos


Un concerto di Davide Van De Sfroos non è il semplice ascolto di una musica accattivante e di liriche originali. Se così fosse sarebbe, ovviamente, già una buona cosa. Però un concerto dell’artista lombardo è qualcosa di più profondo. È un’esperienza nella quale ci si cala totalmente, senza mediazioni e senza remore. L’attenzione alla musica ed alle parole di Van De Sfroos deve essere totale per comprendere, quanto più possibile, la poetica e le scelte musicali di questo artista che non smette mai di stupire e che è capace di sorprendere sempre i suoi fans (e non solo) non dando mai per scontato né la scaletta dei suoi concerti né le modalità con cui li propone. Quando Van De Sfroos arriva sul palcoscenico del PalaSharp - ma potrebbe essere il palcoscenico di qualunque altro luogo - introno a lui ed ai suoi musicisti si chiude una sorta di cerchio magico: le forze e le capacità artistiche vengono come amplificate dalla forza di ciascuno di loro, che utilizzano il loro band leader come una sorta di amplificatore che ne stimola e ne accresce le doti. Così Angapiemage Galiano Persico al violino, Francesco Piu alla chitarra, Michele Papadia alle tastiere, Silvio Centamore alla batteria e Paolo Legramandi al basso, una volta entrati in quel cerchio accendono i motori a partono per un’avventura sempre nuova ed emozionante. La presenza scenica di Van De Sfroos è ormai nota a tutti coloro che per passione ne frequentano i concerti ma non è mai uguale a se stessa. Talvolta manifesta grande loquacità, altre volte è più serrato sulle dinamiche del concerto al fine di non perdere tensione e collegamento con i musicisti sul palco. Nel concerto di Milano, del 15 settembre, le oltre due ore di spettacolo sono volate in grande leggerezza, grazie ad un set serrato, molto blues in taluni passaggi e con una scaletta particolare ed interessante e due cover che hanno lasciato stupito il pubblico per la loro siderale distanza (Napoli/Sidney) ma che hanno dimostrato, qualora fosse necessario, l’ecletticità di questo artista che ha saputo crescere, artisticamente, in maniera solida ed efficace dimostrando sempre una grande curiosità che gli ha permesso di entrare in mondi musicali differenti traendone sempre espressioni di grande originalità.

Puntuale alle 21.30 Van De Sfroos arriva sul palco e parte con una versione particolare de La poma, il cui intro di violino ricorda le atmosfere di un gruppo di musica popolare europea degli anni ’70, gli indimenticati Lyonesse. Il pubblico è subito preso nella morsa emotiva ed inizia a cantare con trasporto. L’inizio del concerto è il biglietto da visita del set che sarà potente ed arricchito dalla presenza del blues, ben rappresentato dal violino brillante di Anga, dalla chitarra fluida di Piu, dal virtuosimo alla tastiera/Hammond di Papadia e dalla sezione ritmica dei metronomi Centamore/Legramandi. Il finale del brano si immerge nella melodia di Shine on crazy diamond, dei Pink Floyd, le cui note scaturiscono magistralmente dal violino di Anga.


L’atmosfera è subito calda e le tastiere, che generano un suono caldo e sostenuto, si avvinghiano alla melodia de Lo sciamano, dove la chitarra elettrica scalda i motori ricordando, con i suoi giri armonici, i suoni del grande Rory Gallagher, indimenticato solista del blues. Il violino di Anga, poi, chiude le danze ricucendo le trame della canzone. Ancora il violino, questa volta coadiuvato dalla lap steel di Piu, è il punto di riferimento de El Puunt, capace di generare un suono country, stile festa di paese, coniugato alle sonorità tex-mex della lap steel. El  veent parte con il suono della chitarra acustica di Van De Sfroos e del violino ma poi vira verso una sonorità scura dove la sezione ritmica e la chitarra di Piu riescono a riportare alla luce sonorità dimenticate nei solchi dei dischi dei Cream. Non si è ancora esaurito l’applauso del pubblico che parte una bella versione de La ballata del Cimino, uno dei brani più spassosi della discografia di Van De Sfroos, un brano completo, liricamente e musicalmente, una sorta di mini film su un perdente che avrebbe fatto la gioia di Enzo Jannacci qualora l’avesse scritto lui (anche se potrebbe riprenderla in uno dei suoi concerti). Il violino è brillante, la chitarra elettrica lancia note come fossero bolle di sapone, l’hammond è pieno di colori e suggestioni. La chitarra acustica e la voce di Van De Sfroos aprono la strada a Il costruttore di motoscafi, una canzone piena di amore per la famiglia, la moglie i figli. Una canzone ricca di immagini e di tenerezza, ricca di squarci sulla vita quotidiana e sul futuro. La chitarra elettrica è asciutta ed essenziale mentre l’hammond la segue con un suono delicato ed incisivo.

