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Teatro Jacopo Da Ponte, Bassano del Grappa (VI)

Angelo Branduardi

La luna, lo sciamano e il violino.

È una sera serena e tiepida, rischiarata da un plenilunio quasi perfetto, quella del 15 marzo, quando Angelo Branduardi fa tappa nella cittadina veneta con il suo tour che prende il nome dall’ultimo album, uscito il 29 ottobre 2013, Il rovo e la rosa. Branduardi è reduce da una fortunata tournèe europea culminata il 7 febbraio con grande successo all’Olympia di Parigi, ma fin dalle prime date italiane è evidente che anche il pubblico di casa nostra non è da meno, riconfermando ancora una volta quanto gli è affezionato da qualche “decennio” (lo diciamo che sono quattro?) a questa parte.

Il vecchio cinema-teatro Jacopo Da Ponte di Bassano del Grappa (un plauso all’ottima acustica e alla perfetta visibilità da ogni lato della platea), accoglie il cantautore lombardo con un tutto esaurito da giorni e un’atmosfera calda e rilassata che solo certi ambienti quasi “familiari” riescono a dare.

Nel buio rimangono accesi solo i lampadari in cristallo che, insieme a tende di sfondo raccolte come in un salotto, costituiscono la semplice e raffinata scenografia dove sorridente compare il protagonista, il sessantaquattrenne ex-menestrello Angelo Branduardi. Diciamo ex, perché ne è passato di tempo da quando, vestito di bianco, esile e con l’immensa corona di riccioli castani, Angelo saltellava sul palco in lungo e in largo come una sorta di folletto imbracciando il suo violino e brandendo l’archetto come una bacchetta magica. Ora Branduardi è sempre più un musicista delicato e colto, una bella persona che esprime calma e serenità ad ogni gesto, ad ogni parola, ad ogni passo lento con cui incede sulla scena.

I capelli si sono accorciati (ma non di molto), i gesti sono misurati, non una parola nell’imbracciare la chitarra acustica, ma solo un sorriso carico di gratitudine per l’applauso che lo accoglie con calore.

Il concerto ha inizio con la celebre Confessioni di un malandrino e all’improvviso tutto sembra ruotare intorno alle corde pizzicate della chitarra e alla voce che accarezza le parole.
Già dopo il primo brano, Branduardi presenta i due preziosi musicisti che gli sono a fianco in questo tour: colui che definisce un fratello (minore, anche se di qualche mese) e cioè Maurizio Fabrizio (autore di tutti i suoi arrangiamenti fin dal primo disco) alle chitarre e pianoforte, e il grande Ellade Bandini alla batteria, due tra i più grandi musicisti italiani in circolazione e lo scriviamo convinti, senza timore di essere smentiti. 
Branduardi spiega che quello a cui assisteremo stasera sarà un concerto “a togliere”. Anziché “vestire la bambola”, dice, loro andranno a spogliarla di tutto ciò che è superfluo: è un “costruire togliendo”, che diventa una delle forme più complesse di musicalità. “Togliendo le certezze” continua Branduardi “noi andremo a creare una situazione di magia mistica esoterica, una sorta di estasi”, e poi ancora “non faremo rumore, proporremo, senza assalire mai”.

Ha voglia di comunicare con il pubblico Angelo e c’è spazio anche per una riflessione sull’incipit del Vangelo di Giovanni a proposito della traduzione della parola ‘Verbo’, che in aramaico significa qualcosa di simile a ‘Suono’. E quindi, rileggendo “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”, ecco svelata la vicinanza inequivocabile della Musica (il Suono) a Dio. Certo è che il concerto ha già assunto un’atmosfera del tutto particolare; Branduardi parla di “incantesimo” prodotto dalla musica, che dovrebbe estraniare dal luogo e dal momento, e quello sarà, per tutta la serata, il tentativo (perfettamente riuscito) dei tre “sciamani” sul palco che, attraverso una musica raffinata ma essenziale, in qualche modo accompagneranno il racconto della vita.

Nella prima parte del concerto, in scaletta troviamo alcuni tra i più famosi brani di tutta la sua produzione: La Luna e Il dono del Cervo si susseguono senza interruzione, quindi altri momenti della sua storia musicale più remota, come Profumo d’arancio, Sotto il tiglio, La favola degli aironi (le ultime due tratte dall’album Alla fiera dell’est del 1976) e Primo aprile 1965, lettera di Che Guevara ai genitori musicata da Branduardi nel 1988 (dall’album Pane e rose, qui a fianco la cover). Angelo dedica una breve parentesi a spiegare che non si definisce un ‘pacifista’ ma piuttosto un ‘non violento’, e poi via ancora musica, accordando la splendida chitarra acustica mentre sorridendo cita Andrés Segovia, il quale affermava quella frase poi diventata famosissima e cioè che ‘un chitarrista passa la metà del suo tempo ad accordare, e l’altra metà a suonare uno strumento scordato’…
Tra le canzoni in scaletta arriva anche un brano di Maurizio Fabrizio, La ballata del tempo e dello spazio, che anticipa la pagina dedicata alle poesie irlandesi di William B.Yeats, musicate da Branduardi nel 1986 e raccolte nel suo celebre (ma al tempo non del tutto capito) album acustico Branduardi canta Yeats. Sono tre i brani tratti da questa raccolta che vengono portati sul palco stasera: Canzone di Aengus il vagabondo, Il cappello a sonagli, Un aviatore irlandese prevede la sua morte, più la lettura di una poesia - letta e non recitata, precisa lui stesso - che nel protagonista della stessa si riconosce e il suo titolo è Il violinista di Dooney. Ma il (suo) violino è ancora lì in attesa, poggiato al suo supporto sul tavolino, sopra una tovaglia ricamata in rosso e oro.


