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Auditorium Parco della Musica, Roma

Carmen Consoli

La cantantessa ritorna. Rock, maturità e un’intensità che accarezza

Era il 1996, a Sanremo si presentava in pantaloni neri, camicia arancio, caschetto corto e chitarra. Portava quell’Amore di plastica cantato mille volte nelle tante adolescenze delle trentenni di oggi. Vinse Syria  nelle nuove proposte ma a scorrere un istante i nomi di quell’anno Carmen Consoli è la sola (insieme a Marina Rei) che da quel palco non si è più fermata. Vennero poi Confusa e felice, Mediamente isterica, Stato di necessità, fino ad arrivare all’album del 2015 L’abitudine di tornare (leggi la recensione) e la cantantessa si è guadagnata, con eleganza e talento, di diventare il simbolo (uno dei…) del rock al femminile nel nostro Paese. Non una semplice etichetta da appiccicare addosso tanto per dover forzatamente incastrare gli artisti in dei confini ma cantare, suonare e scrivere come faceva lei fine anni ’90/inizi del nuovo millennio ha significato per tante ragazze di allora, con la chitarra in un angolo della stanza, avere davvero uno spiraglio di luce. Una luce che era ancora più forte perché siciliana, perché si sa, se vivi su un’isola è sempre un po’ più difficile per te che per gli altri farsi ascoltare, anche se la Catania di quegl’anni era “raggiante” non solo a parole.

Elegante, creativa, riservata, ora anche mamma, sempre bellissima. Gonna di pelle nera, tacchi, camicia rossa e le sue chitarre. Così è salita sul palco dell’Auditorium Conciliazione di Roma lo scorso 20 gennaio per l’inaugurazione del nuovo tour (dopo la data zero di Foligno) che la vedrà nei prossimi mesi nei principali teatri italiani (sulla sua pagina fb ufficiale, le date).



«Quella domenica mattina una brezza malinconica» aprono Sud Est (album Elettra) e San Valentino (album L’abitudine di tornare) il concerto, poi entra la band: Massimo Roccaforte alla chitarra, Roberto Procaccini alle tastiere, Adriano Bonanni al violino, Claudia Della Gatta al violoncello, Luciana Luccini al basso, Fiamma Cardani alla batteria e Valentina Ferraiuolo alle percussioni e cori. Pioggia d’aprile, Il pendio dell’abbandono (luci ad illuminarla di un giallo caldo), Mandaci una cartolina, Fiori d’arancio, Ottobre (una delle perle dell’ultimo disco) in un continuo viaggio nel tempo delle sue canzoni, la Consoli dimostra che se i suoi inizi sono stati la novità, l’indiscutibile unicità della voce, e la voglia di dimostrare che una donna poteva fare rock cantautorale ad alti livelli, ora c’è una maturità umana e artistica nel suo modo di stare sul palco, di suonare e raccontare che affascina e cattura l’attenzione di chi l’ascolta; una maturità solida, piena di stratificazioni e livelli di profondità, che esplodono anche nell’uso della voce, da sempre elemento unico e caratterizzante della sua arte. È più calda, più ammaliante, e sa però allo stesso tempo essere arrabbiata e ruvida nei momenti in cui i testi lo impongono. L’ultimo bacio, In bianco e nero, AAA Cercasi, l’intensa e ipnotica Guarda l’alba, L’eccezione, Venere, Non volermi male (con Elena Guerriero al pianoforte), nulla è fuoriposto, band e acustica perfette, e il pubblico attento, partecipe, innamorato ma composto riempie di calore e belle emozioni la sala. Amore di plastica, Oceani deserti e Orfeo raccontano l’Amore: giovane e sbagliato l’uno; adulto, stanco, complesso e doloroso l’altro; vivo, folle, combattivo e eroico l’ultimo.

Il finale sono Sintonia imperfetta, Parole di burro, Geisha, la Sicilia di A’finestra, e Questa piccola magia. Ed è standing ovation, e applausi lunghi minuti interi. Lei sorride delicata e grata, prima di uscire e rientrare poi a luci accese in sala con i propri posti abbandonati per essere sottopalco per Quello che sento.

Uno spettacolo curato, suonato alla perfezione, con poche parole al microfono, e vent’anni di ottima musica da cui pescare le due ore di live. Carmen Consoli ha la bellezza di sembrare un istante prima, agli occhi di chi l’ascolta, una donna normale e un attimo dopo mostrare un’intensità nello sguardo e nella voce propria solo di chi vive qualche passo più in alto degli altri, riuscendo così con estrema semplicità a riunire attorno a sè due condizioni dell’anima a volte distanti, ammirazione ed empatia. La capacità compositiva matura certamente nel tempo, le sfumature nella voce si trovano negli anni, a stare sul palco s’impara a forza di concerti ma, ecco, una certa sensibilità artistica non te la insegna nessuno, puoi solo averla da sempre e poi eventualmente fare un lavoraccio per imparare a tirarla fuori. In Carmen Consoli la si poteva intravedere già nell’esibizione nel ‘96 sul palco di Sanremo; ora, vent’anni dopo, è sotto gli occhi di tutti.

Foto di Roberto Panucci

 

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In dettaglio

  • Data: 2016-01-20
  • Luogo: Auditorium Parco della Musica, Roma
  • Artista: Carmen Consoli

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