Pulenta e galena fregia raccoglie il solito, inevitabile, boato di approvazione. Questo reggae in salsa laghèe che fa cantare e ballare in allegria è poesia allo stato puro e l’altalenante incedere sonoro, che crea una gioiosa competizione tra gli strumenti, è l’artifizio per rendere ancora più misterioso un testo ficcante e ricco di sfumature. Misterioso. Una marzia nuziale improvvisata sul momento dà la possibilità di annunciare l’imminente matrimonio di Papadia che contribuisce e sta al gioco. Un gioco che vira rapidamente verso l’apertura blues di L’Alain Delon de Lenn, con la lap steel ad aprire varchi sonori, la sezione ritmica granitica e rock, l’hammond che turbina note e Van De Sfroos che incita a rendere il suono sempre più veloce, veloce, veloce…una velocità che si immerge totalmente in Nona Lucia, con la chitarra elettrica sugli scudi, l’hammond caldo e vitale ed il violino di Anga che più che suonare sembra faccia roteare le note, piegandole ai suoi voleri di musicista. Se la nonna sia una strega o meno, non lo sappiamo, però la musica è certamente “ammaliante” e regala momenti di grande passionalità. Un tempo reggae apre Hoka Hey, quasi in versione di canto tribale, con la chitarra elettrica che regala momenti di grande intensità immersa nel blues e la sezione ritmica impegnata ad inseguire le note che “la gioiosa macchina da guerra” di Piu fa scaturire. Ed arriva il momento della prima cover, un brano della tradizione campana, ‘A riturnella, un brano di grande intensità che hanno cantato i grandi della canzone popolare di cui vogliamo ricordare la versione dei Musica Nova a metà degli anni ’70. la versione è potente e così coinvolgente che vede anche Anga cimentarsi nel canto solista.


E’ un suono popolare in chiave rock, con il violino e la sezione ritmica che paiono tarantolati, che conducono la canzone verso un finale intenso e travolgente. Una grande versione che potrà solo crescere grazie alle invenzioni sonore che questa ottima band saprà trovare nel corso del tempo. ‘A riturnella, nella versione Van De Sfroos, è l’esempio lampante che la canzone popolare, se trattata con il dovuto rispetto ed amore, è un veicolo straordinario di cultura e di festa al di là dei luoghi di origine. L’attacco del violino e della chitarra acustica trasportano il pubblico nella bella versione de El diaul, con Anga che impenna le note del violino costringendo l’hammond di Papadia ad inseguirlo nel bailamme delle note create dal folletto violinista, che costringe tutti i musicisti a corrergli dietro con foga e trasporto. Ventanas fa tirare il fiato alla band ed al pubblico e la versione di Van De Sfroos, chitarra e voce, si incunea nel silenzio del PalaSharp.

Anche la Ninna nanna del contrabbandiere si apre in maniera soft, con la chitarra e la voce di Van De Sfroos, accompagnato poi dal suono morbido del violino e dall’hammond liquido e spiritato. Una bella versione di una canzone capace di lasciare sempre il segno con le sue liriche intense e toccanti. Così come intense e toccanti sono le liriche di New Orleans, la canzone delle assenze, il ricordo di chi non è più con noi, capace di coniugare la bellezze dei passaggi lirici con l’intensità della melodia costruita dal suono del violino, toccante come forse accade solo Akuaduulza. Ed è da considerare una delle forze della poetica di Van De Sfroos questo legame tra parole particolarmente intense ed il suono del violino. Il suono saltellante e campagnolo del violino si amalgama al suono dell’hammond, aprendo le danze per una potente versione di La curiera; veloce, potente, ritmata, efficace e coinvolgente. E con il suono di questa canzone scanzonata Van De Sfroos e la band abbandonano il palco salutati dal calore di un pubblico che non ci sta ad essere lasciato solo ed inizia a chiamare, aritmicamente, il nome di Davide che, dopo qualche minuto, ritorna sul palco per attaccare una briosa e cantabile versione di You Shook Me All Night Long degli AC/DC con una chitarra che trascina il pubblico, Van De Sfroos che genera entusiasmi nel cantare, con voce roca, questo brano di una rock ‘n roll band e l’hammond che spara suoni come noccioline e Papaia che suona la tastiera come se avesse tra le mani un giocattolo. E siamo davvero all’epilogo, con una veloce versione di Cyberfolk (e come poteva essere altrimenti…?) dove tutti i musicisti diventano protagonisti. Le luci trasfigurano le sagome dei musicisti e la musica, sempre più ipnotica e multiforme, pare voglia chiamare gli dei della musica affinché restino con loro sul palcoscenico. E’ reggae, è rock, è pizzica…insomma è una musica travolgente che spazza via malumori, malinconie e cattivi pensieri. E Davide Van De Sfroos è l’apprendista stregone che, però, è capace di tenere tutto insieme senza bisogno del Mago Maestro. Perché l’unico “disastro” di cui è responsabile è che ti rivedrà al prossimo concerto…  

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In dettaglio

  • Data: 2009-09-15
  • Luogo: Palasharp, Milano
  • Artista: Davide Van De Sfroos

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