Branduardi indugia ancora alla chitarra, creando suoni essenziali che portano a respirare un’atmosfera quieta, dolce, leggera. È palpabile tra il pubblico la consapevolezza di vivere un concerto davvero speciale e mentre la voce e le corde degli strumenti fanno ‘quel che devono’, in sala c’è un silenzio attento, curioso e rilassato. Sembra di vivere in una dimensione quasi irreale, ed è certamente questa la magia di cui Angelo parlava all’inizio della serata.
Nulla appare superfluo, non c’è nulla più di quello che ci deve essere, e tutto trasuda bellezza. Anche le luci sono pulite e chiare, raramente qualche colore a scaldare la scena, lo stesso abbigliamento del musicista è sobrio e molto semplice, vestito con un abito nero fuori dal tempo, aldilà delle mode, che lascia risaltare le mani chiare sulle corde e nel gesticolare avvincente. E poi i bellissimi capelli, ormai quasi bianchi, ad incorniciare occhi luminosi, sguardi e sorrisi.
Chiusa la parentesi dedicata a Yeats, è il tempo di presentare il nuovo disco, Il Rovo e la Rosa - Ballate d’amore e di morte, i cui brani sono liberamente ispirati alle ballads del periodo Elisabettiano (1558-1603) , tradotte dalla moglie Luisa Zappa, personaggio fondamentale per Angelo, anche nella sua vita artistica. Questo album, come spiegava Branduardi in una recente intervista, costituisce una saldatura tra la sua produzione più pop e il lavoro di ricerca sulla musica antica: “Un lavoro di distruzione e ricostruzione, non solo musicale ma anche a livello del testo, sui brani per riportarli ad una versione filologica e nello stesso tempo inedita”.

Dopo Rosa di Galilea (testo tratto dai vangeli apocrifi, già presente in una diversa versione nell’album La pulce d’acqua del 1977 con il titolo Il ciliegio) è il momento del violino, finalmente! Branduardi imbraccia “il principe degli strumenti” spiegando che in realtà non è il musicista a scegliere di suonare il violino, ma “non sei tu che suoni lui, ma è lui che sembra suonare te”, ed è forse per questo motivo che viene detto ‘lo strumento del diavolo’.
Da solo, al centro del palco, Angelo Branduardi dà spazio e colore alla “voce” del violino, modulandola con grande maestria ed espressività in uno splendido assolo.

Seguono altri tre brani tratti dall’ultimo bellissimo disco, tre ballate che parlano di morte: Lord Franklin che non ritornerà dal mare, Mary Hamilton che uccide il neonato figlio dello scandalo e per questo salirà al patibolo, e la già nota (grazie alla celebre versione di Fabrizio De Andrè a cui Branduardi è piuttosto fedele) Geordie.

Il ‘bis’, com’è nell’intento dell’artista, stupisce e rapisce piacevolmente la platea: Branduardi intona infatti O sole mio, la più celebre canzone italiana nel mondo, con una dolcezza e una delicatezza che nulla ha a che vedere con la versione tenorile con cui tutti la identifichiamo, rendendo la magia ancora più sublime.

Nel tentativo sincero di raccontare questo concerto, rileggendo mi accorgo che non ho rispettato del tutto l’intenzione che è stata invece dell’artista. Ho esagerando nei dettagli, nelle parole e nelle sfumature, come egli invece non ha fatto, dedicandoci un concerto senza alcuna sbavatura, nessun suono fuori posto, nessun brano che non fosse perfettamente inserito nel contesto.
Forse al lettore avrei dovuto scrivere un solo commento: ‘Il Rovo e la Rosa Tour 2014’, un concerto che tocca nel profondo, che ti porta all’essenza della musica, un concerto da non perdere assolutamente. Lasciando ad ognuno di voi la voglia di vederlo per poi descriverlo ad altri in maniera personale, o piuttosto scegliere di tenersi dentro quell’incantesimo di cui parlavo prima e che attraverso la luna, lo sciamano e il violino, avvicina  il Suono a Dio.

 

 

ANGELO BRANDUARDI

Scaletta concerto del 15.03.2014, Bassano del Grappa (VI)

Confessioni di un malandrino
La luna
Il dono del cervo
Profumo d’arancio
Sotto il tiglio
Primo aprile 1965
La favola degli aironi
La ballata del tempo e dello spazio
Canzone di Aengus il vagabondo
(poesia) Il violinista di Dooney
Il cappello a sonagli
Un aviatore irlandese prevede la sua morte
Gli alberi sono alti
Rosa di Galilea (Il ciliegio)

(strumentale con violino)

Lord Franklin
Mary Hamilton
Geordie

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O sole mio

 

Musicisti:

Maurizio Fabrizio: chitarre e tastiera

Ellade Bandini: batteria e percussioni

Angelo Branduardi: voce, chitarra acustica, violino, armonica.

 

Servizio fotografico a cura di Valeria Bissacco (www.valeriabissacco.it)

 

Prossime date:

26 marzo Torino (Teatro Colosseo)

29 marzo Roma (Auditorium Conciliazione)

 


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In dettaglio

  • Data: 2014-03-15
  • Luogo: Teatro Jacopo Da Ponte, Bassano del Grappa (VI)
  • Artista: Angelo Branduardi

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