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Auditorium Conciliazione, Roma

Daniele Silvestri

“Benvenuti nella mia casa”

Un amico a cui avevo chiesto pareri sul concerto, mi ha detto “sai, stasera mi è sembrato di essere tra amici”. Sensazione normale e comune quella di sentire l’artista che si ama e si segue vicino quasi fosse un amico, sentirlo talmente parte della propria vita che ad incontrarlo in un bar gli racconteresti tutto d’un fiato mille cose senza prendere respiro: strana alchimia di distanze e incontri quella tra artisti e fan. Ci sono artisti che contro questo laccio, nel sentirlo a volte troppo stretto, hanno combattuto per anni, e poi ce ne sono altri che quella lotta non l’hanno mai neanche cominciata.

Cohiba, canzone che chiude i live di Daniele Silvestri in questo Acrobati Tour è del 1996. Era il quarto brano dell’album Il dado, e divenne in poco tempo un inno da cantare a pugni alzati e voce piena (quando ancora l’idea di un concerto gratuito dei Rolling Stones a Cuba sembrava una follia). Sono cambiate tante cose in vent’anni di musica, eppure quel brano racchiude ancora la stessa identica potenza emozionale, la stessa partecipazione e l’Auditorium di Roma, in piedi sotto il palco, tira fuori tutta la voce che ha per quel «venceremos adelante / o victoria o muerte». Riavvolgendo il nastro ci sono quattro serate sold out nella Capitale, metà delle date del tour di Acrobati già fatte, metà da fare. Un live per tre ore di musica incastonate in una scenografia che ha nella casa il luogo di inizio e fine di tutto. Splendido il disegno di luci che sa mettere i contorni a questo spettacolo che è sì, incontro di amici, ma sembra aprire la porta agli occhi di sempre con un sorriso diverso, come a dire “venite a vedere cosa c’è di nuovo”. In quella casa c’è un uomo che ha quarant’anni e venti li ha passati tra i locali e i palchi dell’Italia a suonare, che ha aspettato quando non aveva nulla da dire, e si è sporcato le mani senza timore di perdersi, un artista lontano anni luce da tutto quello che della musica appare al primo tocco artefatto e costruito, qualcuno che gli applausi non li cerca forzatamente, e per questo forse ne riceve di più. Da tutti, da quel binomio di “pubblico e critica” che fa spesso fatica ad andare a braccetto.

Si incontra un uomo e un artista così, con nuove parole, (sembra) una nuova libertà, divertito e perciò divertente,emozionato e per questo intenso, sincero. Al suo fianco un’ottima band, da Daniele Fiaschi a Fabio Rondanini, Duilio Galioto, Marco Sartori, Sebastiano De Gennaro, Gabriele Lazzarotti, Piero Monterisi e Gianluca Misiti (e spero di non aver scordato nessuno), ché scegliersi ottimi compagni di viaggio è anche quello un bel merito. Saranno le tante prove fatte assieme, o che questo disco è nato prima suonato insieme live e poi registrato per benino su traccia che la sintonia si sente, il divertimento anche, e pure le sporcature che rendono vero e vivo un concerto.

Sono i giorni dell’intervista al figlio del Capo dei Capi e allora il brano L’appello, dell’album S.C.O.T.C.H. del 2011, appare la risposta migliore, ché spesso tre minuti e mezzo di canzone sanno riassumere le tante troppe parole che si dicono, e la standing ovation al termine del brano è spontanea e sincera. Non sono lontani neanche i giorni delle lotte del movimento LBGT e gli arcobaleni che hanno riempito le piazze, e il brano A bocca chiusa lo dimostra. Ascoltato in un silenzio partecipe e pieno di senso, sono parole che sfiorano tutti, colpiscono e raccontano duro senza disillusione ma sempre colme di bisogno di lotta e partecipazione.

Credibile, veritiero, partecipe, “senza scudi per proteggermi né armi per difendermi”, senza filtri e troppe costruzioni dietro le quali nascondersi. Così Silvestri è nelle canzoni, così è quando sale sul palco. Lo sai, lo conosci, e lo ami anche per quello.

Grazie a Simone Cecchetti per le foto

 

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In dettaglio

  • Data: 2016-04-08
  • Luogo: Auditorium Conciliazione, Roma
  • Artista: Daniele Silvestri

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